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Iran condanna a morte ricercatore Università di Novara. La moglie: “Pensano sia una spia”

Di Ahmadreza Djalali, 45 anni, dal 2012 al 2015 al ‘Centro di ricerca interdipartimentale in medicina dei disastri’ dell’Università del Piemonte Orientale, non si hanno più notizie da nove mesi. L’uomo è stato arrestato e rinchiuso nella prigione di Evin con l’accusa di essere una spia. E ora è giunta la notizia della sua presunta condanna a morte.
A cura di Biagio Chiariello
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Ahmadreza Djalali è un medico iraniano di 45 anni, con un dottorato di ricerca conseguito al Karolinska Institutet di Stoccolma. Per quattro anni ha lavorato a Novara, all’Università del Piemonte Orientale, come ricercatore capo al Crimedim, il Centro di ricerca in medicina di emergenza e delle catastrofi. Ed ora è stato condannato a morte dai giudici di Teheran. Secondo quanto riferito dalla moglie al Corriere della Sera, è accusato di essere una spia. “Sono passati nove mesi dall’arresto di mio marito in Iran — dice Vida Mehrannia che con Ahamdreza ha avuto due figli che oggi hanno 5 e 13 anni —. All’inizio non ho denunciato la cosa perché un poliziotto ha chiamato la mia famiglia a Teheran avvertendo che non dovevo parlarne, e io temevo di danneggiare la situazione. Ma non posso più tacere: ieri Ahmad ha chiamato sua sorella, le ha detto che sarà giustiziato con l’accusa di collaborazione con Paesi nemici. Pensano che sia una spia. Ma è solo un ricercatore”.

Djalali avrebbe collaborato all’estero con ricercatori italiani, israeliani, svedesi, americani e del Medio Oriente, per migliorare le capacità operative degli ospedali di quei paesi che soffrono la povertà e sono funestati da guerre civili e disastri naturali, garantiscono i colleghi che hanno lavorato con lui e che adesso hanno lanciato un appello per ottenere la sua liberazione, a cominciare da Roberta Petrino, presidente dell’Eusem, la European society for emergency medicine, nonché presidente regionale del Simeu. La Regione Piemonte si è subito mobilitata per Ahmadreza Djalali: “Chiediamo l'immediata revoca della sua condanna e la sua scarcerazione, sollecitando il Governo e l'Unione europea a intervenire presso le autorità iraniane”, è la richiesta dell'assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Antonio Saitta.

Inizialmente si pensava che il 45enen fosse stato vittima di un incidente, poi però è emersa la drammatica verità. Djalali era stato rinchiuso, senza processo, nella prigione di Evin, in isolamento e senza avvocato. "Per tre mesi — racconta la moglie — è stato tenuto in isolamento assoluto. Poi è stato spostato nel Reparto 7, con gli altri prigionieri e per la prima volta gli hanno permesso di avere un avvocato che però non ha accesso al suo file e non può parlarci del caso perché è di sicurezza nazionale". Tre giorni fa è stato riportato nel Reparto 209 e qui, secondo la moglie, gli è stato confermato dal giudice che verrà impiccato dopo il processo che si terrà tra un paio di settimane. I colleghi fanno appello ai governi di Italia e Svezia, e all’Alto Rappresentante Ue Federica Mogherini.

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