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Opinioni

Quello che non torna negli atti della Commissione di garanzia contro lo sciopero generale del 17 novembre

Continua lo scontro sulla mobilitazione di Cgil e Uil del 17 novembre, mentre il ministro Salvini, con un tempismo inopportuno e dichiarazioni di contenuto discutibile, finisce per politicizzare quello che dovrebbe essere un confronto tecnico.
A cura di Roberta Covelli
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In vista dello sciopero generale del 17 novembre prosegue il braccio di ferro tra i sindacati e la Commissione di garanzia, con il ministro Salvini a fare da elemento di disturbo con dichiarazioni contro Landini e contro i lavoratori.

Nel confermare il proprio provvedimento, la Commissione ha precisato che "non intende in alcun modo mettere in discussione l’esercizio del diritto di sciopero, ma continuare ad assicurare l’osservanza delle regole che ne garantiscono il contemperamento con i diritti costituzionali della persona". Peccato che lo faccia attraverso un’interpretazione restrittiva dei suoi precedenti. Proviamo a capire perché, partendo da una delle questioni di base in materia di sciopero.

Da reato a diritto: lo sciopero per la legge italiana

Secondo la Costituzione, lo sciopero è un diritto che "si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano". Di leggi che lo regolano, però, nell’ordinamento italiano, non c’è quasi traccia: la definizione dello sciopero è stata quindi via via individuata attraverso le teorie degli studiosi e le sentenze dei giudici, visto anche che il codice penale conservava (e in parte ancora conserva) i residui dell’epoca fascista, in cui l’astensione dal lavoro per protesta era sempre un reato.

La giurisprudenza, in assenza di definizioni normative, si è a lungo interrogata sulla nozione di sciopero, con uno sforzo definitorio che finiva però per limitarlo eccessivamente, negando la natura di diritto a quelle forme di azione sindacale anche solo lievemente diverse dall'astensione collettiva e concertata dal lavoro. Nel 1980, però, l'orientamento finalmente cambia. Con la sentenza 711, infatti, la Cassazione elabora la cosiddetta teoria dei limiti esterni, secondo cui sono illegittime solo le azioni sindacali che ledano altri diritti, così semplificando (anche se non eliminando del tutto) i problemi interpretativi. In questo modo, rinunciando a una definizione giurisprudenziale e senza una legge che ne fornisca una nozione generale e astratta, la natura di sciopero dipende dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali, ossia da proclamazione e comportamenti.

Come ogni diritto, allora, anche lo sciopero deve essere bilanciato con altre posizioni meritevoli di tutela, ed è per questo che uno dei rari interventi normativi in materia è la legge 146 del 1990, per la regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Senza soffermarsi troppo sulla disciplina, possiamo dire che, quando uno sciopero riguarda determinati settori, e può quindi ledere altri diritti degni di tutela (come la cura, l’istruzione, la circolazione) all’azione sindacale sono imposti limiti e procedure. E a vigilare sul rispetto di queste regole c’è la Commissione di garanzia.

I rilievi della Commissione di garanzia sullo sciopero "generale"

Nel caso dello sciopero generale proclamato da due sindacati confederali, Cgil e Uil, la Commissione ha segnalato, nel suo provvedimento dell’8 novembre, la violazione di due regole, quella sulla rarefazione oggettiva e quella sulla durata massima della prima azione di sciopero.

Il principio della rarefazione oggettiva prevede che, per evitare un impatto eccessivo sulla continuità del servizio, ci debba essere una distanza minima di dieci giorni tra scioperi che riguardano uno stesso settore, mentre i lavoratori del trasporto aereo e dell'igiene ambientale era già stato proclamato un altro sciopero, da altre sigle sindacali, il 24 ottobre, quindi sette giorni dopo.

Sono inoltre previsti, nelle singole categorie, in base agli accordi collettivi, dei limiti massimi per la durata del primo sciopero della vertenza: questa regola però, come spiegato nella delibera 03/314 della stessa Commissione di garanzia, e disinvoltamente citata nella comunicazione di ieri, non si applica qualora le categorie che erogano servizi pubblici essenziali aderiscano a uno sciopero generale. Eppure, in questo caso, la Commissione pretende comunque il rispetto di questa regola, proprio negando alla mobilitazione proclamata per il 17 novembre la natura di sciopero generale.

Il "consolidato orientamento" che non c’è

La spiegazione sul punto è scarna, se non del tutto inesistente. Nel provvedimento originale non c’è nessuna argomentazione, salvo delle eloquenti virgolette alla locuzione sciopero "generale". Nella comunicazione successiva, arrivata dopo l’audizione delle sigle sindacali, c’è qualche parola in più:

Lo sciopero, così come proclamato dalle Confederazioni sindacali (con esclusione di numerosi settori) non può essere considerato, come da consolidato orientamento della Commissione, quale sciopero generale, ai fini dell’applicazione della disciplina che consente delle deroghe alle normative di settore sui servizi pubblici.

