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Sfigurato dall’acido per uno scambio di persona: “La mia vita va avanti, loro sono persone senza anima”

Stefano Savi, vittima di una delle aggressioni della “coppia dell’acido” formata da Alexander Boettcher e Martina Levato, fu colpito la notte del 2 novembre 2014 mentre tornava a casa dalla discoteca. Aveva 25 anni, e fu scambiato per un ex fidanzato della giovane. “Il percorso di ricostruzione è stato lungo, ho sofferto tanto. Ma ho reagito, e oggi sono felice”
A cura di Francesca Del Boca
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È stato un attimo. 2 novembre 2014: Stefano Savi ha 25 anni, è uno studente milanese, e quella notte rientra a casa dopo una nottata trascorsa in discoteca con gli amici. Uno sconosciuto lo sorprende alle spalle, e nell'oscurità gli versa addosso un liquido strano. Il suo volto inizia a bruciare, la pelle a pizzicare, la vista a sparire: è acido solforico. Le urla squarciano il silenzio della notte autunnale. Stefano si risveglia in ospedale, dove resterà ricoverato per mesi e mesi. L'inizio della sua seconda vita.

Nel frattempo, i contorni della faccenda si fanno sempre più chiari. Stefano è stato vittima del diabolico agguato della cosiddetta "coppia dell'acido", il sodalizio ossessivo-criminale formato da Alexander Boettcher e da Martina Levato. La sua colpa? Assomigliare a uno degli ex fidanzati di Martina, uomini che lei doveva annullare "per purificarsi". Un tragico scambio di persona, che condanna Stefano ad anni e anni di dolore fisico e mentale. Per mesi non riesce a riconoscersi, l'esistenza si stravolge.

Solo oggi, dopo più di 50 operazioni chirurgiche e trapianti di pelle, una maschera di silicone indossata per tre anni, la perdita della vista da un occhio e danni permanenti all'udito e al tatto, Stefano può dirsi rinato. "Soltanto adesso riesco a specchiarmi. In quel riflesso vedo un volto nuovo, ne scruto i dettagli senza più distogliere lo sguardo. Sono le cicatrici, i postumi di un gesto folle e allo stesso tempo la testimonianza della mia rinascita", racconta a Fanpage.it. "Soltanto ora mi è chiaro quanto sia un privilegio guardare la strada, la natura, le persone. Io sono quasi morto, ancora tre millimetri e mi si sarebbe sciolta la carotide. Sono stato fortunato. Questo è il mio pensiero".

Cos'è successo quella sera del 2 novembre 2014?

Una serata normalissima, come tante. Dopo aver riaccompagnato tutti gli amici a casa, arrivo davanti al cancello ed esco dalla macchina per aprirlo e parcheggiare nel vialetto. Intravedo una figura da dietro che mi assale, e mi lancia un liquido addosso. Dopo un secondo già non vedo più. Riesco a entrare in giardino, strappo l'erba da terra per pulirmi gli occhi e togliere quella sostanza, ma è tutto inutile. Riesco a salire al primo piano e mio padre mi vede entrare così, tutto nero. Provo a lavarmi la faccia con l'acqua, anche qui senza speranza. Dopodiché mi trasferiscono al reparto Grandi Ustioni del Niguarda. Sono stato ricoverato per tre mesi.

Un'aggressione apparentemente senza spiegazione. Quando è venuta fuori la verità?

Inizialmente pensavo a un furto. Non ho mai avuto problemi, non avevo nemici. Non sapevo darmi una spiegazione. La verità, ovvero la storia dello scambio di persona, è venuta fuori dopo tre mesi. La prima volta che sentii i loro nomi dissi d'istinto: "Ma chi sono? Non li conosco". Rimasi sveglio tutta la notte a cercare dei collegamenti con loro, ma nulla. Restavano perfetti sconosciuti. E sulla lista delle vittime del loro piano diabolico, con tutti gli ex fidanzati di Martina Levato, non figurava il mio nome. Finché non è arrivata l'agghiacciante verità: "Volevano sfregiare Giuliano Carparelli, che avrebbe avuto un rapporto sessuale con la Levato. Hanno colpito te per la somiglianza, è stato un errore".

Il momento più buio di questi anni?

Ho smesso di lavorare per quattro anni, e in quel tempo ho messo in pausa la mia vita: per più di due anni ho indossato una maschera talmente chiusa che mi impediva anche di parlare. I primi tre mesi in ospedale sono stati durissimi, anche mentalmente. Passare da una situazione in cui puoi fare tutto ciò che vuoi a una, al contrario, dove non puoi fare più niente, è difficile. E poi il dolore fisico. Quando al mattino gli infermieri accendevano le luci per illuminare la stanza mi sembrava di impazzire dal male. Era atroce, sentivo lame taglienti che scavavano nei miei occhi. Rimanevo a letto tutto il giorno sperando che si facesse notte il prima possibile.

Hai seguito in prima linea il processo nei confronti di Martina Levato e Alexander Boettcher. Ti sei mai messo in contatto con loro?

Li ho visti in udienza, e sinceramente non mi hanno fatto né caldo né freddo. Sono stati definiti dalle cronache "la coppia dell'acido", ma io preferisco chiamarli "persone senza anima". Sia per le aggressioni con l'acido, figlie di un piano sadico e prestabilito, sia per quello che li aveva accomunati prima: complotti, congetture mentali, violenze psicologiche, sadismo. Io intanto sono quasi morto, per tre millimetri non mi si scioglieva la carotide. Ma la mia vita va avanti lo stesso, indipendentemente dalla sorte di chi mi ha fatto questo. Le cose purtroppo succedono, e non bisogna perdere tempo a chiedersi: "Perché a me, cosa ho fatto di male", e così via. Bisogna reagire.

Oggi come vivi?

Tante cose non riesco più a farle, sono ancora cieco da un occhio e dovrò fare altre operazioni. Considerando quello che è successo, però, oggi ho una buona qualità di vita. Questa quasi normalità, che ho acquisito dopo un lungo percorso, adesso mi fa stare bene. Mi rende felice.

Come hai superato tutto questo?

Grazie agli affetti che ho avuto vicino, da mio padre alla mia fidanzata. Sono fortunato di avere loro intorno e orgoglioso del percorso che ho fatto, soprattutto dal punto di vista mentale. Oggi voglio davvero aiutare chi sta ricostruendo la sua vita, come io ho dovuto ricostruire la mia. Siamo tutti bravi a condividere i momenti felici. Condividere un momento negativo invece può essere incentivante, per chi pensa di non avere la forza di affrontare i problemi della vita. Io ho imparato proprio questo: a condividere il dolore con chi mi stava accanto.

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