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Elezioni politiche 2018

Perché abolire la riforma Fornero sarebbe un disastro

Da settimane Matteo Salvini propone l’abolizione della riforma Fornero e nel programma condiviso firmato dai vari leader di coalizione figura proprio “l’azzeramento della legge Fornero, da sostituire con una nuova riforma socialmente ed economicamente sostenibile”. Conti alla mano, è possibile abolire la riforma previdenziale varata dal governo Monti oppure anche questa è una delle tante promesse elettorali irrealizzabili?
A cura di Charlotte Matteini
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Da qualche settimana è ufficialmente partita la campagna elettorale e fino al prossimo 4 marzo numerose saranno le promesse che i candidati di ogni schieramento politico faranno ai cittadini nel tentativo di accaparrarsi voti e consensi. Tra abolizioni di tasse varie e l'introduzione della flat tax, la coalizione di centrodestra – seguita dal Movimento 5 Stelle – propone l'azzeramento della riforma previdenziale ideata dall'ex ministro del Lavoro Elsa Fornero e varata dal governo Monti a fine 2011. L'abolizione della legge Fornero è da sempre il cavallo di battaglia del segretario del Carroccio Matteo Salvini, il quale da anni chiede a gran voce lo stralcio delle norme varate dal governo tecnico Monti e l'abbassamento dell'età pensionabile, arrivando a raccogliere le firme per il referendum abrogativo, quesito dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale nel gennaio del 2015.

Sebbene l'alleato Silvio Berlusconi abbia più volte dichiarato che non sarà possibile abolire in toto la riforma Fornero, ma di essere piuttosto favorevole all'introduzione di correttivi, tra i vari punti contenuti all'interno del programma elettorale condiviso firmato da tutti i leader della coalizione di centrodestra si legge: "Azzeramento della legge Fornero e nuova riforma previdenziale economicamente e socialmente sostenibile". Non è dato sapere, al momento, che tipo di riforma proporrebbe il centrodestra una volta al governo, ma stando alle dichiarazioni incrociate dei due maggiori leader di coalizione, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, appare evidente come i punti di vista in materia siano piuttosto divergenti e confusi. Esattamente come per la flat tax, anche per quanto riguarda questa specifica promessa elettorale la domanda che sovviene è la medesima: è possibile abolire la riforma Fornero? Conti (pubblici) alla mano, la risposta è no.

I primi allarmi relativi alla tenuta dei conti dell'Inps risalgono all'inizio degli '90, tanto che nel 1994 l'allora outsider Silvio Berlusconi, che si apprestava a scendere in politica, sostenne per tutto il corso della campagna elettorale la necessità di riformare drasticamente il sistema previdenziale italiano e di aumentare l'età pensionabile. Ventiquattro anni dopo, insieme all'alleato Matteo Salvini, sembra si sia scordato dell'allarme e propone l'azzeramento della riforma Fornero (da sostituire non si sa con quale altro tipo di riforma), l'innalzamento delle pensioni minime a 1000 euro (ovvero praticamente il raddoppio) e l'erogazione di una pensione per le mamme, trattamenti ovviamente non coperti da versamenti contributivi ma scaricati completamente sulle spalle della fiscalità generale e, soprattutto, esattamente come negli anni '80, delle generazioni future.

Come funziona il sistema pensionistico italiano

Per capire per quale motivo l'abolizione totale della riforma Fornero è una promessa elettorale irrealizzabile occorre spiegare brevemente come funziona il sistema previdenziale italiano. L'Inps è un sistema pensionistico a ripartizione senza copertura patrimoniale, questo significa che le pensioni per la maggior parte (circa il 52% dei trattamenti complessivi) vengono erogate ricorrendo alla fiscalità generale e non sono coperte da un vero e proprio accantonamento dei contributi. I contributi che i lavoratori attivi ogni mese versano all'Inps, dunque, non appartengono al lavoratore stesso, ma finiscono in un grande calderone generale dal quale l'istituto di previdenza attinge le risorse per pagare le pensioni di chi è già in pensione, risorse che vengono integrate anche dalla fiscalità generale.

