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Droghe nei drink e molestie: cosa è successo alle sviluppatrici di videogiochi durante la GDC

“Sono furioso non solo perché questo è avvenuto, ma perché finisce per succedere così spesso che ormai è diventato un luogo comune”, afferma uno degli sviluppatori presenti alla GDC.
A cura di Lorena Rao
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C'era grande attesa attorno alla Game Developers Conference (GDC) di San Francisco di fine marzo scorso. L'evento è molto importante per i team di sviluppo di tutto il mondo, specialmente indipendenti, perché rappresenta un'ottima occasione per creare rapporti lavorativi con professioniste e professionisti del settore videoludico tramite panel ed eventi di networking. Eppure l'edizione di quest'anno si è tinta di tematiche cupe che hanno al centro molestie, aggressioni, e in generale un atteggiamento misogino e sessista nei confronti di molte sviluppatrici, ma non solo.

Le molestie alla GDC

"Le donne alla GDC quest'anno sono state sminuite e minate nei loro ruoli, sono state colpite senza sosta e hanno avuto i loro drink alterati da uomini predatori", scrive su Twitter Leena van Deventer, sviluppatrice e autrice videoludica. "Due donne sono state persino attirate in una stanza d'albergo da un uomo in posizione di potere per un pitch, dove poi le ha aggredite".

Le testimonianze fanno riferimento a diversi eventi di networking che si sono svolti durante la GDC ma esterne al congresso. In particolare, alcune menzionano una serata karaoke da Pandora, un locale che si trova nel quartiere Tenderloin di San Francisco. Guy Blomberg, uno degli organizzatori dell'evento nonché vice-presidente di Stride PR (lo studio di Dying Light 2) e fondatore della associazione di networking inclusiva Games Industry Gathering, sta operando in prima persona per far luce sulla questione. "Sono terribilmente dispiaciuto che alcune persone siano dovute passare attraverso questa esperienza terrificante", scrive su Twitter. "Sono furioso non solo perché questo è avvenuto, ma perché finisce per succedere così spesso che ormai è diventato un luogo comune".

Tra coloro che stanno partecipando attivamente contro i colpevoli c'è Ty Tylor, director dello studio indipendente Quantum APG. Secondo le informazioni raccolte, sono sei le persone che sono state drogate con i drink, nello specifico, quattro donne e due uomini. Le indagini ufficiali però hanno riscontrato difficoltà in partenza: "Ho contattato alcuni investigatori privati ​​nell'area di San Francisco per consigli e opzioni, e sfortunatamente ci dicono che sarà difficile ottenere filmati di sicurezza da un luogo senza un mandato di comparizione", scrive Tylor su Twitter.

Intanto le vittime hanno il sostegno di Games and Online Harassment Online, una linea telefonica gratuita di supporto a chi ha subito molestie nell'ambito videoludico: "Ogni anno ci sono storie di palpeggiamenti, droghe, molestie e ancora di più di innumerevoli tentativi di creare opportunità di aggressione in occasione di eventi dell'industria dei giochi come # GDC23", riporta il gruppo su Twitter. "È straziante e irritante che tutto questo sembri così normalizzato".

In effetti dinamiche del genere sono piuttosto diffuse nella game industry, nonostante i numerosi scandali esplosi negli ultimi anni, come quello che ha coinvolto Activision Blizzard, ma anche Ubisoft, Riot Games, Quantic Dream, oltre a singole sviluppatrici e professioniste del settore. Tutti questi casi dimostrano quanto sia radicata la frat boy culture all'interno degli studi di sviluppo, che danneggia in maniera fisica e psicologica professioniste e professionisti non conformi a una mentalità di stampo reazionaria e maschilista. E così sono sempre di più le persone, per lo più donne, a venire sminuite ai colloqui, molestate verbalmente e fisicamente agli eventi di lavoro o direttamente in ufficio, arrivando a volte a conseguenze tragiche come il suicidio.

Misoginia nei videogiochi: gli effetti del Gamergate

Sebbene la componente femminile nel settore videoludico non rappresenti più una eccezionalità da decenni, permane l'idea che sia un terreno per soli uomini, meglio se bianchi ed eterosessuali, siano essi professionisti o giocatori. Da qui atteggiamenti tossici e aggressivi nei confronti delle donne che vi lavorano ma anche delle eroine virtuali che non corrispondono a una determinata visione della società, appoggiata dagli ambienti dell'estrema destra, specialmente statunitense, e dalla comunità detta incel. In molti ricorderanno le critiche mosse a The Last of Us Parte II, le minacce di morte all'attrice che ha interpretato uno dei personaggi principali del gioco, Abby, così come i casi sopracitati che vede coinvolte alcune delle principali software house videoludiche.

La misoginia nel gaming è diventata tristemente nota col Gamergate, lo scandalo esploso nel 2014, caratterizzato da minacce di morte, insulti e offese contro donne del settore, quali la sviluppatrice indipende Zoë Quinn, la programmatrice Brenna Wu e la critica femminista Anita Sarkeesian. Tutto nasce da un lungo post di sfogo sul proprio blog di Eron Gjoni contro la sua ex fidanzata Zoë Quinn. Nel post Gjoni racconta i dettagli della relazione, anche sessuali, mettendo in ridicolo la donna, colpevole di averlo lasciato. Nello sfogo viene fatta menzione a un giornalista di Kotaku, uno dei principali siti di informazioni videoludica. Il piccolo seguito di Gjoni ha utilizzato questo dettaglio per accusare Quinn di essersi concessa sessualmente per ottenere una recensione favorevole per il suo ultimo gioco, Depression Quest, un'avventura testuale sul tema della depressione. Si tratta di un'accusa del tutto infondata: il giornalista in questione non ha mai coperto i titoli sviluppati da Quinn. Eppure la notizia è rimbalzata in poco tempo su 4chan, 8chan, Twitter e il resto di social, portando a un vero e proprio terremoto, che ha normalizzato l'odio nei confronti delle donne, reali e rappresentate, nei videogiochi. Per questo, casi come quelli della GDC, così come i tanti già citati, trovano ancora accettazione e sostegno, rendendo il settore videoludico un inferno da cui molte sono costrette a fuggire.

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