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L’Odissea di Robert Wilson

Ha debuttato, presso il teatro Piccolo di Milano, l’ultimo lavoro di Robert Wilson, Odyssey, una versione teatrale dell’opera di Omero.
A cura di Simone Petrella
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Odyssey

Robert Wilson porta in scena al Piccolo Teatro Strehler “Odyssey”: l'attore, regista, artista e architetto texano si confronta questa volta con l'opera di Omero, nella rielaborazione del poeta inglese Simon Armitage. In scena una compagnia greca composta da 17 ottimi attori che recitano il testo nella propria madrelingua, per una durata complessiva di tre ore.

In Odyssey ritroviamo tutti i segni artistici che hanno contraddistinto e reso celebre Robert Wilson, una poetica molto personale che, nel corso di quarant'anni, dalle prime ricerche estremamente sperimentali si è trasformata in un sistema consolidato che il pubblico vuole ritrovare ogni volta: i personaggi fantasmatici, i movimenti lenti, le scenografie mobili e pulite firmate da lui stesso, l’uso di luci neon anche a vista, i colori algidi, il pvc sul fondo. I suoni extra-diegetici e ripetuti, i campanelli, la recitazione non naturalistica, l’attenzione orientale al gesto dell’attore, tutto è Robert Wilson in questo spettacolo.

Odyssey - fotografia Teatro Piccolo di Milano
Odyssey – fotografia Teatro Piccolo di Milano

Il regista sfrutta lo sconfinato potenziale immaginifico del testo per creare scene dall’enorme impatto visivo: le sirene, mezze donne e mezze bestie piantate nelle rocce colorate al neon, muovendosi con ritmo ipnotico emettono versi striduli mostruosi alimentati da un lavoro microfonico che ne riverbera le frequenze, Polifemo, mastodontico, a primo impatto sembra una proiezione HD ispirata a Picasso, per rivelarsi poi, invece, oggetto reale; il climax dell’azione vede la mano del ciclope afferrare un attore e sollevarlo, facendolo scomparire oltre la scenografia. Una menzione merita anche la scena delle tempesta in cui il mare, evocato da strisce di tessuto mosse dagli stessi attori, sembra richiamare in qualche modo il celebre allestimento strehleriano de La Tempesta di Shakespeare.

Insomma un impanto tecnico contemporaneo straordinario che fa da ponte tra l’immaginario omerico e quello wilsoniano.

Odyssey - fotografia Teatro Piccolo di Milano
Odyssey – fotografia Teatro Piccolo di Milano

Wilson decide di raccontare l’Odissea con toni favolistici e leggeri, a volte quasi infantili –  Scilla e Cariddi sembrano giocattoli cinesi, gli attori si fanno trascinare nelle loro fauci come in un film di Ed Wood – e con accenti grotteschi; solo in pochi momenti una sospensione dei ritmi del racconto trasforma la scena in quadri pop/visionari nei quali si recupera il senso più profondo dell'opera, un racconto che, trasmesso da uomo a uomo, oralmente prima e poi in forma scritta, si è progressivamente nutrito di storie, culture e tradizioni differenti fino a trasformarsi in un monumento indistruttibile e sconfinato della cultura umana.

Aiuta la comprensione del lavoro l’introduzione che il regista scrive per il libretto di sala; tutti i nomi citati in questo breve testo compaiono infatti come chiare influenze nello spettacolo. Wilson descrive il fascino che da giovane suscitò in lui Marlene Dietrich e la sua capacità di accordare gesti algidi e misurati ad una voce calda e sensuale: una lettura del personaggio di stampo orientale a cui fanno da specchio in Odyssey Circe, Calipso e Penelope, interpretate tutte dall'unica attrice Maria Nafpliotou a cui va un plauso particolare per la presenza scenica e le doti interpretative straordinarie.

