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Le mani sul capo di un padre che ha perso tre figli, l’ennesimo volto del dolore della Siria

In Siria il massacro di civili continua: lunedì a Ariha, nella provincia di Idlib, sono morte 18 persone, tra cui 7 bambini. Domenica, ad essere preso di mira in pieno giorno è stato un mercato a Maarrat al-Numan. Bombardamenti indiscriminati che hanno provocato panico e disperazione tra gli abitanti della Siria nord occidentale. Secondo le Nazioni Unite, in poco più di un mese, sono circa 240mila gli sfollati in fuga dai combattimenti.
A cura di Mirko Bellis
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A sinistra il dolore di un padre. A destra una bimba fugge dopo il bombardamento a Maarrat al-Numan, nella provincia di Idlib (Majd Khalaf)
A sinistra il dolore di un padre. A destra una bimba fugge dopo il bombardamento a Maarrat al-Numan, nella provincia di Idlib (Majd Khalaf)

Gli occhi chiusi, le mani sulla testa e, davanti a sé, distruzione e morte. E’ la disperazione di un giovane padre che lunedì ha perso tre figli in un raid aereo a Ariha, nella provincia di Idlib. Una bimba corre a piedi nudi tra la polvere sollevata dalle rovine di un palazzo centrato domenica da una bomba a Maarrat al-Numan. Dalla Siria continuano ad arrivare immagini sconvolgenti di una guerra che ormai continua da oltre otto anni.

L’offensiva lanciata a fine aprile sulle province nord occidentali dall'esercito di Assad, le milizie sue alleate e dalla Russia, non si ferma. Bombardamenti indiscriminati, anche con barili bomba, hanno come obiettivo le città ancora in mano alle forze ribelli, tra cui i combattenti di Hay’at Tahrir al-Sham, l’ex Fronte al-Nusra, il ramo siriano di al-Qaeda. Un’ondata di violenze ha già provocato la morte di quasi 300 persone. E tra le vittime si contano anche decine di donne e bambini.

Civili scappano dopo l'attacco al mercato di Maarrat al-Numan (Gettyimages)
Civili scappano dopo l'attacco al mercato di Maarrat al-Numan (Gettyimages)

I raid aerei hanno colpito domenica in pieno giorno Maarrat al-Numan, città lungo l’autostrada che unisce Aleppo a Hama. Almeno 4 i morti e numerosi feriti in una giornata che ha visto il bilancio delle vittime salire a 12. Secondo i sopravvissuti, si è trattato di un attacco deliberato. “Questa strada è stata presa di mira perché è la zona più trafficata della città", ha detto il fotografo Abed Kontar, testimone del bombardamento. "Era pieno di gente che comprava cibo e bevande per l’iftar (il pasto serale consumato dai musulmani che interrompe il loro digiuno quotidiano durante il Ramadan, ndr)”. Fareed Mahlool, un giornalista di 24 anni, ha perso sua zia nell'attacco. “In un batter d'occhio, ero steso a terra con la polvere tutt'intorno a me”, ha affermato. “Ho avuto le vertigini per alcuni minuti, ma mi sono sforzato di alzarmi in piedi per salvare la mia famiglia. Mia madre e le mie quattro sorelle urlavano: nel salotto, era il caos”. Mahlool è corso fuori di casa con sua sorella Marwa di otto anni in braccio, poi è tornato a cercare sua zia. Il suo corpo era schiacciato sotto una delle pareti della camera da letto. È stata portata in ospedale ma è morta poco dopo.

Lunedì è stata un’altra giornata di sangue nella Siria nord-occidentale. Obiettivo degli aerei ed elicotteri dell’aviazione di Assad è stata la città di Ariha, a sud del capoluogo Idlib. “Siete venute al mondo insieme e insieme adesso lo lasciate”. E’ stato l’ultimo saluto del giovane padre alle sue figlie gemelle uccise assieme al fratellino nel bombardamento. “Non c’è via d’uscita a questo inferno”, ha dichiarato Eman Afore, una mamma di tre bambini. “Preferirei che Dio prendesse le nostre vite piuttosto di continuare a vivere un altro giorno come questo”. La donna ha perso il marito due mesi in un altro bombardamento e adesso spera di riuscire a scappare in Turchia.

Un uomo cerca di portare in salvo una bimba dopo il bombardamento a Maarrat al-Numan (Gettyimages)
Un uomo cerca di portare in salvo una bimba dopo il bombardamento a Maarrat al-Numan (Gettyimages)

Ma dall'incubo siriano c’è anche chi non vuole andarsene. “Non lascerò la mia casa – ha detto Khaled Al Essa, 35 anni, di Khan Sheikhoun – non andrò in Turchia e nemmeno nelle altre aree controllate dal regime”. Al Essa ha respinto le offerte di un passaggio sicuro da Idlib attraverso i corridoi umanitari garantiti dalla Russia e dal governo. “Continuano a ripetere la stessa menzogna di un corridoio umanitario – ha affermato – se non vogliono che la gente muoia, allora fermino gli attacchi, è così semplice. Non voglio morire sotto un ulivo o essere umiliato con la mia famiglia al confine”.

Migliaia di famiglie in fuga dai combattimenti nella Siria nord-occidentale vivono in aperta campagna (Gettyimages)
Migliaia di famiglie in fuga dai combattimenti nella Siria nord-occidentale vivono in aperta campagna (Gettyimages)

La pensano in un altro modo quasi 240mila persone che, in poco più di un mese, sono fuggite dai combattimenti nel nord-ovest della Siria. Secondo le ultime cifre dell'ufficio per il coordinamento delle operazioni umanitarie dell'Onu (Ocha), circa 90.000 persone sono ora nei campi e nei centri di accoglienza. La maggior parte, invece, non ha ancora trovato alcuna sistemazione e sono in migliaia le famiglie costrette a vivere all'aperto nelle campagne di ulivi.

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L’escalation di violenza non ha risparmiato neppure gli ospedali aggravando la già difficile situazione umanitaria. L'Ocha nelle ultime ore diffuso un rapporto secondo cui nei raid aerei russi e governativi sono stati colpite in tutto 20 strutture sanitarie che servivano un bacino di circa 200mila persone. Solo nella provincia di Idlib, infatti, vivono più di 3 milioni di persone, molte delle quali scappate da altri teatri di battaglie sanguinose come Aleppo o la Ghouta orientale. “La metà della popolazione siriana è già stata sfollata da otto anni di guerra, ma il peggio potrebbe ancora arrivare”, è l'allarme lanciato da Arnaud Quemin, direttore per la Siria di Mercy Corps, una Ong internazionale. “Mentre intere comunità sono state costrette a fuggire e hanno cercato rifugio a Idlib – ha concluso Quemin – tre milioni di persone ora temono di non avere più un posto dove andare quando la guerra busserà ancora una volta alle loro porte”.

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