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Quelle atrocità di Joseph Kony in viaggio attraverso la rete

Quattro giorni ed oltre 50 milioni di visualizzazioni: il video “Kony 2012”, realizzato dagli attivisti di Invisible Children, sta facendo il giro del mondo in poche ore, raccontando la storia dello spietato guerrigliero ugandese che ha ridotto in schiavitù migliaia di bambini. Ma i sospetti sull’associazione gettano un’ombra sinistra sul documentario.
A cura di Nadia Vitali
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La storia del generale ugandese ricercato per crimini contro l umanità è diventata protagonista della rete

Forse, per quanto sia amaro constatarlo, il fenomeno che ha investito la rete in questi ultimi giorni, più che portare a dei risultati concretamente utili e riscontrabili sul piano reale, potrebbe solo fornire l'ennesima prova della potenza di internet; e poco più. Il tutto parte da un video documentario della durata di una trentina di minuti che gli attivisti di Invisible Children hanno messo online il 5 marzo: è subito boom di visite e condivisioni, fatto alquanto singolare perché il cortometraggio racconta di quella parte di mondo di cui raramente ci si interessa, il cuore dell'Africa abbandonato ai suoi conflitti e ai suoi fantasmi. Eccezionalmente, dunque, a quattro giorni dalla sua diffusione Kony 2012 diventa un racconto dell'inferno africano noto a tutti: del resto, è l'epoca dell'informazione globale che viaggia con un click e i tempi delle guerre tra Hutu e Tutsi con relativi genocidi consumati nel silenzio della comunità internazionale sembrano incredibilmente lontani (anche se non lo sono affatto); sentirsi parte di una collettività alimenta l'illusione che gli orrori possano essere fermati, persino in quei luoghi così lontani ed isolati. Oltre 50 milioni di visite, numeri da record per la storia di Joseph Kony, il feroce guerrigliero dell'Uganda leader del Lord's Resistance Army, gruppo fondamentalista cristiano, ricercato dalla Corte Penale Internazionale che, tuttavia lo «ricerca», come in molti casi, senza avere la benché minima idea di dove possa trovarsi.

Joseph Kony, il mostro a cui la rete dà la caccia – Accusato di aver commesso atroci violazioni dei diritti umani che includono l'omicidio, le mutilazioni, la riduzione in schiavitù di oltre 30 000 minori, bambine sfruttate sessualmente e bambini trasformati in soldati per ingrossare le milizie dei ribelli, Joseph Kony, da qualche giorno a questa parte, da persona sconosciuta ai più quale era, è diventato il bandito più braccato del pianeta. Difficile immaginare se la sua notorietà sinistra svanirà nelle prossime settimane travolta da qualche nuova storia, magari maggiormente interessante di quelle che giungono dall'Africa; per il momento, il nome di Kony è tra i più digitati su google e youtube, oltre che trending topic mondiale su Twitter, mentre l'opera di sensibilizzazione globale ha già dato come risultato l'organizzazione di una mobilitazione che si terrà il 20 aprile e che, nelle intenzioni di Invisible Children, dovrebbe portare all'arresto del guerrigliero ugandese e allo smantellamento della sua struttura militare. Fin qui, potremmo quasi dire, tutto bene: milioni di visitatori commossi ed emozionati, milioni di persone pronte ad elargire donazioni e a testimoniare la propria vicinanza all'associazione e alla battaglia per la giustizia e per i diritti delle migliaia di bambini sottratti alle proprie famiglie nel corso dei rastrellamenti compiuti nei villaggi dalle truppe dei ribelli. Il male e l'orrore, in questi giorni, possono dire di avere un nome ed un volto ben precisi, quelli di Joseph Kony, mentre i buoni sono distintamente visibili di fronte al proprio monitor mentre guardano e diffondono il video realizzato da Jason Russel che in quanto a montaggi, frasi ad effetto ed immagini forti non si è certamente risparmiato. Ora basterebbe solo aspettare che questo racconto, salito agli onori della cronaca grazie all'impegno degli attivisti, servisse al suo scopo: ma, nel giro di poche ore, assieme agli allori, per l'associazione sono piovute anche le critiche.

I dubbi su Invisible Children e sul valore dell'iniziativa – Che si tratti di un progetto che, grazie ad un marketing di elevatissima qualità capace di far leva su sentimenti spendibili e diffusi, mira sostanzialmente a raccogliere fondi può essere una prima osservazione ma non apre a particolari polemiche: del resto, è il prezzo da pagare perché, una volta tanto, uno dei tanti orrori silenti dell'Africa venga conosciuto da tutti diventando protagonista dell'impegno internazionale. Certamente, però, bisogna in primo luogo sottolineare la prospettiva semplicistica che il video inevitabilmente trasmette: l'Esercito di Resistenza del Signore di cui Kony è a capo non si contrappone certamente, nell'ambito della guerra civile che da quasi vent'anni divide l'Uganda, alle truppe di uno Stato libero e democratico, ma all'esercito di un paese dove, a titolo di esempio, nel 2009 si è proposta una legge per rendere l'omosessualità un reato da punire con la morte. Ed è lecito credere che gli attivisti di questa fantomatica associazione, così capaci di investire nella realizzazione di un video dall'effetto virale potentissimo (creato ad hoc, certamente non uno dei tanti «fenomeni della rete» nati quasi casualmente) abbiano peccato di ingenuità nel proporre la drammatica storia delle vittime di Kony? Osannati dal web e, immediatamente, vittime della stessa rete che ne ha promosso la diffusione: basta cercare senza molta fatica online le opinioni della stampa statunitense per scoprire, con estremo dispiacere, un retroscena fatto di bassa trasparenza nei movimenti di denaro e finanziamenti discutibili. Certo, alle accuse ha immediatamente risposto Invisible Children, che fondata nel 2005 non è nuova a questo genere di critiche, rendendo pubblicamente disponibili i propri bilanci: e se poi, alla fine, i fondi finissero quasi tutti in messaggi promozionali del genere, forse, non sarebbe un grande problema dal momento che già la mera condivisione della notizia può portare spesso a risultati concreti. Eppure, dopo essersi commossi dinanzi alle immagini del video più famoso degli ultimi giorni, il dubbio comunque rimane: possibile proporre Kony come vittima sacrificale di un paese in cui le stesse istituzioni si sono macchiate di atroci nefandezze? E se, come spesso accade, dietro si muovesse il solito oscuro manovratore intenzionato a mutare gli «equilibri politici» (per quanto si possa parlare di equilibri) di un'area, invadendola ancora una volta di armi di fabbricazione europea o statunitense come siamo soliti fare?  Il sospetto corre sulla rete, rapidamente, mentre il video continua a girare; l'unica cosa certa resta il fatto che quell'esercito di bambini e bambine avrebbe bisogno di ospedali, scuole e famiglie, certamente non di soldati, per quanto, nelle intenzioni, pronti a liberarli del mostro Joseph Kony.

KONY 2012 from INVISIBLE CHILDREN on Vimeo.

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