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Iraq, ancora sangue nelle strade: altri 15 morti due giorni fa

Nel solo mese di marzo ci sono stati 271 persone uccise dagli attentati. Intanto polizia ed esercito intensificano la repressione contro i manifestanti che protestano contro il premier Al-Maliki.
A cura di Enrico Campofreda
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Sangue su sangue nelle province irachene che subiscono un’ossessiva alternanza di attentati e repressione alle proteste degli ultimi giorni. Un’onda lunga partita a gennaio e rinfocolata il mese scorso, come la stessa strategia del terrore sostenuta dalle deflagrazioni di auto-bomba o di contenitori minori che in ambienti affollati seminano comunque morte. Sono gli strumenti usati dai gruppi qaedisti, ma di cui attualmente si sospettano i Servizi controllati dal premier Al-Maliki che con questa tattica intimorirebbe gli avversari.

Duecentosettatuno i cadaveri che si sono contati solo a marzo. Due giorni fa altre 15 persone sono rimaste vittima della violenza, dodici erano manifestanti dell’opposizione. Accanto a questi decessi causati dalla durissima repressione governativa, si sono contati nove morti per una bomba posta nei pressi della moschea sunnita di Muqdadiyah, a nord-est di Baghdad. Si aggiungono ai 53 di Kirkuk dove martedì c’è stata una vera battaglia armata fra polizia e militari contro gruppi di dimostranti che imbracciavano fucili e hanno anche sequestrato dei soldati.

Le Forze Armate affermano d’aver aperto il fuoco solo a seguito degli attacchi di reparti organizzati e conosciuti come l’Esercito di Naqshbandiya di cui hanno contato una trentina di kalashnikov e varie pistole. Ma rappresentanti di attivisti pacifici disposti dall’inizio della settimana in un sit-in nella provincia di Kirkuk hanno accusato i poliziotti di un’operazione assassina in cui sono stati colpiti a morte anche bambini e bruciate le tende del presidio di protesta. Questa ha scatenato la vendetta con cui gli armati hanno assaltato fra l’altro un check-point delle milizie governative vicino Ramadi, a ovest della capitale, ucciso sei soldati portandone via in ostaggio sette. Intanto altri due ministri sunniti – Ali Tamim per l’Educazione e quello della Tecnologia e Scienza Al-Samarraie – hanno abbandonato l’Esecutivo. Ai primi di marzo già due esponenti di quella confessione che Al-Maliki aveva voluto nel suo governo avevano dato forfait: il ministro dell’Agricoltura Al-Dawleh e quello delle Finanze Al-Essawi. L’emorragia istituzionale segue quella drammatica della popolazione nelle strade.

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