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La Siria al referendum sotto le bombe, le opposizioni boicottano il voto

Il popolo siriano è stato chiamato ieri a esprimersi sulla nuova costituzione voluta dal Presidente Assad in materia di partecipazione politica e riforme istituzionali, mentre nel Paese sono continuati i bombardamenti e gli scontri che durano da mesi e che ieri hanno fatto almeno 30 vittime. Le opposizioni hanno boicottato il voto e puntano alla cacciata del Presidente.
A cura di Antonio Palma
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Il popolo siriano è stato chiamato ieri a esprimersi sulla nuova costituzione voluta dal Presidente Assad in materia di partecipazione politica e riforme istituzionali, mentre nel Paese sono continuati i bombardamenti e gli scontri che durano da mesi e che ieri hanno fatto almeno 30 vittime. Le opposizioni hanno boicottato il voto e puntano alla cacciata del Presidente.

Una Siria spaccata in due quella che è andata in scena ieri, divisa tra il voto referendario sulla nuova costituzione voluta dal regime di Bashar al Assad e gli scontri tra Forze armate e oppositori, che ormai da mesi imperversano nel Paese mediorientale e che hanno causato la morte di centinaia di persone.

Referendum sotto le bombe – Se nella Capitale e nei dintorni l'afflusso alle urne non ha fatto segnare grandi problemi, i bombardamenti dell'esercito siriano sulla popolazione sono continuati nella città di Homs, roccaforte dei ribelli e teatro principale degli scontri. L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha calcolato la morte di almeno 30 persone nella sola giornata di ieri dopo le centinaia di vittime dei giorni precedenti tra bombardamenti e scontri armati. La situazione si prevede ancora più calda dopo i risultati del referendum voluto dal Presidente Assad in seguito alle numerose proteste iniziate lo scorso anno. Il referendum svolto ieri propone una modifica della carta costituzionale siriana in materia di partecipazione alla vita politica da parte dei partiti e di elezioni  governative.

Le modifiche alla Costituzione siriana – La modifica della Costituzione In particolare verrebbe abolito il monopolio del partito unico Baath con la conseguente apertura agli altri partiti nelle prossime elezioni parlamentari da svolgere tra qualche mese. La piccola apertura di Assad e del suo partito Baath, però, non ha soddisfatto le opposizioni che, dopo mesi di scontri e repressioni del regime con morti e feriti, hanno deciso di boicottare la giornata referendaria di ieri. Per molti il tentativo di Assad è solo una farsa, un modo per sedare la rivolta per poi punire i leader dell'opposizione con più tranquillità, anche perché permette al Presidente di rimanere al potere per altri sedici anni fornendogli ancora più potere di quello che dispone attualmente.

Le opposizioni hanno invitato a boicottare il referendum –  Le urne si sono aperte ieri mattina alle 7 e al voto erano chiamati oltre 14 milioni di siriani, stando alle prime testimonianze però si è vista una Siria spaccata in due con una buona affluenza alle urne nelle zone sotto controllo del Governo, come Damasco, e un quasi non voto nelle zone più calde dal punto di vista degli scontri, come ad Homs, sotto assedio da giorni. Nella capitale si sono formate lunghe code ai seggi mentre per strada i sostenitori del regime hanno inscenato caroselli di auto. Gli oppositori invece hanno chiesto alla popolazione di non recasi alle urne, il loro scopo finale, infatti, sono le dimissioni o la cacciata di Assad, ormai lo confermano apertamente dopo aver abbandonato le prime rivendicazioni di una maggiore democratizzazione della Siria, represse nel sangue.

La diplomazia internazionale contro il referendum – Contro il referendum si sono schierate gran parte delle diplomazie internazionali, ritenendolo sbagliato sia nei tempi, in pieno scontro armato, che nella sostanza perché "non c‘è nessun cambiamento radicale e non risponde alle aspirazioni del popolo siriano” come ha detto il ministro degli Esteri tunisino, mentre di "una vera e propria farsa" ha parlato il Ministro degli esteri tedesco. Per il momento però nessun invio di forze internazionali di pace come ha confermato il segretario di Stato Usa Hillary Clinton perché "un intervento straniero nel Paese rischierebbe di farlo sprofondare nella guerra civile".

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