50 anni fa l’appuntato D’Alfonso veniva ucciso dalle BR, il figlio: “Ora verità per mio padre”

L'industriale Vittorio Vallarino Gancia sequestrato dalle Brigate Rosse, l'uccisione dell'appuntato Giovanni D'Alfonso e il brigatista fuggito rimasto senza nome: memorie di un'Italia in bianco e nero che cinquant'anni dopo tornano d'attualità con un nuovo processo ad Alessandria per l'omicidio del carabiniere.
È il 4 giugno 1975 quando un commando delle Brigate Rosse porta l'imprenditore del vino Gancia, sequestrato mentre si reca in azienda, a Cascina Spiotta (Arzello di Melazzo) sulle colline del Monferrato.
Il giorno successivo, il 5 giugno 1975 i carabinieri di Acqui Terme perlustrano la zona e nella cascina si imbattono nei due brigatisti che sorvegliano l'industriale. Ne nasce un conflitto a fuoco in cui perdono la vita l'appuntato D'Alfonso, morirà sei giorni dopo, e Margherita Cagol, fondatrice delle Brigate Rosse e moglie di Renato Curcio. Nelle battute finali dello scontro, l'altro brigatista riesce a scappare nei boschi: sarà a lungo l'uomo senza nome.
La ricerca della sua identità, e quindi dell'uomo considerato responsabile della morte di D'Alfonso, è durata quasi cinquant'anni, ostacolata da silenzi e reticenze, e ha ripreso forza solo grazie alla tenacia di Bruno D'Alfonso, uno dei tre figli dell'appuntato ucciso alla Spiotta. Grazie all'esposto presentato nel novembre del 2021 dall'avvocato Sergio Favretto, legale di D'Alfonso, la procura di Torino ha fatto ripartire le indagini ritenendo l'ex BR Lauro Azzolini il brigatista fuggito.

Bruno D'Alfonso
"Dal 2009 al 2018 ho iniziato a sentire tutti i personaggi che giravano intorno a questa storia, dai colleghi di mio padre allo stesso Vallarino Gancia. Volevo sapere chi avesse sparato a mio padre, un'efferatezza del genere [i colpi che hanno ucciso D'Alfonso sono stati sparati da vicino, ndr] non poteva passare così inosservata, specialmente dallo Stato che avrebbe dovuto difendere un suo carabiniere che ha perso la vita nell'adempimento del proprio dovere, ma già dopo cinque sei mesi da quel conflitto a fuoco le indagini si sono interrotte",
ci racconta Bruno D'Alfonso che abbiamo incontrato nella sua abitazione vicino Pescara.
Tante le ombre su Cascina Spiotta, dall'intervento dei carabinieri della territoriale di Acqui Terme, guidati dall'allora tenente Umberto Rocca, che avrebbe dovuto aspettare il supporto del gruppo antiterrorismo del generale Alberto Dalla Chiesa, al mancato riconoscimento di Azzolini, possibile già dal 1978 dopo il suo arresto a Milano.
Il sequestro Gancia e il conflitto a fuoco
Il sequestro Gancia fu la prima operazione di autofinanziamento delle Brigate Rosse. Dopo il blitz, il commando portò Gancia a Cascina Spiotta, acquistata anni prima sotto falso nome da Margherita Cagol. Ad Alessandria, oggi a processo con Lauro Azzolini, ci sono anche Renato Curcio e Mario Moretti, del nucleo storico delle Brigate Rosse.
Le indagini su Azzolini hanno avuto un primo riscontro con le analisi delle impronte digitali sul cosiddetto memoriale Cascina Spiotta, una relazione sugli eventi del 4 e 5 giugno 1975 redatto dal brigatista in fuga, rinvenuto l'anno dopo nella base delle BR in via Maderno a Milano.
Analisi però che sono arrivate solo con l'impulso dell'esposto di Bruno D'Alfonso: "Sapevo, perché sono stato carabiniere anch'io, che sulla carta si potevano asportare le impronte digitali, quando ho visto il memoriale ho subito detto che questo poteva essere un elemento di riapertura delle indagini".
Il memoriale racconta minuziosamente tutti i passaggi del conflitto a fuoco: il primo confronto tra i carabinieri e i due brigatisti, sorpresi in casa, con il lancio di una bomba che colpisce il tenente Rocca (perde un braccio e un occhio) e il maresciallo Rosario Cattafi, poi l'uscita di casa dei due brigatisti e il conflitto a fuoco con D'Alfonso. Padre di tre figli, 45 anni, gravemente ferito, D'Alfonso morirà l'11 giugno in ospedale. C'è poi l'ultimo tentativo di fuga di Cagol e dell'altro brigatista: salgono su due auto ma si tamponano subito. Quando escono c'è l'appuntato Pietro Barberis.
Sotto tiro, i due fingono la resa mentre il secondo brigatista lancia l'ultima bomba contro Barberis che risponde sparando. Qui le versioni divergono: in quella ufficiale, dopo il lancio della bomba, Cagol è colpita da Barberis, mentre secondo il memoriale, i colpi che uccidono Cagol, arresa e con le braccia alzate, arrivano dopo, quando il fuggitivo è già verso il bosco: "tre colpi secchi e poi delle raffiche di mitra" si legge. "Non pongo un veto su questa verità, deve emergere la verità su tutto, anche lei ha diritto a questo, in questo momento però si sta decidendo sulla responsabilità per la morte di mio padre" commenta D'Alfonso.
"Io c'ero 50 anni fa"
Lauro Azzolini, ormai su tutti i giornali dopo l'arresto a Milano nel 1978, non viene mai ufficialmente identificato come il fuggitivo. Fino alla doppia svolta. Prima le impronte sul memoriale e le intercettazioni, poi le dichiarazioni spontanee nel corso del processo davanti alla Corte d'Assise di Alessandria: "Alla Cascina Spiotta io c'ero 50 anni fa" ha detto a marzo l'ex Br oggi 82enne,"morirono due persone che non avrebbero dovuto morire". Bruno D'Alfonso era a pochi metri da Azzolini:
"In quel momento ho pianto dentro, non l'ho guardato negli occhi, quando ha detto ‘mi dispiace', l'ha detto dopo 50 anni, quando è stato messo con le spalle al muro", spiega D'Alfonso. "Ora vorrei solo che arrivasse la verità nella sua interezza, è una rivincita per tutti quelli che si sono adoperati in questa ricerca e per mio padre, per rendere onore alla sua memoria, questa ricerca è stata un modo per essere vicino a mio padre".