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Elezioni amministrative 2025

Cosa ci dice il risultato delle comunali 2025 sul referendum e le prossime elezioni: l’analisi dell’esperto

La vittoria del centrosinistra a Genova e Ravenna alle comunali 2025 conferma una tendenza nazionale: gli elettori sono ‘stabili’, a fare la differenza sono le coalizioni. Insomma, il campo largo per provare vincere deve unirsi. Salvatore Vassallo, direttore dell’Istituto Cattaneo, ha risposto alle domande di Fanpage.it per capire quali sono i segnali del voto ai partiti.
Intervista a Salvatore Vassallo
Direttore dell'Istituto Cattaneo
A cura di Luca Pons
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Le elezioni comunali 2025 hanno interessato 126 Comuni, tra cui quattro capoluoghi: Genova e Ravenna sono andati al centrosinistra al primo turno, mentre a Taranto e Matera si voterà al ballottaggio. Fanpage.it ha intervistato Salvatore Vassallo, direttore dell'Istituto Cattaneo, per analizzare i risultati e capire quali sono i messaggi ai partiti in vista dei prossimi appuntamenti con il voto: soprattutto i referendum dell'8 e 9 giugno e le regionali autunnali in Campania, Puglia, Veneto, Marche e Valle D'Aosta. Per il campo largo, superare le distanze e allearsi sembra essere l'unico modo per provare a battere il centrodestra.

Visto che si parla di elezioni comunali, cosa possono dirci questi risultati per l'andamento dei partiti nazionali?

Va considerato che le amministrative nei Comuni minori, spesso anche sopra i 15mila abitanti, presentano un'offerta politica peculiare: ci sono candidati e liste civiche, e spesso mancano i simboli dei partiti nazionali. Nella Prima repubblica si poteva dare una misura del risultato aggregato per tutte le elezioni comunali, perché i partiti si presentavano con lo stesso simbolo quasi ovunque, mentre oggi non è più possibile. Quindi ci concentriamo sui capoluoghi, sapendo che comunque in queste città l'elettorato del centrosinistra – per composizione socio-demografica – è prevalente rispetto a quello di centrodestra.

Quindi, guardiamo soprattutto a Genova e Ravenna.

Sì, e qui l'indicazione più chiara è una: non è cambiato quasi niente dall'anno scorso. L'equilibrio tra l'area di centrodestra e il campo largo è rimasto sostanzialmente invariato rispetto allo scorso anno. Lo vediamo sia confrontando i risultati con quelli delle regionali, sia guardando alla cosiddetta analisi dei flussi. Gli elettori dei candidati a presidente alle regionali, in grande maggioranza, hanno scelto il candidato sindaco della stessa parte politica. Non c'è nessuno scambio significativo da destra a sinistra o viceversa.

Salvatore Vassallo, direttore dell'Istituto Cattaneo
Salvatore Vassallo, direttore dell'Istituto Cattaneo

I genovesi che avevano votato Orlando alle ultime regionali hanno votato Salis, e lo stesso per i ravennati che avevano votato De Pascale (loro ex sindaco) e hanno sostenuto Barattoni?

Sì, e con percentuali pressoché identiche, guardando agli aggregati centrodestra-campo largo.

Il punto politico più discusso è l'unione delle forze di opposizione: nei due capoluoghi i candidati sostenuti da Pd, M5s e forze centriste hanno vinto al primo turno. È una strategia da ripetere?

A Genova, tra il 2022 e il 2025 il centrodestra ha registrato una crescita: dal 34,9% alle politiche, al 44% alle ultime comunali. Il campo largo invece è passato dal 58% al 55% circa, restando più o meno stabile. La differenza l'ha fatta l'unione del campo largo. Nel 2022, si trattava di tre forze politiche che andavano per conto proprio. Quando si sono messe insieme, anche se hanno perso per strada qualche pezzo, sono diventate più competitive.

Ha ragione Elly Schlein a insistere sul fatto che, se il centrosinistra o campo largo si unisce, vince? O, per dirla in termini meno ottimistici, che l'unica possibilità per non perdere è unirsi?

