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Opinioni

La “voce” dei live club: “Milano senza musica è noiosa, ormai sembra che esista solo il food”

Aumentare la capienza tenendo l’obbligo delle sedie salva gli stadi, i cinema e i teatri, non i live club. All’ennesima notizia della chiusura di un locale, stavolta il Circolo Magnolia di Milano, è ora di chiedersi se una città metropolitana può moltiplicare torri, uffici e ristoranti mentre tutto intorno chiudono i live club e la vita dei quartieri si spegne sotto il falso problema della “sicurezza”, anche se è chiaro a tutti che le strade sicure sono quelle dove c’è gente, non le strade buie e deserte. Abbiamo chiesto ad alcuni principali organizzatori di eventi della scena milanese se una città fatta solo di food e skyline non rischi di perdere il proprio carattere.
A cura di Stela Xhunga
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(Immagine di repertorio)
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“La gente ha bisogno di ballare. Ogni sabato sera c’era qualcuno che chiamava e chiedeva ‘che serata c’è oggi? Si può ballare?', e magari era tornato dalle vacanze in Francia, in Belgio o in Austria dove aveva ballato tutte le sere”. Dopo la riapertura estiva, gli organizzatori del Magnolia, storico Circolo Arci che sta sulla circonvallazione dell’Idroscalo alle porte di Milano, hanno deciso di chiudere. Quest’estate i 20 dipendenti assunti hanno potuto ricevere lo stipendio pieno, senza ricorrere alla cassa integrazione, e pare già molto. E pensare che prima del Covid, dice a Fanpage.it Lorenzo Rubino, responsabile comunicazione del Magnolia, "un sabato sera qualunque dava lavoro a 3 responsabili di serata, 5 cassieri all’ingresso, 5 cassieri al bar, 20 addetti alla security, 4 tecnici del suono, 18-20 baristi, più le band e i deejay sul palco". Perché chi fa musica lavora e crea lavoro, non fa movida. “Quando ho fatto richiesta per i fondi messi a disposizione dal Ministro Franceschini ero impressionato, siamo in tantissimi a fare musica”. Corrado Gioia, da tutti conosciuto come “Riot” per via del nome dato all’etichetta discografica da lui fondata, in due anni ha visto chiudere locali storici che con la loro programmazione hanno dato molto alla città di Milano. “Milano è diventata meta musicale grazie anche realtà piccole come il circolo Ohibò, oggi chiuso, e lo Spazio Ligera, dove al momento è quasi impossibile fare concerti”.

Lorenzo Rubino
Lorenzo Rubino

La musica non si fa solo negli stadi

Proprio ieri, dopo l’ok del Comitato tecnico scientifico, il Governo ha varato un provvedimento nazionale che aumenta la capienza degli stadi al 75 per cento e quella di cinema e teatri all’80 per cento. Basterà a salvare la musica in Italia e in una città come Milano? No. “Si salvano Paul McCartney e Alessandra Amoroso, si salva il mainstream dei grandi tour negli stadi e nei teatri, ma sparisce la musica alternativa, perché al di là della capienza, Alessandra Amoroso da seduto la ascolti, un gruppo hardcore come i Converge no”. Per quanto possa suonare ridicolo, il problema sono le sedie. Sono le sedie a decretare la vita o la morte di una realtà musicale. E a vincere, neanche a dirlo, sono i “grandi”, siano essi grandi nomi o grandi posti. “Prendiamo un luogo polivalente come il Forum, quel posto è già concepito con le sedute. Togliendo il parterre togli un migliaio di persone, non vai a inficiare così tanto. Oppure l’Alcatraz, in piedi ci stanno oltre 3mila persone, con le sedute diventano 800. Ma le piccole realtà dei concerti live e del clubbing come il Tunnel Club o l’ex Dude Club? Muoiono”.

Corradio "Riot" Gioia
Corradio "Riot" Gioia

Milano non può essere solo food e skyline

“La nostalgia è una trappola” diceva Mario Monicelli e ogni evoluzione è buona, ben vengano tutte le nuove forme di intrattenimento scaturite dal distanziamento sociale imposto dalla pandemia. E con la vita dei quartieri sempre più spenta e un'offerta di intrattenimento sempre meno variegata l’unico divertimento sembra ormai essere mangiare e bere, con esiti non sempre positivi. “A Milano abbiamo visto start-up vincere premi vendendo fragole bio a 15 chilometri dal Duomo salvo poi chiudere con l’accusa di caporalato – continua Corrado – le cose sono sfuggite un po’ di mano, dobbiamo smetterla con le narrazioni che vendono un prodotto, la città non è un prodotto, Milano non può essere solo food e skyline”.

Quando si è trasferito 13 anni fa, Albert Hofer, una laurea in Criminologia, ha trovato una città viva “specie dopo l'Expo” dove “portavi la gente a ballare in periferia senza problemi, ora è un po’ più difficile”. La nostalgia però la riserva per la Milano 2019,“quando si poteva fare quello che si faceva pre Covid”. Con “Le Cannibale” organizzava in media 60 eventi all’anno, nel 2020 ne ha realizzati solo 7, nel 2021 appena 11. "In questi due anni abbiamo imparato che possiamo fare cose straordinarie in contesti inediti come può esserlo un planetario e tramite fruizioni musicali ritenute impensabili, e tutto questo me lo porto come un capitale acquisito, una skill preziosa. Ma ora mi aspetto soluzioni serie dal Governo, del resto l’introduzione del Green Pass serviva proprio a questo, tornare alla normalità”. Una normalità dove i concerti e gli eventi notturni non venivano bollati come “movida” ma erano visti per quello che sono e devono tornare a essere: attività culturali, indotti, incentivi ai trasporti pubblici, e quartieri più frequentati, perciò più sicuri. Perché le strade sicure sono quelle dove c'è gente che entra ed esce da un locale da cui provengono luci e si sposta con i mezzi di trasporto o prende un taxi. Non sono le strade buie e deserte.

Albert Hofer
Albert Hofer

Le strade sicure sono quelle dove c'è gente, non quelle buie e deserte

“Riaprire questi luoghi con regole chiare e uguali per tutti rappresenta un presidio di sicurezza sia sociale sia sanitaria. Quest'estate abbiamo letto numerosi articoli di giornale in tutta Italia sulla presenza di ‘ritrovi abusivi', all'aperto e al chiuso, senza nessun distanziamento e senza nessuna limitazione nell'accesso ai locali. Bisogna tornare, invece, a fare le cose per bene”. A scriverlo è lo stesso sindaco Beppe Sala, attaccato dalla destra proprio sul tema della “sicurezza”, un falso problema, a detta di Riot. “Abitando in Via Padova quel che vedo intorno è solidarietà, non poca sicurezza. Del resto quando l'allora Sindaco Letizia Moratti fece chiudere i negozi alle 21 aumentarono i reati. Oggi, se si guarda alle percentuali, si vede che i reati in città sono in calo. Quello della sicurezza è un falso problema”. Quello di una città noiosa, dove le multinazionali erigono grattacieli, le catene di franchising aprono ristoranti per gli uffici e i live club chiudono, ecco, quello sì, è un problema. 

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