In virtù del cosiddetto "patto intergenerazionale", le pensioni vengono infatti erogate grazie ai versamenti contributivi delle generazioni successive ed è proprio (anche) a causa di questo patto intergenerazionale – unito a regalie politiche varie – che il debito previdenziale contratto negli anni '70 e '80 è andato via via scaricandosi sulle spalle dei nuovi nati. Per porre rimedio a queste storture ed evitare il fallimento dell'Inps, dal 1995 in poi i governi hanno introdotto una serie di riforme previdenziali sempre più stringenti, di cui la legge Fornero fa parte.

Che cos'è e come funziona la riforma Fornero

La riforma Fornero venne introdotta alla fine del 2011 in un momento storico ed economico molto delicato per l'Italia. Il Belpaese, infatti, era sull'orlo di un vero e proprio default in puro stile Grecia e senza riforme e manovre "lacrime e sangue" non si sarebbe salvato. La riforma pensionistica dell'allora ministro Elsa Fornero cercò di mettere in sicurezza i conti pubblici ed evitare danni peggiori. La riforma Fornero prevede l'applicazione del calcolo contributivo per tutti i lavoratori, anche per quelli che in virtù della riforma Dini del 1995 sottostavano a un sistema di calcolo misto retributivo-contributivo. In sostanza, con la riforma Fornero, la pensione viene calcolata in base ai contributi versati dai lavoratori nel corso dell'intera carriera professionale e non più in base agli ultimi stipendi percepiti come nel metodo retributivo (calcolo che, ovviamente, generava pensioni più alte e non coperte da adeguati e reali versamenti).

Inoltre, la riforma ha innalzato l'età pensionistica di uomini e donne stabilendo una serie di nuovi requisiti: l'aumento di un anno contributivo per le pensioni di anzianità (ora chiamate “anticipate”) e l'abolizione delle cosiddette quote (somma di età anagrafica e anzianità contributiva). La riforma introdusse anche l'allungamento graduale entro il 2018 dell’età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti private per allinearle a tutti gli altri, l'adeguamento all’aspettativa di vita a cadenza biennale dopo il 2019 e il blocco totale della perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo per gli anni 2012–2017 (dichiarato in seguito incostituzionale).

La riforma Fornero ebbe degli effetti collaterali, ovvero la generazione dei cosiddetti "esodati", lavoratori rimasti senza pensione e senza lavoro in virtù di alcuni accorsi di pre-pensionamento siglati con le proprie aziende che si sono visti di punto in bianco innalzare l'età pensionabile di svariati anni. Nel corso degli anni, però, il governo è intervenuto per sanare la situazione garantendo uno "scivolo".

Quanto costerebbe abolire in toto la riforma Fornero

Abolire la riforma Fornero costerebbe allo Stato circa 350 miliardi di euro, ovvero l'azzeramento dei risparmi prodotti sul lungo termine dei correttivi apportati al sistema previdenziale dal governo Monti. Stando ai conti della Ragioneria di Stato, l'abolizione della Legge Fornero costerebbe oltre 23 miliardi nel solo primo anno di applicazione e andrebbe letteralmente a bruciare quei 350 miliardi di risparmi cumulati fino al prossimo 2060. Il grosso del buco di bilancio si realizzerebbe nel medio termine, ovvero nel decennio 2020-2030: in questo lasso di tempo l'abolizione della legge Fornero costerebbe un punto di Pil all'anno, cioè 17 miliardi di euro, con un massimo di 1,4 punti nel 2020, ovvero 23,8 miliardi fra due anni. Cancellare la riforma Fornero e alzare nuovamente la spesa pensionistica scaricherebbe sulle spalle della cosiddetta fiscalità generale, ma soprattutto dei giovani, un debito enorme e insostenibile. Per realizzare questo tipo di abolizione, inoltre, difficilmente sarà possibile rientrare nei parametri di bilancio imposti dall'Ue e recepiti in Costituzione, dunque, conti alla mano, di fatto azzerare la riforma Fornero oltre che disastroso sarebbe inoltre impossibile.

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