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Italia in recessione: in arrivo commissariamento dalla troika, manovra o taglio del debito?

L’Italia scivola di nuovo in recessione e gli obiettivi di deficit/Pil e debito/Pil tornano a rischio. Commissariamento, manovra correttiva in autunno o haircut del debito? Nessuna di queste soluzioni servirà in assenza di riforme strutturali autentiche…
A cura di Luca Spoldi
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L’economia italiana è di nuovo in recessione “tecnica”. Non è una sorpresa, salvo per chi ha creduto al “bluff” portato avanti per qualche mese, non senza una qualche capacità, dal premier italiano Matteo Renzi e dal suo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che pure dovevano conoscere i numeri che si andavano accumulando e invece hanno provato prima a buttarla sull’effetto “meteorologico” (l’inverno troppo rigido, si diceva, ha pesato sui primi tre mesi dell’anno chiusi con il Pil appena sotto i livelli di fine 2013, a -0,1%), poi hanno sperato che l’effetto-annunci, gli 80 euro in busta paga a 10 milioni di dipendenti pubblici e la presenza di Mario Draghi alla Bce, pronto a correre in aiuto con ulteriori limature dei tassi e la promessa di un “quantitative easing” sia pure condizionato (ossia con robusti acquisti di cartolarizzazioni di crediti, peraltro solo verso fine anno e solo dopo che sarà chiaro come stanno messe le maggiori banche europee, e se si deve guardare al caso Banco Espirito Santo qualche dubbio resta lecito) bastasse a sostenere una ripresa di cui nessuno si è finora mai accorto.

Di fatto oggi l’Istat, impietoso, ha solo certificato quello che i più già avevano capito da un pezzo: in assenza di alcuna riforma il Pil (tornato ai livelli del secondo trimestre 2000, vale a dire quasi sui minimi toccati durante la crisi del 2008-2009 quando si era tornati ai livelli del 1998) è destinato a non ripartire, non essendoci più alcuna leva disponibile né sul piano monetario (siamo legati all’euro e ai tassi decisi dalla Bce, tassi peraltro che stanno già surriscaldando i mercati immobiliari di molti paesi, a partire dalla Germania) né su quello fiscale (essendoci legati mani e piedi al rispetto dei vincoli imposti dal “fiscal compact” fortemente voluto dalla stessa Germania come cura “fatale, per noi, dei problemi emersi con la crisi banco-sovrana del 2010). Riforme, dunque, ma non quelle di cui si chiacchiera senza costrutto alcuno da mesi a Roma.  Per riuscire a vararle Renzi sarà “commissariato” dalla Troika Ue-Bce-Fmi? Visto l’infelice precedente del governo Monti c’è da sperare che non si arrivi a tanto ma si possa ragionare sui tempi e sui modi di un risanamento che resta comunque indispensabile ora che anche l’export sta mostrando segnali di cedimento “strutturale” preoccupante.

Ci aspetta una manovra a settembre? E’ l’ipotesi che circola ormai da mesi e sembra ogni giorno sempre più probabile: peraltro l’impatto tanto di tagli “lineari” alla speas per tutti i maggiori ministeri come finora ipotizzato (ma poco cambierebbe nell’immediato se anziché tagliare investimenti a casaccio si procedesse a una vera “spending review” i cui risultati peraltro sarebbero apprezzabili solo dopo qualche trimestre, ammesso e non concesso ci sia la volontà politica e la capacità tecnica di incidere davvero sulla spesa pubblica “inefficiente”) che di nuove tasse (magari sul versante patrimoniale per non affossare i consumi ulterioremente) sarebbe chiaramente depressivo e dunque allontanerebbe ulteriormente la famosa “luce in fondo al tunnel” che così sfuggevole si è rivelata da tre anni a questa parte.

Il rischio “vicolo cieco” è dunque concreto e su questo, non bastasse, stanno per innestarsi ulteriori aggravanti. Tra Russia e Ucraina la situazione è infatti tutto meno che distesa e le sanzioni imposte a Mosca da Ue e Usa non sembrano in grado di riportare la pace, ma possono benissimo far deragliare anche la ripresa economica russa, con immediate palpabili conseguenze per gli stati europei, come Germania, Austria e Italia, che con Mosca (piuttosto che con Kiev) intrattengono maggiori interscambi economici. Che succederà è dunque difficile dirlo ora che la situazione è “liquida”, ma alcuni scenari possono essere avanzati, se si vuole tornare realmente a puntare sulla crescita senza perdersi in altri giri del fumo (dalle privatizzazioni all'abolizione delle Province l'elenco è già sufficientemente lungo, grazie).

Visto che i rapporti debito/Pil e deficit/Pil sono messi a rischio da una insufficiente crescita nominale (e visto che non solo il Pil reale non sta crescendo, ma anche l’inflazione è quasi del tutto azzerata che entrambi i rapporti possano aumentare anziché ridursi come auspicato è pressoché certo), l’Italia può e deve chiedere alla Ue di ottenere quelle dilazioni concesse a Spagna e Francia (e negli anni Novanta alla stessa Germania, all’epoca alle prese con l’unificazione). L’alternativa, detta brutalmente, è un “haircut” concordato del debito pubblico, che peraltro rischia comunque di gettare il paese in uno scenario argentino, che forse come mi ricordano alcuni colleghi gestori e analisti non sarebbe “la fine di tutto, la morte di tutto”, ma state certi che non farebbe bene ad un paese con oltre il 40% di disoccupazione a causa principalmente di problemi noti al punto che non dovrei più elencarli (ma tant’è).

Quali sono i nostri limiti per rimuovere i quali (evitando, forse, lo scenario di cui sopra) servono riforme strutturali vere, efficaci e condivise, ossia comprese da un’ampia maggioranza della struttura economica e sociale del paese? Possiamo riassumerli in: presenza strutturalmente più elevata che altrove di piccole e medie imprese, insufficientemente capitalizzate, poco in grado di investire in innovazioni, concentrate in settori e segmenti a basso valore aggiunto; repressione fiscale (che si riverbera su voci di bilancio che vanno dal costo del lavoro a quello dell'energia, più elevati di quelli dei concorrenti europei e mondiali); crisi della domanda interna (aggravata dalla cura di cui sopra); conseguente elevata disoccupazione (in particolare,  ma non solo, giovanile) che neppure il “lavoro nero” riesce più a compensare sempre per mancanza di domanda; stretta creditizia, legata alla crisi di domanda, che prosegue nonostante gli sforzi della Bce (indovinate cosa succederà se con una nuova recessione “strisciante” dovessero continuare a salire le sofferenze sui crediti già concessi?).

Se questi limiti non saranno superati il rischio avvitamento è alto e il costo lo pagheremo tutti assieme, con un divario crescente tra chi può approfittare della crisi per fare buoni affari e chi sarà costretto a passare definitivamente la mano, tra chi si vedrà imporre nuove tassazioni (se non molti soldi sui conti correnti o seconde case di proprietà forse potete stare tranquilli) e chi riuscirà ad aggirarle ancora una volta, tra chi rimarrà anche per questo giro “tutelato” e chi cadrà fuori da ogni tutela. In generale, visto che son già quasi 20 anni che l'economia italiana non riesce più a crescere significativamente, il rischio che passino altri anni in cui dovremo limitarci a sperare in una ripresa “esterna” cui eventualmente agganrciarci è quasi una certezza. Alla fine saremo tutti più vecchi e con minori prospettive quando un giorno tornerà il sereno. Cose che capitano agli ignavi e agli illusi, dicono.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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