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Le consultazioni per il nuovo governo

Mattarella, il nuovo “nemico del popolo”

Le scelte di Mattarella sono destinate probabilmente a indirizzare il destino politico del nostro Paese per i prossimi anni, mentre certamente hanno determinato una frattura non ricomponibile con tantissimi cittadini italiani. Capire però perché il Presidente della Repubblica abbia agito così sarebbe tremendamente importante. Invece di gridare al colpo di Stato o, dall’altra parte, salire sulle barricate “contro” grillini e leghisti.
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C'è stato un momento, tra le dichiarazioni del Presidente del Consiglio incaricato Conte e il tweet del Presidente del Consiglio uscente Gentiloni, in cui Mattarella è stato l'uomo più solo su questo pianeta. Minuti interminabili, nei quali nessuno sembrava essere dalla sua parte. Solo qualche voce isolata dal PD, poi tramutatasi in sostegno aperto senza se e senza ma. Attacchi da destra, minacce di impeachment da leghisti e grillini, silenzio e perplessità da chi è sempre stato dalla sua parte, terrore per un futuro con la Lega al 30% da parte di analisti e commentatori "moderati": essere Sergio Mattarella, stasera, è tutt'altro che semplice. E nei prossimi giorni le cose non potranno che peggiorare, considerando che il Capo dello Stato si è assunto una responsabilità politica enorme, che lo esporrà al pubblico ludibrio come "l'uomo che si è opposto al cambiamento", il "servo dei poteri forti", il "maggiordomo della Merkel", "colui che ha tradito il popolo italiano". Le scelte di Mattarella sono destinate probabilmente a indirizzare il destino politico del nostro Paese per i prossimi anni, mentre certamente hanno determinato una frattura non ricomponibile con tantissimi cittadini italiani. Di fatto, il Colle è sceso in campo e non sarà più possibile tornare indietro. E l'espressione con cui Mattarella si è rivolto agli italiani dopo gli incontri con Salvini e Di Maio e la rinuncia di Conte, denota quanto lui ne sia consapevole, quanto sia stata durissima e pesantissima la scelta di tenere il punto sul nome di Paolo Savona.

Perché Mattarella ha preso questa decisione, è la domanda che circola insistentemente in queste ore. Le risposte, che variano a seconda delle appartenenze e delle inclinazioni, devono però essere subordinate a una considerazione, che è una sorta di pre-condizione per affrontare qualunque tipo di discorso. Ovvero la legittimità dell'operato del Presidente della Repubblica: Mattarella poteva agire in questo modo, si è spinto fino al limite delle sue prerogative (come già aveva fatto qualche settimana addietro, agevolando in quel caso l'avvio delle trattative fra Lega e M5s), ma senza oltrepassarle. Anzi, lottando per la conferma delle prerogative del Capo dello Stato, garantite dalla Costituzione. Altra cosa sono le valutazioni sulle conseguenze politiche delle mosse del Colle, che possono essere molto complesse e tremendamente divisive.

Perché, dunque, Mattarella ha agito così? Possibile che non fosse consapevole del destino che ci attende e che attende lui?

Partiamo dalle sue parole, chiarissime come mai prima. Il Capo dello Stato ha respinto al mittente con ferrea logica le accuse di chi lo dipingeva come il vero ostacolo al governo del cambiamento: ha ricordato di aver atteso due mesi che Di Maio e Salvini si mettessero d'accordo, ha spiegato di aver accettato senza colpo ferire l'indicazione di un nome unico, peraltro un tecnico non eletto da nessuno e con un programma pre-compilato, ha rivelato di aver accettato tutte le condizioni e i nomi indicati da Conte nella sua visita odierna. Ha confermato di aver ceduto su tutto, soprattutto sull'idea di far sedere a Palazzo Chigi un nome per forza di cose debole, vincolato a un programma e sorvegliato a vista dai due unici azionisti dell'esecutivo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Però ha fatto capire di non poter essere un notaio, di non poter accettare che il suo ruolo fosse ridotto a quello del "facilitatore" di intese post elettorali. Già, ha detto anche questo Mattarella: M5s e Lega si sono presentati come avversari alle elezioni, hanno scritto assieme un programma non votato da nessuno, il governo giallo-blu è una creatura nata nelle stanze della politica e come tale può essere soggetta alle regole della politica, senza che si gridi al golpe.

