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Marco Zennaro carcerato in Sudan, il grido dei famigliari: “In cella a 50 gradi senza letto né aria”

Marco Zennaro è tornato nella cella del commissariato di Karthoum, dove ha trascorso più di 50 giorni, in condizioni disumane. Lo raccontano a Fanpage i famigliari dell’imprenditore veneto detenuto da oltre due mesi in Sudan con un’accusa di frode non del tutto chiara. Dopo l’intervento della Farnesina era stato trasferito in carcere, ieri la decisione dopo un’udienza davanti alla Corte del ritorno nella capitale. “All’interno della cella c’è una temperatura a 50 gradi, non c’è un letto o un materasso, nessun diritto di visita, movimento e aria”, denunciano i famigliari.
A cura di Chiara Ammendola
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Marco Zennaro e la cella del commissariato in Sudan dove è detenuto
Marco Zennaro e la cella del commissariato in Sudan dove è detenuto

Non c'è pace per Marco Zennaro, l'imprenditore veneto che si trova detenuto da oltre due mesi in Sudan, con l'accusa di frode. Il 46enne infatti dopo aver trascorso alcuni giorni nel carcere di Omdurman, ieri è stato nuovamente trasferito per essere riportato nella cella del commissariato della capitale sudanese, Karthoum, dove ha trascorso più di 50 giorni.

Non ha diritto a una visita né a poter uscire all'aria aperta

Non è chiaro il motivo del trasferimento avvenuto dopo una nuova udienza davanti alla Corte, ciò che appare chiaro invece e che preoccupa sono le condizioni nelle quali si trova l'ingegnere originario di Venezia così come raccontato dai famigliari a Fanpage.it: "Marco è stato prelevato dal carcere, che la Farnesina definiva luogo migliorativo rispetto al commissariato, e riportato nella stanza dove aveva già passato più di 50 giorni – spiegano i famigliari – quindi le condizioni sono di nuovo peggiorate, con più di 40 persone nella stessa stanza e temperatura vicina ai 50 gradi". Il procuratore infatti avrebbe deciso di disporre un'ulteriore integrazione istruttoria che porteranno l'imprenditore a trascorrere altri giorni nella cella del commissariato della capitale in condizioni che i famigliari hanno definito disumane, come testimonia anche una foto scattata durante il primo periodo trascorso lì: "Non ha un materasso né un letto e nessun diritto di visita – spiegano – inoltre gli è stata nuovamente negata possibilità di uscire all'aria aperta o di muoversi. Anche l'iter processuale continua ad essere incerto, con informazioni poco chiare e che cambiano rapidamente".

Domani, 10 giugno, dovrebbe tenersi una nuova udienza

Nelle scorse settimana la Farnesina aveva inviato in Sudan una delegazione, con a capo il direttore generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie della Farnesina, Luigi Vignali, affinché si chiarisse la posizione di Zennaro sotto l'aspetto giuridico chiarendo così le accuse che lo hanno portato in carcere e soprattutto affinché fossero migliorate le condizioni di detenzione. Cosa, quest'ultima, che sembrava fosse avvenuta ma che invece torna a preoccupare la famiglia che ora non può fare visita al 46enne. La prossima udienza dovrebbe tenersi domani, 10 giugno: si tratta di un'udienza civile per discutere le accuse mosse a Zennaro, in particolare per quanto riguarda la controversia commerciale che lo ha portato in carcere. "Il problema grosso di tutta questa vicenda è che rispetto anche a quello che abbiamo visto le scorse settimane, non sempre ciò che viene detto accade e soprattutto non sempre le date vengono rispettate – aveva detto nei giorni scorsi la famiglia a Fanpage.it – nelle scorse settimane Marco era in attesa di un'udienza che poi non c'è mai stata".

Chi è Marco Zennaro e perché si trova in carcere in Sudan

La vicenda di Marco Zennaro è iniziato lo scorso metà marzo col suo arrivo in Sudan. L'imprenditore è arrivato nella capitale per risolvere un problema sorto successivamente a una vendita da parte della sua società, la "Zennaro Electrical Constructions", di trasformatori elettrici all'azienda sudanese Sedec. La controparte commerciale locale dopo l'acquisto aveva giudicato non conformi al contratto i prodotti venduti. All'imprenditore, però, appena giunto in Sudan gli è stato sequestrato il passaporto e gli è stata notificata una denuncia per frode con accuse mai del tutto chiarite. Da qui un lungo iter che lo ha portato prima a trascorrere due settimane in albergo, piantonato, poi 50 giorni in una cella del commissariato di Karthoum e poi in carcere. Intanto il mediatore della vendita Ayman Gallabi è stato ritrovato senza vita il 18 maggio nel Nilo, in una morte le cui circostanze vengono giudicate misteriose.

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