Ma quale sarebbe il "consolidato orientamento" della Commissione di garanzia? Spulciando tra le delibere si ritrovano diversi documenti relativi alle regole da rispettare, e alle deroghe previste, in caso di sciopero generale, ma non c’è nessuna indicazione univoca su che cosa debba intendersi per sciopero generale. La delibera 03/314 si riferisce, quasi tautologicamente, alla mobilitazione «proclamata da una o più confederazioni sindacali dei lavoratori, coinvolgente la generalità delle categorie del lavoro pubblico e privato». Un altro contenuto di valore vagamente definitorio si pone in senso opposto rispetto a quanto deciso in questi giorni dalla Commissione di garanzia: la delibera 01/152 del 5 dicembre 2001 si riferiva infatti a "scioperi che per estensione (un intero settore o intersettoriale), dimensione nazionale, potenziale partecipazione e impatto siano valutabili come sciopero generale". La natura generale di uno sciopero allora prescinde dalla totalità di settori aderenti e dipende piuttosto dalla dimensione e dalla potenzialità di partecipazione e impatto. Queste caratteristiche non sono decise da una specifica norma di legge (mai varata), né da un consolidato orientamento della Commissione (che non c’è), ma casomai dal tenore della proclamazione effettuata dai sindacati.

I luoghi comuni su scioperi e weekend

Fermo restando il necessario rispetto della regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, l’esclusione della natura generale del prossimo sciopero proclamato da Cgil e Uil non può lasciare indifferenti, specie alla luce della scarsità di argomentazioni tecniche che rischia di far intravedere l’ombra di quelle politiche. Sebbene infatti la Commissione di garanzia sia un organismo terzo e indipendente, la nomina dei suoi componenti resta di competenza parlamentare, e rispecchia quindi i diversi equilibri delle maggioranze.

A questo si aggiunge l’interventismo di un ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, che pare ignaro dell’inopportunità delle sue dichiarazioni. Di fronte a una dialettica tecnica, ai limiti del tecnicismo, tra gli attori sindacali e l’organo di garanzia, il leader della Lega decide infatti di esibirsi in dichiarazioni contro Landini e contro i lavoratori. E i suoi luoghi comuni, per quanto fastidiosi, sono la parte meno grave del discorso: parlare di "weekend lungo" significa infatti ignorare che i ferrovieri, normalmente, lavorano anche di sabato e di domenica, e che quindi, se anche le mobilitazioni fossero sempre di venerdì (e così non è, come saprebbe Salvini se avesse sfogliato l'osservatorio sugli scioperi ospitato proprio sul sito del MIT), le ragioni dello sciopero sarebbero comunque di protesta politica a proprie spese, con la rinuncia alla retribuzione, e certo non di allungamento di un fine settimana di riposo di cui molti lavoratori già non godono.

Ma questa ignoranza qualifica casomai le competenze (o le scelte retoriche) del leader della Lega, senza intaccare le decisioni della Commissione. A rischiare di svalutarle sono invece le scelte cronologiche di queste esternazioni, e il continuo riferimento alla precettazione, che rappresentano una mancanza di rispetto del ministro verso la Commissione di garanzia stessa.

Il tempismo di Salvini e la precettazione

Da un lato, infatti, i commenti di Salvini rischiano di condizionare i provvedimenti della Commissione: se pure i commissari fossero del tutto apolitici e guidati solo da ragioni tecnico-giuridiche (seppur poco o male argomentate, come si è visto), il tempismo delle esternazioni salviniane politicizza il confronto e fa apparire influenzata la Commissione anche ove non lo fosse davvero. Dall’altro, Salvini fa nuovamente uso della precettazione: "È l'onore e onere di fare il ministro. Se non rispetteranno le regole sarò io direttamente a imporre delle limitazioni orarie".

Al di là della retorica sull’onore, non particolarmente sensata accanto a un provvedimento amministrativo straordinario come quello della precettazione, ossia la riduzione di un diritto costituzionalmente garantito come lo sciopero, quel che Salvini tralascia è che la precettazione non è qualcosa che possa imporre direttamente in qualunque caso di mancato rispetto delle regole (per cui già esistono sanzioni), ma un atto eccezionale qualora "sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona". L’ordinanza in questione può sì provenire dal potere esecutivo, cioè da un ministro, ma solo in caso di necessità e urgenza. Nella generalità dei casi, invece, la precettazione è imposta su richiesta della Commissione di garanzia, che Salvini finisce ancora per calpestare attraverso queste dichiarazioni di protagonismo.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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