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Le voci non salvano Rcs Mediagroup

Di seduta in seduta si sgretola il residuo valore di Rcs MediaGroup in borsa. Il principale gruppo editoriale italiano ormai capitalizza meno dei suoi debiti netti, 744 milioni, meno della metà di tre mesi or sono.
A cura di Luca Spoldi
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Ancora una giornata di passione per i titoli Rcs MediaGroup, che vedono l’azione ordinaria in calo a fine seduta di poco più del 5,3% e la risparmio del 3% circa mentre i rispettivi diritti hanno chiuso in calo del 48,6% e del 13%. La conferma che in Via Solferino i problemi sono tutt’altro che risolti, tanto che attorno al titolo in queste ore ha preso a girare la voce di un prossimo allontanamento dell’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, mossa che potrebbe costituire una delle precondizioni, insieme allo scioglimento anticipato del patto di sindacato, perché Diego Della Valle si impegni a coprire quella parte di aumento che non sarà più garantita da Giuseppe Rotelli o, in alternativa, alla discesa in campo nelle vesti di “cavaliere bianco” di Andrea Bonomi, presidente di Bpm e a capo del fondo Investindustrial, in passato giudicato “vicino” a Mediobanca.

Quella stessa Mediobanca che, avendo forse capito che ormai i “salotti buoni” del capitalismo familiare italiano ricco di relazioni e povero di denari (o di volontà di usare i propri, preferendo tentare di scaricare su altri il peso dei propri rischi e fallimenti), ha deciso pochi giorni fa di procedere ad una maxisvalutazione di 400 milioni di euro delle proprie partecipazioni e l’uscita annunciata, impensabile solo pochi anni fa, dai patti di sindacato in Telco (holding di controllo di Telecom Italia), Rcs MediaGroup e Pirelli & C. (a sua volta ex socia di Telecom Italia e nel patto di sindacato di Rcs MediaGroup). Quasi un andare a Canossa, tanto che lo stesso Alberto Nagel, numero uno di Piazzetta Cuccia, ha cercato di mettere una pietra sulle polemiche passate tornando ad “aprire” a “tutti i soci”, dunque anche a quel Diego Della Valle, oggi socio all’8,7% circa ma pronto a salire anche sopra il 10%, magari comprando i diritti che il “re” delle cliniche milanesi, Giuseppe Rotelli (da mesi impegnato in una ben più tosta battaglia contro un tumore all’esofago), ha messo sul mercato dopo aver inutilmente sborsato quasi 390 milioni dal 2006 a oggi per arrivare, col 13,03% diretto e le opzioni sul 3,6% in mano al Banco Popolare, a recitare il quasi ininfluente ruolo di secondo azionista assoluto alle spalle di Mediobanca (che di Rcs ha in portafoglio poco più del 14,2%).

In alternativa a Della Valle, che i soliti “ben informati” a Milano descrivono come dubbioso e “guardingo” in attesa di capire se saranno soddisfatte le precondizioni poste per un suo impegno “concreto” (ossia l’apertura dei cordoni della borsa: esercitare i diritti in mano a Rotelli costerebbe poco meno di una settantina di milioni di euro), vale a dire la possibilità di avere un cambio del management, di sciogliere anticipatamente il patto di sindacato e di rivedere il piano industriale ed in particolare il piano investimenti. Delle tre condizioni l’ultima sembra al tempo stesso quella più difficile da affrontare in tempi brevi e tuttavia la più cruciale, perché la crisi di Rcs MediaGroup non è solo sintomo della profonda crisi dell’Italia dei “salotti buoni” ma anche (e dovremmo dire “soprattutto”, se fossimo in un paese “normale”) di business model, in piena rivoluzione digitale di un settore, l’editoria, che in tutto il mondo si interroga sul suo futuro e non è ancora certo di aver trovato una risposta in grado di convincere investitori presenti e futuri. Cosa fare? Quanti e quali costi tagliare? Su quali piattaforme investire?

Solo rispondendo a queste domande si potrà fare ammenda degli errori del passato e costruire le basi per un rilancio dell’attività del gruppo, magari decidendo finalmente il destino di quella partecipazione di controllo in Dada (54,627%) che dopo aver acceso gli entusiasmi dell’allora numero uno Vittorio Colao nel frattempo rientrato ai vertici di Vodafone con la quale ha appena annunciato l’ennesima acquisizione in Europa (per 7,7 miliardi di euro), quella del principale operatore via cavo tedesco, Kabel Deutschland Holding, forte di 8,5 milioni di utenze famigliari collegate e con la quale Colao vuole rilanciare la scommessa sul “triple play”, è stata sostanzialmente messa da parte, nonostante i ripetuti richiami giunti anche da Scott Jovane           in merito all’importanza di sviluppare la presenza del gruppo nel campo dei new media (Scott Jovane che ha poi annunciato, un mese fa, che ci sarebbero state a breve novità sul fronte della vendita di Dada, “primo dossier” che sarebbe stato chiuso).

Finchè non sarà chiaro chi comanda in Rcs, che cosa si propone di fare per il futuro del gruppo, con quali mezzi (le banche italiane, così avare di fondi per famiglie e imprese “non amiche” hanno accettato tutto quello che potevano nel caso di Rcs, ma è difficile si spingano oltre i termini dell’ultimo accordo di riscadenziamento di 600 degli oltre 900 milioni di euro di indebitamento netto), non basteranno le voci e i “si dice” a rilanciare il titolo Rcs a Piazza Affari, dove con le ultime drammatiche sedute il titolo ordinario ha azzerato ogni rialzo anche sugli ultimi 12 mesi e perde ora il 54,5% negli ultimi 3 mesi e il 16,8% circa negli ultimi 12 mesi, con una capitalizzazione calata a soli 744 milioni, inferiore ormai anche solo al debito contratto dall’editore del Corriere della Sera.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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