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La foto di una suora in ginocchio davanti alla polizia diventa il simbolo delle proteste in Myanmar

L’immagine di una suora cattolica in ginocchio davanti alla polizia in tenuta anti-sommossa mentre supplica gli agenti di non sparare sui giovani che manifestano è diventata il simbolo delle proteste in Myanmar, che proprio ieri hanno raggiunto l’apice della violenza: il bilancio è di almeno 18 morti, centinaia di persone fermate e altrettanti feriti. Continua intanto processo della giunta militare contro Aung San Suu Kyi dopo il golpe dell’1 febbraio scorso.
A cura di Ida Artiaco
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Continuano le proteste in Myanmar dopo il colpo di Stato per mano dell'esercito birmano verificatosi esattamente un mese fa. Solo ieri, una delle giornate più macchiate dal sangue dall'inizio delle manifestazioni, ben 18 manifestanti anti golpe sono state uccisi dalla polizia e altri 30 sono rimasti feriti. Simbolo della violenza degli ultimi giorni è diventata una suora cattolica, scesa in strada nella città di Myitkyina, capitale dello stato Kachin, che si è letteralmente inginocchiata davanti ai poliziotti in tenuta anti sommossa supplicandoli di non sperare sui giovani in corteo. Immortalata in una serie di scatti, le immagini sono state ricondivise via Twitter dal cardinale di Yangon, Charles Bo, ed hanno ben presto fatto il giro del web. "Oggi, la rivolta è stata grave a livello nazionale – si legge sul post – la polizia sta arrestando, picchiando e persino sparando alle persone. In lacrime, suor Ann Nu Thawng implora e ferma la polizia affinché smetta di arrestare i manifestanti".

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La situazione nel Paese asiatico diventa ogni giorno sempre più esplosiva. Lo scorso 1 febbraio l'esercito ha preso il potere in Myanmar con un colpo di stato, dichiarando lo stato di emergenza per un anno, assumendo di fatto il controllo della nazione. Quel giorno Aung San Suu Kyi, premio nobel per la Pace e leader del partito che ha la maggioranza nel parlamento, cioè la Lega nazionale per la democrazia (Lnd), e che di fatto è al capo del governo, è stata arrestata insieme ad altri centinaia di parlamentari, con l’accusa di brogli elettorali nelle elezioni di novembre 2020. La situazione è precipitata ieri: la polizia ha sparato pallottole di gomma, gas lacrimogeni e proiettili veri a Yangon, Mandalay, Bagu e Pakokku. Tragico il bilancio: almeno diciotto i morti (ma secondo fonti dei rivoltosi sarebbero oltre trenta) e decine di ricoverati perché colpiti da armi da fuoco o dai manganelli. Centinaia gli arresti per le sommosse. Nonostante le proteste, continua intanto il processo della giunta militare proprio contro Aung San Suu Kyi che è apparsa in videoconferenza davanti ai giudici del Tribunale di Naypyidaw per la prima udienza. La 75enne, accusata anche di importazione illegale di walkie-talkie e violazione della legge sui disastri naturali, non appariva in pubblico dal giorno del golpe, il primo febbraio, ma "sta bene", come ha precisato il legale, Khin Maung Zaw.

Unanime la condanna della comunità internazionale. L’Alto Rappresentante della Ue Josep Borrell ha annunciato che "le autorità militari devono interrompere immediatamente l’uso della forza contro i civili e consentire alla popolazione di esprimere il proprio diritto alla libertà di espressione e di riunione", aggiungendo che l’Unione europea "adotterà a breve misure in risposta a questi sviluppi".

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