I risultati di questi giorni sono una conferma di quanto si è visto già in alcune tornate regionali. È chiaramente il segnale che dovrebbe essere recepito dai leader del centrosinistra. Solo uniti diventano competitivi e possono vincere.

Ha detto che però "perdono qualche pezzo"…

Sì, perché sulla base delle evidenze che abbiamo è improbabile pensare che, se si facessero le elezioni, il campo largo otterrebbe la somma delle percentuali di voto delle tre componenti che allora si erano presentate divise. Qualche elettore, probabilmente, sceglierebbe di non votare la coalizione proprio a causa della presenza degli altri partiti.

Anche alle prossime regionali – Campania, Marche, Puglia, Campania, Valle D'Aosta, Veneto – l'unità del campo largo è l'unica strada per vincere? In alcune Regioni la strada verso un'alleanza sembra complicata…

Sì, senz'altro. È quello che è capitato in Umbria, se il campo largo non si fosse messo insieme avrebbe potuto perdere. La difficoltà è proprio restare tutti insieme. Ad esempio, a Genova c'è anche una componente che fa riferimento a quell'area di Azione, Italia viva e +Europa. È un'area che porrà comunque un problema per la costruzione di una coalizione a livello nazionale: si tratta di forze si mescolano più facilmente in elezioni amministrative, ma bisognerà vedere come andrà alle elezioni politiche.

A Genova e Ravenna il Movimento 5 stelle ha corso con il campo largo ed è arrivata una vittoria. A Taranto e Matera, dove presentava un proprio candidato, ci sarà il ballottaggio. È frutto solo delle dinamiche locali?

Penso che si possa interpretare come la continuazione di una strategia, da parte del M5s nazionale, di non dimostrare di avere definitivamente aderito alla coalizione di centrosinistra. E d'altro canto è anche un'eredità del passato, quando gli esponenti locali del Movimento sono stati in aperto conflitto con la classe politica locale di centrosinistra, in particolare quella del Pd. È uno degli elementi che rende complicato prevedere cosa accadrà a livello nazionale.

Il risultato del centrodestra è preoccupante per il governo Meloni?

Direi che le uniche preoccupazioni su cui i leader possono prendere l'iniziativa, da una parte e dall'altra, riguardano le divisioni del loro campo. Da un lato, cucire un accordo che tenga insieme il Movimento 5 stelle e l'area europeista-liberale. Dall'altra, le tensioni latenti soprattutto tra Fratelli d'Italia e Lega, anche se a prima vista questi sembrano problemi meno acuti di quelli che il campo largo dovrà affrontare

Non mi sembra che ci siano i segnali di un grande cambiamento nell'elettorato nazionale rispetto a quanto abbiamo già visto negli scorsi anni. I risultati quindi dipenderanno dall'area geografica, dalla dimensione del Comune e dal formato delle coalizioni. Poi in alcuni casi conta anche la figura dei candidati, anche se apparentemente non è stato così nei due casi più in vista.

Salis a Genova e Barattoni a Ravenna non hanno influito più di tanto?

È così, al contrario di quanto ci si poteva aspettare ad esempio vista la novità della candidatura di centrosinistra a Genova. Nei due capoluoghi, nessuno dei candidati ha mostrato una particolare capacità di ‘pescare' tra gli astenuti, né viceversa ha spinto più persone a non andare a votare.

Infine, l'affluenza. È stata sostanzialmente identica a quella di cinque anni fa, nei Comuni al voto, ed è arrivata al 56%. C'è chi, nel comitato promotore dei referendum dell'8 e 9 giugno, spera che sia un buon segno per il quorum da raggiungere. Lo è?

Alle amministrative ormai la tendenza è questa, con un'affluenza tra il 50 e il 60%. Ma bisogna considerare che si è arrivati al 53% nel contesto di competizioni che hanno mobilitato destra e sinistra. Nel caso del referendum c'è una la mobilitazione sostanzialmente di una parte sola. Può capitare di tutto, e sarebbe uno straordinario successo, ma sulla base dei dati che abbiamo è difficile immaginare che queste elezioni abbiano un effetto.

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