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Covid 19

India, così il Kerala comunista ha sconfitto il Coronavirus: solo 3 morti per 35milioni di abitanti

Un solido sistema sanitario pubblico, la tracciatura di tutti i malati di coronavirus, l’isolamento assoluto dei casi positivi, l’esperienza delle emergenza sanitarie degli ultimi anni e l’impiego di quasi 300mila volontari a supporto di medici e infermieri. Così il Kerala, stato indiano con 38milioni di abitanti, sta sconfiggendo il covid-19.
A cura di Davide Falcioni
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Tre morti, circa 400 casi di coronavirus e una popolazione di quasi 35 milioni di abitanti: sono i numeri del Kerala, popoloso stato del sud dell'India preso a modello in tutto il mondo per la capacità di affrontare l'epidemia contenendo enormemente i contagi e i decessi e anticipando il governo centrale in tutte le scelte strategiche: il lockdown è stato imposto dalle autorità, coordinate dal Primo ministro Pinarayi Vijayan del Partito Comunista d'India, il 23 marzo scorso, un giorno prima che la stessa decisione venisse assunta da Delhi su scala nazionale. Ma a fare la differenza è stata senza ombra di dubbio l'organizzazione del ministro della sanità, la professoressa K.K. Shylaja, che ha coordinato efficacemente tutti gli amministratori locali al fine al fine di individuare con la massima tempestività i pazienti positivi mettendoli in quarantene e isolandoli dalle persone sane.

I primi tre casi di coronavirus in India sono stati registrati proprio in Kerala tra tre studenti rientrati da Wuhan seguiti da una famiglia appena rientrata dall'Italia: da quel momento si è messa in moto un sistema di sanità pubblico collaudato con le altre epidemie che hanno interessato l'area, in particolare quella di Nipah del 2018: ogni paziente positivo al covid-19 è stato tracciato nei minimi spostamenti identificando nel giro di poche ore tutte le persone con le quali era venuto in contatto. La difesa della privacy è stata momentaneamente subordinata agli interessi collettivi e milioni di persone hanno scaricato una App che ne ha tracciato ogni spostamento. Gli ospedali, in larga parte pubblici, hanno retto bene l'urto con l'epidemia e anche in questo caso a giocare un ruolo determinante è stata l'esperienza maturata negli anni scorsi con le altre emergenze sanitarie, comprese quelle legate a due inondazioni.

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Ai positivi al coronavirus non è stato possibile continuare a vivere insieme alla famiglie. I casi meno gravi e non bisognosi di cure ospedaliere sono stati isolati in vagoni per treni trasformati in camerate e controllati costantemente. I pazienti che hanno necessitato di ricovero e terapie sono stati assistiti negli ospedali pubblici, che finora si sono dimostrati ampiamente sufficienti nonostante vi siano anche strutture sanitarie private che, all'occorrenza, si sono rese disponibili a dare una mano. Al lavoro di medici e infermieri si è aggiunto l'aiuto preziosissimo dato dai volontari: quasi 300mila persone di età comprese tra i 18 e i 65 anni si sono dati da fare coordinati dal governo centrale e dalle amministrazioni locali che, di volta in volta, ne hanno richiesto gli interventi laddove necessari. La "Forza sociale di volontari (Sanndhasena)" ha soprattutto organizzato “Cucine comunitarie” che quotidianamente distribuiscono pasti a tutti coloro che ne hanno bisogno.

Sono in molti a pensare che il Kerala abbia ormai superato il picco dell’infezione grazie alla qualità della sanità pubblica, al tracciamento dei malati e al lavoro dei quasi 300mila volontari. La verità è che l'andamento dell'epidemia dipenderà anche da altri fattori, ad esempio le condizioni meteo (come i monsoni estivi e le relative alluvioni)  e l'arrivo di immigrati da altre aree dell'India: nel frattempo comunque il governo allenterà le misure lo lockdown decise ormai quasi un mese fa. Poi le autorità monitoreranno la situazione giorno per giorno in vista di una possibile seconda ondata.

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