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Marittimi rapiti in Somalia: continua il presidio dei familiari a Napoli

Malnutriti e torturati: parliamo dei marinai italiani della Savina Caylyn, rapiti e fatti prigionieri dai pirati somali a febbraio 2011. Nessun riscatto è stato pagato per la liberazione di questi uomini di mare, per i quali le famiglie temono il peggio. Una delegazione presidia, in modo permanente, la sede Fratelli D’Amato per i quali gli ostaggi lavorano.
A cura di Daniela Caruso
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Savina Caylyn: l'incubo per i marinai continua ancora, tra violenze e torture

Angoscia mista a speranza è il sentimento che provano i familiari dei marittimi rapiti dai pirati somali. Sono passati otto mesi da questo assurdo rapimento e nessuna soluzione è stata presa per salvare le vite di questi uomini di mare, che sono stati sequestrati da gente senza scrupoli, mentre svolgevano il proprio lavoro. I cinque italiani a bordo della Savina Caylyn sono allo stremo delle forze: non mangiano regolarmente e non dispongono di acqua potabile da mesi. Smagriti e distrutti dalle fatiche e dalle torture, chiedono semplicemente di essere liberati per porre fine a questo incubo, iniziato a febbraio 2011.

Il riscatto chiesto dai pirati somali è troppo elevato, sia per il Governo italiano sia per la società Fratelli D’amato: non si può, per questo, lasciare i marinai nelle mani di questi spietati pirati, che già hanno annunciato di volerli torturare, qualora la somma richiesta per liberarli non fosse elargita in tempo. La disperazione delle famiglie cresce sempre di più: dopo la manifestazione "Liberi Tutti" svoltasi a Procida, le famiglie hanno deciso di andare fino a Napoli, per presidiare, pacificamente, la sede dell’azienda D’Amato ed ottenere (almeno se lo augurano) risposte da parte della società, sperando di suscitare anche l’interesse dei media. Ma tutto tace, nessuna risposta arriva e sul rapimento di questi onesti lavoratori di mare si cala, ora dopo ora, un silenzio ingiustificabile.

l'appello all'armatore

I familiari chiedono risposte concrete dalle istituzioni, affinché vengano liberati i propri cari, che vivono, ormai, in condizioni estreme e alla mercé dei pirati, ai quali interessano solo i soldi. I rapinatori, dunque, non si farebbero alcuno scrupolo a torturare i propri ostaggi, per poi ucciderli. Parole crude e forti che, però, descrivono perfettamente la situazione che si è andata a delineare negli ultimi giorni. Stamattina ci siamo recati fuori la sede di Napoli dell’azienda Armatori Fratelli D’Amato e abbiamo trovato una decina di familiari, che indossavano magliette con la stampa della foto ricevuta dai pirati via fax mesi fa. “Liberi subito” è la frase impressa sulle t-shirt, ma anche il desiderio che emerge dai volantini distribuiti per strada dagli stessi presidianti: alcune foto dei marittimi sono state affisse nei pressi dell’azienda. Abbiamo parlato con Nicola Verrecchia, figlio di Antonio Verrecchia, direttore di macchine di Gaeta, prigioniero sulla Savina Caylyn, il quale, con un’aria affranta e stanca, ci ha concesso un'intervista, in cui mostra la forte preoccupazione per le sorti del padre:

Nicola Verrecchia, figlio del direttore di macchine rapito dai pirati somali

Rimarremo qui fino a quando non avremo una risposta

L'ultimatum dei pirati sta per scadere. Il comandante Lubrano Lavadera lo ha confermato in una telefonata alla moglie: "Se entro una settimana non si chiude la trattativa, qui a bordo inizieranno le torture sistematiche di tutti i membri dell’equipaggio.Con conseguenze tragiche. Questi ci preannunciano che ci ammazzeranno ad uno ad uno. Santo Iddio, perché? Che male abbiamo fatto per non essere aiutati? Siamo persone che sono andate a guadagnarsi il pane onestamente in un tipo di lavoro duro, pieno di sacrifici, sul mare". 

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