4.124 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Marco Cappato rischia 12 anni di carcere per aver aiutato Dj Fabo a ottenere il suicidio assistito

Per aver aiutato Dj Fabo a morire in Svizzera, il radicale Marco Cappato ora rischia fino a 12 anni di carcere. L’attuale legislazione italiana, infatti, prevede che chiunque aiuti una persona a suicidarsi, agevolandone i propositi, venga punito ai sensi dell’articolo 580 del codice penale per il reato di “istigazione al suicidio”.
A cura di Charlotte Matteini
4.124 CONDIVISIONI
marco cappato

Dopo innumerevoli appelli a favore dell'approvazione della legge sull'eutanasia ripetutamente caduti nel vuoto, Dj Fabo ha deciso di andare a morire in Svizzera, dov'è deceduto questa mattina. Ad accogliere la sua richiesta e accompagnarlo nella clinica elvetica in cui il giovane Fabiano Antoniani ha potuto accedere al suicidio assistito è stato Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni ed ex consigliere comunale di Milano. Proprio a causa del suo impegno, Cappato ora rischia fino a 12 anni di carcere perché secondo l'attuale legislazione italiana aiutare un individuo consenziente a porre fine alla propria sofferenza è un reato punibile dall'articolo 580 del codice penale: "Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima".

Come la stessa Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni ha ricordato ora "rischia 12 anni di carcere per essersi preso la responsabilità di tale atto" e per questo motivo, non appena Marco Cappato metterà nuovamente piede in Italia potrebbe essere incriminato per il reato di "istigazione al suicidio". L'eventualità di un processo e della successiva condanna, però, non ha mai distolto gli esponenti dell'area radicale e dell'Associazione Luca Coscioni nell'intento di aiutare i malati che desiderano ottenere l'accesso all'eutanasia o al suicidio assistito e da due anni ormai si occupano di accompagnare chiunque lo chieda nelle cliniche svizzere che permettono tali pratiche.

“Prima fornivamo a chi lo chiedeva solo informazioni per prendere contatti con la Svizzera, ma ora aiuteremo concretamente i cittadini a preparare tale atto sul territorio italiano, e ciò si configura come reato. Abbiamo anche aperto il sito Soseutanasia.it per una raccolta fondi. Se non saremo fermati, continueremo ad aiutare le persone che lo chiedono ad andare in Svizzera per ottenere il suicidio assistito. Ciò fino a quando il Parlamento non si assumerà le proprie responsabilità esaminando la proposta di legge di iniziativa popolare sul fine-vita depositata già nel 2013″, dichiarò Cappato nel 2015 all'indomani della costituzione dell'associazione Sos Eutanasia, fondata allo scopo di aiutare economicamente i malati terminali che desiderano poter porre fine alla propria sofferenza.

Già nel 2015, l'allora consigliere comunale di Milano aveva aiutato e sostenuto tutte le spese economiche – attraverso le associazioni Luca Coscioni e Sos Eutanasia – per permettere a Dominique Velati, infermiera 59enne e militante radicale affetta da un incurabile cancro al colon, di accedere al suicidio assistito in una clinica di Berna, dov'è deceduta il 15 dicembre dello stesso anno. Di ritorno da Berna, l'esponente radicale si autodenunciò per aver commesso il reato previsto dal codice penale italiano e allo stesso modo ha annunciato che agirà alla stessa maniera questa volta.

Un precedente parzialmente analogo avvenuto su territorio italiano è sicuramente quello che coinvolse Mario Riccio, il medico che il 20 dicembre 2006 aiutò Piergiorgio Welby a morire sedandolo e staccandogli il respiratore che lo teneva in vita. Riccio venne indagato per "omicidio del consenziente", reato punibile dall'articolo 579 del codice penale, ma in seguito, nel 2007, fu prosciolto da tutte le accuse perché il Gup titolare del caso sostenne che nonostante effettivamente fu compiuto un "omicidio del consenziente", il reato previsto dal codice penale veniva di fatto superato dalla Costituzione che prevede il diritto a rifiutare le cure, sottolineando che Riccio in quel caso doveva ubbidire non solo alle richieste del malato, ma anche rispettare quanto prescritto dalla Costituzione.

4.124 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views