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Opinioni

La legge di stabilità alla prova dei gufi: tecnici, Regioni, Bankitalia e Corte dei Conti

I tecnici del Parlamento bacchettano il Governo sulla legge di stabilità: dubbi sull’abolizione della Tasi, sulle coperture, sui fondi alla Terra dei Fuochi. La Corte dei Conti rincara la dose sugli interventi non strutturali e Bankitalia interviene sull’aumento del contante.
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È un enorme lavoro quello che i tecnici del Senato e della Camera dei deputati hanno fatto sulla legge di stabilità 2016 presentata dal Governo Renzi e ora in discussione a Palazzo Madama. Nelle oltre 400 pagine di schede di lettura, il Servizio Studi del Senato e quello della Camera, hanno infatti analizzato tutti i passaggi della manovra, evidenziandone lacune, criticità, errori e parti incomplete. Ma anche mettendo in evidenza gli obiettivi raggiunti, le tempistiche rispettate, gli impegni mantenuti e le congruenze rispetto agli intenti.

A questa analisi si sono aggiunti poi i commenti della Corte dei Conti, di Bankitalia e delle Regioni stesse, che hanno espresso dubbi sostanziali rispetto ad alcune scelte dell'esecutivo. Di particolare rilevanza appare, ad esempio, la critica della Corte dei Conti sulla decisione di disinnescare le clausole di salvaguardia, in modo da cancellare l'aumento dell'Iva; una scelta politica (che inciderà probabilmente sull'aumento dei consumi) quando, dice il Presidente Squitieri, le condizioni dei conti pubblici “avrebbero potuto consigliare l'adozione di interventi sulla spesa fiscale (riguardanti ad esempio un articolato intervento sulle aliquote Iva agevolate o sulla stessa struttura delle aliquote Iva) eventualmente attutiti (ma non annullati) con misure di sgravio”.

In generale, invece, la bordata "peggiore" arriva da Bankitalia, che insiste sulla necessità di ridurre il debito per "conservare la fiducia dei mercati" e sottolinea poi come, se si esclude il disinnesco delle clausole di salvaguardia, la riduzione delle tasse incida per lo 0,1%.

L'eliminazione dell'Imu e della Tasi sulla prima casa

Uno dei punti analizzati dai tecnici del Parlamento è l’abolizione dell’Imu e della Tasi sulla prima casa, in particolare per quel che concerne le compensazioni ai Comuni (necessarie considerando il minor gettito fiscale). La scelta del Governo è stata quella di aumentare la dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale di circa 3,7 miliardi di euro, che è proprio la cifra del mancato introito ai Comuni. Tutto bene, dunque? No, perché il punto è che il Fondo stesso è alimentato grazie una quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni e quindi “riducendosi la quota di IMU di spettanza comunale che alimenta il Fondo, si riduce di conseguenza anche la dotazione “di base” del Fondo di solidarietà comunale di 1.949,1 milioni di euro annui a decorrere dal 2016”.

E anche Raffaele Squitieri, presidente della Corte dei Conti, sottolinea: “Andrà valutato come si distribuirà tra gli enti il reintegro dei fondi della Tasi sulle prime case. Ne trarranno il beneficio maggiore gli enti che hanno attivato il tributo utilizzando al massimo la propria capacità fiscale (che viene così cristallizzata). Le collettività che potevano apparire ieri come le più penalizzate potranno godere dal 2016 di un relativo beneficio […] con la conseguenza che la maggioranza dei servizi indivisibili forniti dai comuni graverà di regola sui non residenti”.

Le perplessità dei tecnici riguardano anche l’esenzione dell’Imu sugli imbullonati (le minori entrate sono quantificate in 603 milioni, ma la perdita di getto complessiva parrebbe essere di 806 milioni di euro) e la possibilità che i Comuni utilizzino le disponibilità iscritte a bilancio per il 2015 per il pagamento dei debiti certi (si tratta di una somma di circa 400 milioni di euro che potrebbe determinare “l’alterazione di effetti d’impatto già scontati nei tendenziali di spesa”. In generale, la scelta del Governo della compensazione "limita le possibilità di manovra" dei Comuni.

