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Opinioni

Come Salvini sta abusando del potere di precettazione per gli scioperi dei trasporti

Per la quarta volta in pochi mesi, il ministro delle infrastrutture limita uno sciopero, perché “non si può bloccare il Paese a ridosso del Natale”. Il dubbio è che, calpestando i diritti dei lavoratori, il leader della Lega stia lavorando sul suo posizionamento politico in vista delle elezioni europee, richiamando quella nostalgia revisionista secondo cui, quando c’era LVI, i treni arrivavano in orario.
A cura di Roberta Covelli
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Secondo Matteo Salvini "non si può bloccare il Paese a ridosso del Natale". E, così, ancora una volta, ha obbligato i ferrovieri al lavoro, limitando lo sciopero proclamato da USB e Cobas per il 15 dicembre. È la quarta volta, in questo trimestre, che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti impone la precettazione per uno sciopero. Ed è il caso di chiarire, fin da subito, che anche questa volta l’iniziativa di Salvini è un abuso e, come tale, va analizzato e denunciato, tenendo conto non solo degli elementi di diritto, ma anche delle ragioni di posizionamento politico del leader della Lega in vista delle europee.

Il bilanciamento di diritti e libertà: la precettazione deve essere un atto eccezionale

Ma andiamo con ordine, partendo dalle basi. Primo, lo sciopero è un diritto costituzionalmente garantito. Nella cultura giuridica, anzi, è proprio il diritto di sciopero a segnare una differenza netta tra la dittatura fascista e il nuovo corso democratico. Il regime di Mussoliniiniziò infatti con le azioni di squadrismo contro sindacalisti e operai, e proseguì con la repressione dello sciopero, qualificato come reato e non più come libertà, e con la contrattazione collettiva affidata alle corporazioni. Nella repubblica democratica fondata sul lavoro, al contrario, lo sciopero rappresenta un paradigma costituzionale: si ritiene che il conflitto sia un elemento ineliminabile nella società, e che sia quindi preferibile che emerga, piuttosto che restare sottotraccia, senza che bisogni e problemi siano affrontati e risolti.

Secondo, l’applicazione dei diritti passa dal loro bilanciamento con altri diritti, libertà e posizioni meritevoli di tutela. E, proprio per questo, con la legge 146/1990, sono state poste regole per la regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. Quando uno sciopero riguarda determinati settori, e può quindi ledere altri diritti degni di tutela (come la cura, l’istruzione, la circolazione), all’azione sindacale sono infatti imposti limiti e procedure, su cui vigila e agisce la Commissione di garanzia. Questo non significa che uno sciopero, anche nei servizi pubblici essenziali, non debba causare una qualche forma di disagio: è proprio attraverso la capacità di interrompere il normale corso delle attività produttive che i lavoratori dimostrano la propria forza e aumentano il proprio potere negoziale.

Terzo, la precettazione è l'ordine di lavorare a persone che hanno dichiarato di voler scioperare, cioè che avevano deciso di rinunciare al proprio compenso pur di protestare. La precettazione è un atto amministrativo straordinario, imposto qualora "sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona". È davvero così per lo sciopero proclamato dai sindacati di base per il 15 dicembre?

I sindacati avevano rispettato le indicazioni della Commissione, ma la precettazione è arrivata lo stesso

Nel caso dello sciopero nazionale dei trasporti indetto da USB e Cobas, la Commissione di garanzia, come spesso accade, aveva rilevato alcune criticità. In particolare, con la delibera del 30 novembre, aveva segnalato ai sindacati di base la violazione della regola della rarefazione oggettiva: per evitare un impatto eccessivo sulla continuità del servizio, infatti, ci deve essere una distanza minima tra scioperi che riguardano uno stesso settore, mentre questo non avveniva per EAV Napoli, coinvolta da uno sciopero il 7 dicembre, e per FNM Milano, interessata già dallo sciopero Trenord del 14 dicembre.

