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Opinioni

Ora vanno a fondo anche i Bund: che succede?

Clamoroso flop dell’asta dei Bund decennali: ora neppure la Germania appare più un porto sicuro. Risolvere la crisi è ancora possibile ma non sarà nè semplice nè immediato.
A cura di Luca Spoldi
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Angela Merkel

I miei ex colleghi gestori di fondi comuni continuano a guardare allibiti il lento ma costante sgretolarsi delle quotazioni di azioni e obbligazioni quotate sulle piazze finanziarie europee (e di riflesso anche asiatiche e americane) e più che augurarsi difficili (almeno a breve) recuperi di fiducia e inversioni di tendenza cercano semmai di recuperare parte delle perdite acquistando put (diritto di vendere a un prezzo prefissato entro una data scadenza) o ETF short  (fondi indicizzati che guadagnano al calare delle quotazioni dei titoli o indici sottostanti, perdendo in caso di rialzo delle stesse) sui Bund tedeschi.

E’ del resto un atteggiamento corretto e quasi inevitabile, dopo che l’asta odierna di titoli di stato decennali tedeschi si è dimostrata un flop clamoroso, venendo sottoscritta solo al 60% rispetto all’importo massimo programmato di 6 miliardi di euro (sia pure a tassi in frazionale calo pari all’1,89%) con conseguente intervento della Bundesbank, che ha sottoscritto poco più di 2,3 miliardi a fronte di 3,644 miliardi collocati agli investitori. Così come è corretto ed è bene che la Federal Reserve lanci (come ha fatto ieri sui 31 maggiori istituti statunitensi) un nuovo stress test nel quale le banche dovranno dimostrare di disporre di un capitale in grado di resistere ad una recessione “grave” negli Usa (disoccupazione al 13% e un calo dell’8% Prodotto interno lordo) e all’eventuale default sul debito dei principali partner commerciali degli Usa, prima di poter aumentare i dividendi o di riacquistare azioni proprie.

Nel frattempo a rendere il quadro ancora più cupo (o ancora più trasparente, a seconda di come la si guardi) l’Eba, (European banking authority), cui spetta di coordinare le operazioni di ricapitalizzazione delle banche del vecchio continente (le stime sul valore di tali operazioni variano nel complesso dai 150 ai 350 miliardi di euro a seconda delle fonti), ha lanciato l’ennesimo grido d’allarme segnalando come a fronte di un mercato del credito a medio-lungo termine completamente paralizzato, le banche europee si trovino nella necessità di raccogliere fondi per 700 miliardi di euro da qui a fine 2012.

Ricapitolando: gli investitori riducono la propria esposizione in titoli o cercano di coprirsi da ulteriori cali delle quotazioni, le curve dei tassi si stanno invertendo per tutti i principali paesi, lo spread tra i vari titoli nazionali e i Bund tedeschi si chiude verso l’alto per la percezione che a questo punto neppure la Germania è un “porto sicuro” (restano per ora i T-bond, nonostante il problema del debito pubblico statunitense, che potrebbe esplodere se non si troverà un accordo per ridurre le spese o se l’economia tornerà a contrarsi). Nel frattempo le autorità cercano di convincere le banche a ricapitalizzare, anche tramite “annunci shock” (ma intanto preparandosi a fornire ulteriore liquidità a banche e stati, come sembra intenzionato a fare il Fondo monetario internazionale, per evitare il collasso dell’intero sistema economico europeo a stretto giro di posta), mentre la Commissione Ue, nel tentativo di smuovere la Germania ancora fortemente ostile all’idea che si giunga a emettere Eurobond comunitari (ulteriore tessera del complesso puzzle che occorrerà comporre quanto prima per risolvere la crisi una volta per tutte), ha suggerito che per tornare a crescere (unica vera soluzione finale per simili situazioni) gli stati membri dovrebbero “impegnarsi maggiormente ad attuare le riforme strutturali e abbracciare una più profonda integrazione dell’area euro”, come ha dichiarato il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, parlando a Sparta (ossia all’Europa intera) perché Atene (la Germania) capisca.

Se a qualcuno tutto questo sembra una grande congiura, o la riprova che gli stati sono carrozzoni inutili e l’unica salvezza è “ciascuno per sé e Dio per tutti”, forse fareste bene a ripassare i fondamentali di economia (materia troppo poco presente nei programmi scolastici del Belpaese di ogni ordine e grado). Stiamo pagando (tutti quanti) colpe e debiti (letteralmente) accumulati da decenni: la soluzione non giungerà immediata e non sarà indolore, indipendentemente da chi ce la propinerà con maggiore o minore successo e con maggiore o minore attenzione ad agire in modo socialmente equo e ad individuare eventualmente le responsabilità (e l’eventuale penale da pagare, sia essa politica, giudiziaria o economica). Per evitare di fare la spiacevolissima fine dell’Argentina, la Grecia, l’Italia, la Spagna e l’Europa tutta (comprese le “virtuose” Olanda e Germania) dovranno serrare le riga, arrivare a una autentica integrazione politica, fiscale ed economica, ristrutturare ed efficientare la spesa pubblica, riscrivere regole nuove che consentano di far ripartire gli investimenti privati, riequilibrare il carico fiscale, sradicare l’evasione, colmare i vari “divide” digitali o meno che siano che separano l’Unione europea (e al suo interno i singoli paesi membri tra loro) dal resto del mondo.

Un compito come già ho detto più volte “da far tremare i polsi” a qualsiasi governo democraticamente eletto (Italia e Grecia comprese, ovviamente) e che sta già ottenendo un risultato: mandare a casa una generazione di politici (ma in buona misura anche una generazione di industriali e banchieri) che non hanno saputo gestire i tempi in cui vivevano né guardare con sufficiente lungimiranza al futuro prossimo venturo (e tanto meno a quello a lunga scadenza, in cui vivranno i nostri figli e nipoti). A me non pare un risultato da sottovalutare, il resto è principalmente un assordante rumore di fondo, di cui certamente occorre tener conto perché ha ripercussioni dirette sulla nostra vita (visto che banche e imprese, essendo società a scopo di lucro, tutelano gli interessi dei propri azionisti di controllo prima e più che quelli di altri stakeholder), ma dal quale occorre cercare di non farsi sopraffare, visto che a fare chiasso contribuiscono spesso sia i mezzi d’informazione di massa sia l’azione dell’una o dell’altra lobby, interessata a far prevalere la propria campana e sopportare il minor sacrificio possibile.

Il che dovrebbe anche farvi riflettere quando leggete di sottoscrizioni “patriottiche” di titoli di stato, Btp Day e altre amenità del genere: se volete investire perché pensate che le quotazioni attuali siano esageratamente basse rispetto al prossimo futuro (e che l’euro alla fine non si disintegrerà, né falliranno tutte le maggiori banche o le più grandi imprese europee) fatelo pure, con prudenza. Altrimenti non fate atti di fede, neppure nei confronti del sottoscritto: usate il vostro cervello e cercate di capire cosa sta succedendo e perché. Il che pure non mi pare un compito semplicissimo né da disprezzare, visto il momento attuale.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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