Altro immancabile elemento di rilievo è il disegno luci. Robert Wilson, sempre nel libretto di sala, racconta della fascinazione che esercitò su di lui il lavoro di Luchino Visconti, che in teatro sembrava quasi dipingere uomini e oggetti con i proiettori; seguendo un'evoluzione contemporanea dello stesso metodo in Odyssey la luce mozza mani, teste, seziona i personaggi come fossero incomplete e perfette statue greche. A volte un solo braccio è illuminato a raccontare il gesto, la scena. Il fondo muta continuamente gradazione cromatica, in maniera quasi nevrotica, basandosi su due colori dominanti: il blu da cui Robert Wilson è stato colpito durante il soggiorno in Grecia e il rosso delle scene di distruzione e violenza. Le luci in sala si accendono e si spengono, i neon puntati verso il pubblico tremano. Per Wilson ancora una volta le luci fanno parte di una partitura complessa, che forse in alcuni momenti diventa fin troppo frenetica costringendo lo spettatore a domandarsi il perchè di cambi così repentini, che non sembrano trovare riscontro apparente nella scena; solo in pochi momenti ieratici, come l'incontro tra Ulisse e la madre alla soglia degli inferi, il ritmo rallenta fino quasi a fermarsi, consentendo una fruizione più attenta. Al progetto luci si affianca un lavoro sulle voci che forse ha origine dalla scelta linguistica: il greco è una lingua straniera anche per Robert Wilson che perciò sembra interessarsi, oltre il senso delle parole, al ritmo, alla coralità delle voci, rimandandoci anche al significato profondo del teatro e del verso greco, pur sempre riletti in chiave pop.

Odyssey - fotografia Teatro Piccolo di Milano
Odyssey – fotografia Teatro Piccolo di Milano

Robert Wilson concede un ruolo dominante alla musica, composta ed eseguita dal vivo da Theodoris Ekonomou. La colonna sonora rimanda a tratti alle comiche degli anni ’20: su queste melodie i compagni di Ulisse si muovono con gesti stilizzati e ripetuti nelle scena di tempesta. Ma l'analisi musicale merita un'attenzione in più, poichè è ago della bilancia del rapporto tra la scrittura di  Simon Armitage e l'interpretazione degli attori. Se l'adattamento drammaturgico a tratti amplifica gli elementi retorici dell’Odissea, questa scelta verrebbe molto alleggerita dal lavoro fatto sui personaggi, lontani dal naturalismo e da ogni adesione realistica ai sentimenti espressi, interpreti stilizzati che lasciano poco spazio alla mimesi del pubblico. Ma contro questo impianto si muove la colonna sonora: la composizione, che in buona parte richiama ad autori come Nyman e Yann Tiersen, dà allo spettacolo un risvolto melenso, patemico, forse non necessario. Laddove la ripetizione del gesto attoriale crea una forma di straniamento per il pubblico, il minimalismo di arpeggi accomodanti ripetuti in continuazione genera un'amplificazione semplice, quasi banale dei sentimenti e delle situazioni, che rende tutto  più superficiale, quasi insignificante.

Il lavoro nel complesso sembra avere un’intenzione che potremmo definire “estetizzante”. L'ironia e il gioco, non a caso lo spettacolo si chiude con un balletto, dominano sul mito, le pose plastiche di Ulisse, le scene d'amore senza contatti fisici, prendono il posto delle grandi domande che l'uomo si pone in quello che è stato visto come il primo romanzo della storia umana, il primo testo che pone appunto l'uomo, singolo, al centro del discorso. Scegliere la Grecia, ponte tra un lontano passato di splendore culturale e la crisi di oggi – che nello spettacolo non possiamo non ritrovare nell'atteggiamento dei Proci – è una scelta precisa, ma rimane forse solo una decisione iniziale su cui poi Robert Wilson innesta un gioco magnifico, ma pur sempre un gioco.

Odyssey è uno spettacolo riuscito, frutto del genio di uno dei più grandi nomi teatrali del panorama contemporaneo, ma chi conosce e segue l'artista vorrebbe assistere a lavori anche più curati di questo.

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