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Opinioni

La lunga crisi dell’auto italiana

La cura “letale” della troika continua a deprimere le prospettive dei mercati del Sud Europa. In Italia oltre a l mattone soffre particolarmente il mercato dell’auto, ma la crisi viene da lontano e coincide, curiosamente, col “ventennio a colori” berlusconiano. Sarà solo un caso?
A cura di Luca Spoldi
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Un continente (l’Europa) e un paese (l’Italia) sempre più vecchio e con sempre minori prospettive. Viene da pensarlo a guardare l’andamento del settore industriale, fortemente penalizzato dalla “cura letale“ (copywright by Mario Seminerio) imposta alla periferia Sud europea dalla Germania tramite gli interventi della “troika” Bce-Ue-Fmi, e del mercato del lavoro, dove a soffrire, ovunque, sono in particolare i giovani. Nel settore industriale sono due i tasti ancora “dolenti” dopo due anni di “cura” che pure avrebbero dovuto portare ad una ristrutturazione più o meno dolorosa e profonda: il mercato immobiliare e quello dell’automobile. Del mattone (in particolare di quello italiano, ma considerazioni similari avrei potute farle per la Spagna) vi ho già parlato, per quanto riguarda l’auto non si può non rimanere colpiti negativamente da due eventi.

Venerdì una C3 ha concluso l’attività quarantennale (durante la quale la fabbrica ha prodotto 8.568.391 vetture) dello stabilimento Psa Peugeot Citroen di Aulnay, alle porte di Parigi. La chiusura non è stata “celebrata” in alcun modo dal titolo, che anzi ha chiuso la seduta in calo del 4% appena sotto i 9,95 euro, sempre più lontano dal picco di 13,08 euro toccati a metà settembre quando sembrava che il secondo maggior produttore automobilistico europeo dietro a Volkswagen potesse stringere un’alleanza industriale con General Motors (già presente con una quota del 7% nel capitale del gruppo francese) per iniziare a produrre le C3 nell’impianto spagnolo GM di Saragoza. Ipotesi che l’avvicinamento al partner cinese Dongfeng Motor (azienda a capitale pubblico), che potrebbe entrare nel capitale di Psa Peugeot Citroen insieme allo stato francese, sta mettendo ora alquanto in forse.

Parafrasando si potrebbe dire: Cina o Spagna basta che si magna (ossia si tagliano i costi). Peccato che, come hanno fatto notare gli analisti di Ihs per riuscire ad eliminare la sovracapacità produttiva attualmente presente in Europa (le cui fabbriche possono produrre fino a 26 milioni di auto all’anno, ma al momento ne producono 19 milioni che riescono  a malapena a vendere) sarebbe necessario chiudere 18 impianti come Aulnay. Ma finora oltre a Fiat (che ha cessato a fine 2011 le attività dello stabilimento siciliano di Termini Imerese) e Peugeot (ad Aulny, appunto) hanno annunciato nuove chiusure solo Ford (che un anno fa preannunciò la chiusura di tre fabbriche in Europa e il taglio di 5.700 posti di lavoro) e Opel (controllata tedesca di General Motors che ha deciso di cessare le attività dell’impianto di Bochum, dove lavorano 3.100 dipendenti). E se è vero che per chi resiste ogni chiusura altrui rappresenta una piccola boccata d’ossigeno (mors tua vita mea), è chiaro che se non riparte l’economia del vecchio continente non ci saranno esportazioni in grado di far evitare la chiusura di almeno un’altra decina di impianti.

La seconda notizia negativa è tutta italiana: a fronte di un mercato sempre più lontano dai 2,5 milioni di vetture vendute nel 2007, prima dell’esplodere della crisi economico-finanziaria seguita al crack di Lehman Brothers dell’anno successivo e a tutto quanto ne seguì, la produzione è ormai a un livello di guardia. Secondo gli ultimi dati elaborati dal Sole24Ore lo scorso anno (chiuso con poco più di 1,4 milioni di vetture vendute) sono state prodotte in Italia solo 396.817 vetture. In questo caso il picco si era avuto nell’ormai lontano 1989 quando vennero prodotte nelle fabbriche di tutta la penisola 1.971.969 vetture. Il dato è due volte preoccupante perché segnala che si sono “perse” oltre 1,5 milioni di vetture prodotte ogni anno e perché segnala che oltre un milione di vetture vendute ogni anno arriva in Italia da fabbriche situate all’estero.

E questo vuol dire solo una cosa: che l’Italia non è più competitiva, vuoi a causa di prodotti che hanno poco appeal sui mercati, vuoi per i costi di produzione troppo elevati (anche se non soprattutto a causa di svantaggi di tipo fiscale-contributivo). Una situazione, per il mercato dell’auto, che va avanti almeno dal 1994-1996, curiosamente l’inizio del “ventennio a colori” di matrice berlusconiana che ancora in queste settimane fatica a concludersi. Sarà un caso?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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