I tagli alle Regioni sono sostenibili?

La legge di stabilità quantifica la misura del contributo alla finanza pubblica delle Regioni e delle Province autonome in 3.980 milioni di euro per l’anno 2017 e in 5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019. Alle Regioni il Governo lascia la possibilità di decidere cosa e dove tagliare, a patto di chiudere un accordo entro il 31 gennaio di ogni anno: in caso contrario, l’esecutivo agirà direttamente.

Per il prossimo anno, invece, restano fermi i “risparmi” concordati con le Regioni. E cioè:

  • riduzione delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale per 2.352 milioni di euro
  • utilizzo delle risorse per il patto verticale incentivato per 802,13 milioni di euro
  • riduzione del Fondo per lo sviluppo e la coesione per 750 milioni di euro
  • riduzione dell'edilizia sanitaria per 285 milioni di euro
  • riduzione di 285 milioni di euro del limite alla deroga al pareggio di bilancio
  • ulteriori risorse per 364,87 milioni di euro da recuperare su indicazione delle Regioni

Al fine della riduzione del debito, invece, le Regioni avranno 1,3 miliardi di euro.

Le somme chieste alle Regioni non devono però pregiudicare l'assicurazione dei livelli essenziali di assistenza (vedremo cosa comporta per quel che concerne la Sanità). Sul punto, il dossier parlamentare chiede di "valutare in merito all'effettiva praticabilità della misura", considerando la somma complessiva di circa 17 miliardi di euro in 3 anni. Mentre più netta è la posizione di Sergio Chiamparino, presidente della Conferenza delle Regioni: "I 17 miliardi di tagli sono insostenibili. Dobbiamo capire quale è il valore istituzionale che viene dato alle Regioni". Per di più perché Renzi appare deciso a "non permettere alle Regioni di aumentare le tasse". Insomma, una coperta corta, cortissima a quanto pare.

I tagli alla Sanità

Dei tagli alla Sanità, inseriti nel decreto Enti Locali abbiamo parlato a lungo qui, qui e qui.

“La dotazione del Fondo sanitario nazionale crescerà di circa 1,3 miliardi rispetto al 2015 e la centralizzazione delle procedure di acquisto di beni e servizi dovrebbe consentire la razionalizzazione di tale voce di spesa, facilitando il conseguimento di risparmi”. Così i tecnici del Parlamento sembrano dare il via libera agli interventi in materia di Sanità inseriti nella legge di stabilità. Ci sono però perplessità di non poco conto su alcuni aspetti essenziali. E che potrebbero produrre “tensioni”, soprattutto considerando che la richiesta delle Regioni era più alta di circa 2 miliardi di euro.

Altre criticità le sintetizza la scheda di lettura diffusa sempre dai tecnici di Camera e Senato:

Andrebbe pertanto chiarito il motivo per cui, a fronte di una rideterminazione del livello di finanziamento anche per il 2016, non si procede ad analoga differenziazione delle modalità di contabilizzazione degli effetti del risparmio per la Regione Siciliana (la sola a non finanziare completamente i servizi di assistenza sanitaria, ndr) e la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Si rileva inoltre che la rideterminazione del fabbisogno sanitario nazionale standard non è stata preceduta da una Intesa in sede di Conferenza Stato- regioni.

Permangono in ogni caso aspetti poco chiari, e in primo luogo la possibilità data alle Regioni di ridiscutere i contratti di fornitura, che andrebbe “meglio specificata”, per evitare contenziosi legali (ad esempio bisognerebbe capire che dare dei contratti “stipulati dopo la data di entrata in vigore della presente legge e prima dell'individuazione della relativa categoria merceologica del settore sanitario”).

