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Cremona, il sindaco a Fanpage: “Siamo la provincia più colpita d’Italia, l’aiuto è arrivato tardi”

“Siamo noi la prima provincia come numero percentuale di contagi e anche il nostro ospedale è stato davvero investito da un’emergenza assoluta e totale. Siamo stati una trincea e una barriera rispetto ad altre zone della Lombardia. Ma avremmo avuto bisogno di più aiuto”. È la riflessione del sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, intervistato da Fanpage.it, sugli effetti del coronavirus in un territorio martoriato a lungo dal coronavirus, con numeri impressionanti. Qui la zona rossa, di cui si era parlato già due giorni dopo il primo caso di Codogno, non è mai stata istituita.
A cura di Simone Gorla
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"Non è un primato a cui teniamo, ma siamo noi la prima provincia come numero percentuale di contagi e anche il nostro ospedale è stato davvero investito da un'emergenza assoluta e totale. Siamo stati il territorio più colpito. Ora lo hanno confermato gli studi sui test sierologici, ma i dati c'erano, erano lì da vedere da tempo". Gianluca Galimberti, sindaco di Cremona, intervistato da Fanpage.it, ripercorre i lunghissimi mesi di emergenza che la sua città, e l'intera provincia, hanno vissuto. Travolte dal coronavirus, con la più alta incidenza di contagi in rapporto alla popolazione.

Nonostante già il 23 febbraio fosse chiaro che anche il Cremonese, come la provincia di Lodi, era già un focolaio attivo, come dimostra un audio esclusivo pubblicato da Fanpage.it, qui la zona rossa non è mai stata istituita.

Nelle prime giornate di crisi,  tra il 21 e il 23 febbraio, quando si è capito cosa stava per succedere, si aspettava l'istituzione di una zona rossa anche nel Cremonese? Ne aveva parlato con la Regione?

Io non entro nel merito ora di quella scelta, c'è modo e ci sarà modo di analizzarla. Sottolineo quello che noi abbiamo fatto. Nella notte tra 21 e 22 ricordo che decisi, e fummo i primi in Italia, di chiudere le scuole il sabato mattina. Cremona rispose immediatamente perché avevamo capito da subito quale poteva essere la gravità. Noi non abbiamo avuto titubanze.

Se era così chiaro fin da subito che Cremona si trovava in una situazione molto seria, ci si chiede perché non si stato imposto il lockdown. Da parte di altre istituzioni è mancata un po' di attenzione?

Per fare certe scelte servono osservatori che non sono certo quello della città, servivano osservatori regionali e nazionali e queste sono le considerazioni che hanno fatto. Avranno avuto le motivazioni per farle.

Ha avuto modo di parlare con governo e regione in quel momento, quella di non estendere la zona rossa è stata una scelta condivisa?

Noi ci rimettevamo alle riflessioni degli osservatori di livello superiore che in quel momento faceva la valutazione che poi ha portato alle scelte che si sono realizzate. Confini e contorni di una eventuale nuova zona rossa, quali implicazioni ha, sono scelte che hanno molti parametri e molte complessità. Noi ci tenevamo in contatto rispetto alle valutazioni che stavano facendo.

Non vi siete sentiti lasciati soli ad affrontare l'emergenza?

Quello che voglio dire è che noi abbiamo ospitato fin da subito moltissimi pazienti di Lodi e di Codogno. Abbiamo provato a lungo a spiegare, fino a quando poi ci è stata data risposta, che avevamo sicuramente bisogno di forze maggiori a livello sanitario. Penso che questa cosa si sia realizzata dopo un po'. Dopo tre o quattro settimane, quando poi è arrivato l'ospedale da campo della ong statunitense.

Che aiuto è mancato alla città di Cremona?

Servivano forze maggiori in termini di medici. Abbiamo cercato di spiegarlo con molta forza fin dall'inizio poiché siamo arrivati quasi a 200 pazienti proveniente da Lodi e Codogno, poiché gli ospedali di Cremona e Crema erano una trincea, davvero, e una barriera rispetto ad altre zone della Lombardia.

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