I sindacati si sono quindi adeguati alle indicazioni della Commissione: hanno così corretto la proclamazione dello sciopero escludendo il personale delle due aziende già interessate da mobilitazioni ravvicinate. Non c’è quindi stata alcuna violazione delle regole sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, e questo emerge anche dall’ordinanza firmata ieri da Salvini, che prende atto anche che "le Organizzazioni Sindacali […] hanno ottemperato alle indicazioni della Commissione di garanzia".

A seguito dell'incontro tra i sindacati di base e Salvini, convocato dopo la richiesta urgente delle organizzazioni sindacali in ragione delle dichiarazioni del leader della Lega sulla precettazione, il ministro aveva emanato una nota, il 12 dicembre, chiedendo loro "di soprassedere agli scioperi".

Lo sciopero in questione, peraltro, era già stato indetto e non effettuato: originariamente, la mobilitazione era stata proclamata per il 27 novembre 2023, ma era stata imposta la precettazione, con la riduzione delle ore di sciopero da 24 a 4. USB e Cobas avevano quindi deciso di riprogrammare lo sciopero al 15 dicembre, ed ecco però ancora la precettazione.

I problemi di mobilità sono colpa dei lavoratori o responsabilità del MIT?

Le dichiarazioni di Salvini, così come la lettura della sua ordinanza, mostrano la carenza di argomentazioni giuridiche a sostegno di quella che appare come una illegittima limitazione del diritto di sciopero.

Come si è detto, infatti, la precettazione è un atto eccezionale, giustificato da "un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona". Questo rischio non è stato rilevato dalla Commissione di garanzia, e anche l’ordinanza del ministro delle infrastrutture e dei trasporti annacqua il concetto: si legge infatti che le astensioni previste per il 15 dicembre "non garantiscono un’adeguata protezione dell’interesse diffuso della collettività ad usufruire di un sufficiente servizio pubblico di trasporto".

Ma a chi spetta garantire questo "interesse diffuso"? Una delle ragioni citate nell’ordinanza per negare il diritto allo sciopero è la considerazione che, "in un tale contesto, gli effetti negativi degli scioperi in esame accentueranno una situazione di per sé già gravemente pregiudizievole in territori caratterizzati da un’eccezionale esigenza di mobilità". E si paventano anche rischi di ordine pubblico, ipotizzando "la permanenza nei luoghi di accesso al servizio di un numero elevato di persone".

Si arriva quindi al paradosso di un ministro che, prendendo atto dei problemi di mobilità, ne addossa la colpa ai sindacati, indicando come causa ventiquattr’ore di sciopero invece di riflettere (e agire) sull(in)adeguatezza del sistema, negando un diritto ai lavoratori invece di assumersi la responsabilità di garantire un livello dignitoso per la libertà di circolazione delle persone.

La campagna elettorale di Salvini, che vuol far arrivare i treni in orario

Sullo sfondo però, come per moltissimi atti del governo Meloni, ci sono anche esigenze di posizionamento politico.

È difficile non intravedere nel nuovo interesse ferroviario di Salvini un richiamo a quella retorica nostalgica del fascismo che si regge sull'idea che, quando c'era LVI, i treni arrivassero in orario. Al di là dell'infondatezza della ricostruzione storica, a cui è sempre il caso di rispondere come Troisi in Le vie del Signore sono finite ("Mica c'era bisogno di farlo capo del governo, bastava farlo capostazione"), è lecito ipotizzare che sia proprio questa l'intenzione del leader della Lega, impegnato in un'alleanza di governo ma con la necessità di attirare elettori in vista delle europee.

Al di là del riferimento mussoliniano, però, questo uso spregiudicato della precettazione resta un'esibizione di forza, forse utile alla propaganda salviniana, ma certo non ai diritti delle persone. Sarebbe forse il caso che Matteo Salvini, ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si occupasse della mobilità, che dichiara disastrosa solo per negare ai lavoratori il diritto allo sciopero, come se la responsabilità fosse dei ferrovieri e non del ministero che occupa.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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