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Lorys, Cassazione: “Alta probabilità che la madre sia l’assassina”

La Corte di Cassazione spiega perché nel maggio scorso ha deciso di confermare la custodia cautelare in carcere per Veronica Panarello, la donna accusata dell’omicidio del figlio Andrea Lorys Stival.
A cura di Susanna Picone
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La custodia in carcere di Veronica Panarello, la donna accusata di aver ucciso nel novembre di un anno fa il figlioletto Andrea Lorys Stival a Santa Croce Camerina (Ragusa), deve essere mantenuta perché si basa “su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro che appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica nell'attribuzione a detti elementi del requisito della gravità nel senso della conducenza con elevato grado di probabilità della responsabilità dell'indagata per l'omicidio”. A dirlo è la Corte di Cassazione che ha spiegato perché nel maggio scorso ha deciso di confermare il carcere per la mamma del bambino ucciso e gettato in un canalone in Sicilia. Secondo i giudici della Suprema Corte i magistrati del riesame di Catania, con ordinanza del 3 gennaio 2015, hanno correttamente convalidato la misura cautelare per i “gravi indizi di colpevolezza” a carico della Panarello che, lo ricordiamo, nei giorni scorsi è stata nuovamente interrogata a sorpresa e avrebbe ammesso di non aver accompagnato la mattina del 29 novembre 2014 suo figlio Lorys a scuola (come, invece, aveva sempre sostenuto dal giorno dell’omicidio).

Perché la Panarello resta in carcere – Per la Corte di Cassazione tra gli elementi a carico della madre di Lorys – ci sono “gli spostamenti dell'indagata accertati tramite le videoriprese delle telecamere pubbliche e private”, “il mancato arrivo a scuola del bambino mentre l'indagata ha continuato ad affermare di avere accompagnato a scuola”, “la localizzazione della Panarello tra le ore 9,25 e le ore 9,36 di quella mattina in zona prossima a quella in cui è stato trovato il cadavere, successivamente giustificata con il percorso fatto per buttare l'immondizia, benché fosse in direzione opposta a quella per Donnafugata, luogo dove la donna si doveva recare”. La Cassazione riporta anche altri elementi, come “il ritrovamento a casa dell'indagata di fascette di plastica del tipo di quella utilizzata per strangolare il bambino che la donna aveva giustificato sostenendo che il figlio le aveva portate in classe perché servivano per fare esperimenti, circostanza smentita dalle insegnanti”. Inoltre i giudici della Cassazione ricordano “le menzogne dell'indagata nella ricostruzione dei suoi spostamenti”, e “il fatto di non aver contattato il marito una volta resasi conto della scomparsa del figlio”.

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