Molto complessa appare invece la partita sui LEA, ovvero sull’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, per il quale il Governo metterà a disposizione fino a 800 milioni di euro. Si prevede una Commissione nazionale per l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e la promozione dell’appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale che sia in grado di ridisegnare la mappa delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento del ticket (che verranno aggiornati e riformulati, dunque).

Infine vale la pena di ricordare che, nel caso in cui le Regioni non fossero in grado di garantire i risparmi per i prossimi anni previsti dall’articolo 34 (di cui abbiamo parlato sopra), “potranno essere prese in considerazione anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale”. Insomma, non sono esclusi ulteriori tagli alla sanità per i prossimi anni.

Il limite all'utilizzo del contante portato a 3mila euro

Bankitalia smonta il mito della lotta all’evasione del Governo, spiegando: “Dal mero punto di vista del tracciamento delle transazioni, quanto più la soglia è bassa tanto meglio è”. Certo, spiega il vicedirettore generale Signorini, “non vi sono quindi elementi per escludere a priori l'opportunità di un innalzamento del limite generale da mille a tremila euro”, ma la riduzione del contante in circolazione “resta comunque un obiettivo da perseguire, non da ultimo per motivi di efficienza. Nel nostro Paese la propensione all'utilizzo del contante rimane molto più elevata dalle media europea. Sarebbe opportuno incentivare le transazioni effettuate con le carte di pagamento, riducendo i relativi costi e le commissioni a carico degli esercenti”. Sul punto, poco o nulla, invece.

Terra dei Fuochi, i soldi per fare cosa? E a chi?

È il comma 7 dell’articolo 27 a prevedere l’istituzione di un fondo finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della terra dei fuochi con una dotazione di 150 milioni di euro per il 2016 e di 150 per il 2017. Il Presidente del Consiglio ha parlato di soldi (in sede di presentazione / annuncio si parlava di 400 milioni, forse comprendendo anche gli 83 milioni di euro per i militari…) che serviranno per “eliminare le ecoballe e far rinascere la Terra dei fuochi”. Il problema è che nel testo, semplicemente, non c’è scritto nulla. I soldi ci sono, o meglio, ci saranno. Ma non si sa a chi andranno, per fare cosa e dove.

Infatti, l’individuazione “degli interventi e delle amministrazioni competenti a cui destinare le risorse viene demandata ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri”, per il quale non c’è nemmeno un termine preciso. Insomma, potrebbe arrivare il 2 gennaio, ma anche mesi dopo. Ma non solo, poiché la norma “è formulata genericamente con riferimento ai territori e alle amministrazioni a cui saranno destinati gli stanziamenti, nonché alla tipologia degli interventi finanziabili”. E, infine, si aggiunga il fatto che alla locuzione “terra dei fuochi” non corrisponde “una definizione nella normativa vigente e si fa generico riferimento al territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta”. Insomma, al momento si tratta di soldi sulla carta, che non si capisce a chi andranno, per fare cosa e dove. Probabilmente alla Regione Campania per il piano sulle ecoballe (ancora terra dei fuochi, quindi?). Forse a qualche Comune per la messa in sicurezza del territorio. Difficile che servano per le bonifiche. Insomma, dietro lo slogan c’è poco, pochissimo.

Il canone Rai in bolletta

Bisogna “verificare se sia tenuto conto dell’impatto sul gettito atteso di eventuali contenziosi in relazione a incertezze applicative che potrebbero derivare dalla nuova presunzione legale di possesso di apparecchio televisivo e dagli obblighi posti a carico di soggetti privati e non privi di rilevanza economica”, scrivono i tecnici parlamentari. Il dubbio è che fioriscano cause e contenziosi legali e che ciò determini un buco nelle casse dello Stato (su somme, peraltro “già destinate dalla legislazione vigente a specifiche finalità”).

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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