E lui ha posto una condizione. Una sola condizione. Che, inutile negarlo, risponde evidentemente a pressioni internazionali e a motivazioni che stridono in qualche modo con il ruolo super-partes che agli occhi dei cittadini dovrebbe rappresentare il capo dello Stato. Certo, mettere un veto su un nome non è di per se una anomalia, farlo per ragioni esclusivamente "di linea politica" è molto, molto, molto discutibile. E questa condizione era che il ministro dell'Economia non fosse Paolo Savona, l'ottantaduenne economista no-Euro, o meglio "forse no-Euro" / quello del piano B / quello che vuole solo un'Europa più forte / il nemico dei tedeschi "ma anche no". Ha spiegato il perché brevemente, ma con durezza: a via XX Settembre non può andare un tecnico che non dà le sufficienti garanzie sul piano della collocazione internazionale del nostro Paese. In fondo, avrà pensato, nessuno ha mai votato Savona, che è più espressione del "gruppetto di economisti" che gravitano da un po' in area Lega che del programma del governo del cambiamento. E poi, si sarà convinto il Presidente della Repubblica, basta vedere come è arrivata la lettera di chiarimenti di Savona: non per via ufficiale, ma tramite il blog – megafono degli economisti No – euro. No, insomma, non è possibile cedere anche su questo punto. Anche perché, se Salvini e Di Maio sono mesi che parlano di "nomi secondari rispetto ai programmi", di governo del cambiamento per dare risposte agli italiani: come faranno a impuntarsi su un nome? E proprio su Savona, poi?

Ecco, la storia di questi giorni dimostra che Mattarella si sbagliava e che quello di Salvini e Di Maio fosse un braccio di ferro teso a imporre un concetto: il governo del cambiamento deve portare con se la discontinuità col passato anche dal punto di vista della prassi istituzionale. Nel tempo dello spontaneismo e della paura, delle decisioni prese d'istinto e della campagna elettorale permanente, concetti come responsabilità e rispetto dei ruoli semplicemente non hanno più senso. Salvini non poteva accettare il compromesso proposto da Mattarella non perché tenesse particolarmente a Savona, ma perché ciò avrebbe incrinato la costruzione mediatica – social cui ha lavorato per anni: quella di leader forte, che "non si piega ai diktat", che pensa agli italiani e che non partecipa al teatrino della politica. Di Maio non poteva accettare il compromesso proposto da Mattarella perché già ha dovuto oscurare agli occhi dei militanti 5 Stelle i numerosi voltafaccia e tradimenti allo spirito del Movimento di cui si è reso protagonista. Entrambi, in campagna elettorale permanente, hanno bisogno di vivere in stato d'assedio, con la presenza del nemico brutto, sporco e cattivo. L'Europa, la Merkel, la tecnoburocrazia e le polverose stanze del Quirinale: i nemici perfetti dei "martiri della volontà popolare".

Mattarella, che ancora crede sia possibile realizzare il suo tentativo di formare un governo tecnico facendo appello alla responsabilità dei partiti, ha commesso questo clamoroso errore di prospettiva. Trasformare in martire un economista dalla carriera al tramonto, senza considerare che Salvini e Di Maio sono i soli a non aver paura delle urne. Il problema che si presenta adesso è insormontabile: decostruire la narrazione che vuole un capo dello Stato completamente assoggettato ai voleri della finanza internazionale e intenzionato a ergersi contro il governo del cambiamento. Considerazioni forse ingenerose che saranno il canovaccio della prossima campagna elettorale che avrà un solo obiettivo: "i nemici del popolo".

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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