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L’Enciclica di Papa Francesco: “Siamo una sola famiglia umana”

Bergoglio è un conservatore politico che le condizioni storiche hanno trasformato in un innovatore sociale. Il suo richiamo al degrado ambientale, quale conseguenza del degrado sociale, è una sfida all’indifferenza lanciata ai popoli della Terra che ha l’obiettivo di rendere la Chiesa un punto di rifermento sostanziale per quanti vogliono costruire un futuro diverso da quello immaginato.
A cura di Marcello Ravveduto
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Pope Francis kisses a baby as he leaves at the end of his Wednesday general audience in Saint Peter's square at the Vatican June 17, 2015. REUTERS/Max Rossi
Pope Francis kisses a baby as he leaves at the end of his Wednesday general audience in Saint Peter's square at the Vatican June 17, 2015. REUTERS/Max Rossi

La Terra è la «nostra casa comune». Intorno a questa considerazione si sviluppa la “LAUDATO SI’” di Papa Francesco. Bergoglio non è certamente un progressista ma con questo «appello» dimostra quanto le categorie ideologiche del Novecento, lui che vi appartiene completamente, siano superate. Il Pontefice venuto “dalla fine del mondo” è un conservatore politico che le condizioni storiche hanno trasformato in un innovatore sociale.

Il testo è di facile lettura, persino le citazioni teologiche sono integrate nel discorso costruendo un ponte di collegamento tra i temi civili e quelli religiosi. Ma non basta. Nel corpo dell’Enciclica si trovano espressioni che mai, in passato, avremmo sentito da un Papa: quando si riferisce ai limiti tecnocratici della Globalizzazione scrive: «Ciò che sta accadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale». Si, avete letto bene, l’espressione usata è “rivoluzione culturale”. Immaginate se questo termine fosse stato usato da un Pontefice negli anni della Guerra fredda, il giorno dopo la Cia lo avrebbe inserito nei lista dei più pericolosi leader comunisti da eliminare.

Si inseriscono, inoltre, nuovi termini, come “rapidaciòn”, appartenenti al linguaggio dai movimenti di base latinoamericani che criticano la Globalizzazione: «la continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta si unisce oggi all’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro» in una costante “rapidizzazione” (che è anche scadimento) del divenire sociale. C’è più futuro – direbbe Franco Arminio – in un paese delle aree interne, lontano dagli eccessi metropolitani, dove tutto si muove con naturale lentezza e rispetto delle relazioni comunitarie, in armonia con l’ambiente circostante, che in una fabbrica ecosostenibile perfettamente funzionante.

Proviamo ad entrare nel merito. Nella prima parte è forte il richiamo al degrado ambientale connesso ad un conseguente degrado sociale. Viviamo, dice Francesco, in un mondo che «sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia». Una cultura dello scarto (con una forte suggestione baumaniana sui “rifiuti umani”) «che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura».

È da questa catena, avviata dall’ingordigia della massimizzazione dei profitti, che scaturisce il «tragico aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa».

Sono i poveri della Terra a soffrire maggiormente lo sfruttamento delle risorse naturali che sta comportando un rapido cambiamento climatico e la diminuzione delle scorte di acqua potabile. L’acqua, più di tutto, rappresenta «una questione di primaria importanza, perché è indispensabile per la vita umana e per sostenere gli ecosistemi terrestri e acquatici… l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità».

Comprendete quanto sia oppositivo il pensiero del Papa (e si spera dell’itero mondo cattolico) rispetto alla volontà diffusa di amministratori e governanti che cercano di privatizzare, per accumulare reddito, il bene primario comune per eccellenza?

La mancata attenzione all’ambiente, inteso come prodotto delle relazioni tra ecosistema ed esseri umani, è la ragione fondamentale del declino di un modello distributivo in cui una minoranza si è arrogata il diritto di consumare anche le risorse di altri paesi, sfruttati per soddisfare i mercati del «Nord industrializzato». Si sancisce, così, una nuova divisione del globo tra un Sud povero e Nord ricco che ha accumulato un «debito ecologico» connesso agli squilibri commerciali e all’uso sproporzionato delle risorse naturali: «La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso. E’ necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile».

Poi esplode con una esortazione che è il vero fulcro del suo messaggio: «siamo una sola famiglia umana» e la Globalizzazione non può essere un’attenuante per l’indifferenza e la superficialità. Superficialità che Bergoglio vede in una certa ecologia dei potenti che «consolida un intorpidimento e una spensierata irresponsabilità». La realtà dei fatti, vista dalla prospettiva dei profitti, non appare poi così grave, come vogliono far credere alcuni ambientalisti ossessionati. In realtà, «questo comportamento evasivo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. E’ il modo in cui l’essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodistruttivi: cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni importanti, facendo come se nulla fosse».

La parte più densa, dal punto di vista degli ideali umanitari, è sicuramente quella concentrata nel capitolo terzo che discute del «paradigma tecnocratico della Globalizzazione». La tecnologia condiziona la nostra vita implementando stili di vita e orientando le scelte commerciali verso determinati gruppi di potere. Siamo dominati dalla logica razionale del conseguimento del risultato attraverso oggetti esterni alla dimensione umana. «È diventato contro-culturale scegliere uno stile di vita con obiettivi che almeno in parte possano essere indipendenti dalla tecnica, dai suoi costi e dal suo potere globalizzante e massificante… Si riducono così la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività alternativa degli individui».

Nell’inseguire il paradigma tecnocratico, l’economia reale è stata soffocata dalla finanza sostenendo allegramente che è la crescita del mercato l’unica soluzione per risolvere i problemi della miseria e della fame nel mondo ma, sostiene il Pontefice, il mercato da solo non può garantire lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale, soprattutto se viviamo in una «sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante».

In un pianeta in cui gli eredi del Socialismo (pur ammettendo un doveroso processo di revisione degli obiettivi imposto dalla fase post ideologica) paiono aver smarrito il ruolo di rappresentanza delle masse emarginate rimane solo Francesco, al di sopra delle parti e con un più alto obiettivo morale, a ricordare che «il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro».

Un concetto che supera l’dea di carità come azione passiva collegandola ad un’azione di attiva socialità: niente paternalismo ma opportunità di crescita, materiale e morale, per tutti gli esclusi dal mondo del lavoro. A chi milita a sinistra suggerisco di stampare l’Enciclica e, dopo aver letta e studiata, di tenerla a portata di mano insieme a “Il Capitale” di Karl Marx. È probabile che qualche filosofo sia in grado di trarre una sintesi dei due testi in grado di offrire una nuova prospettiva al proletariato 2.0.

Prima di concludere vorrei sottoporvi un’ultima citazione di “LAUDATO SI’”: «La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo. La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale».

Gli estensori dell’Enciclica colgono, con l’acutezza degli analisti, la vera grande assente della Globalizzazione: la politica, mortificata dal domino delle banche e dalla carenza di un orizzonte etico sovranazionale senza il quale non è possibile stabilire un sistema di regole comuni capaci di ridare forza all’economia reale e, quindi, al lavoro come investimento sulle persone e sulle relazioni umane.

Quello di Bergoglio è, in definitiva, un conservatorismo che vuole salvaguardare l’uomo dai suoi stessi errori andando oltre il ruolo di guida spirituale della comunità cattolica. Ha lanciato ai popoli della Terra una nuova sfida millenaria con l’obiettivo di rendere la Chiesa un punto di rifermento sostanziale per quanti vogliono costruire un futuro diverso da quello che i potenti hanno immaginato.

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