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Il nuovo Iran – Rohani, quali novità sotto il turbante

Molte le attese con l’elezione di un presidente che fa sognare i riformisti, accontenta i pragmatici e per moderazione e ortodossia anche l’inamovibile Khamenei.
A cura di Enrico Campofreda
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L’inaspettato successo presidenziale di quello che abbiamo presentato come un intellettuale moderato, Hassan Rohani, è frutto di molteplici incastri e accontenta più d’una componente sociale e politica presente non solo in Iran.

Un controproducente braccio di ferro – Il braccio di ferro fra il tentacolare gruppo conservatore – sempre presente e potente tramite l’anziana eminenza grigia ayatollah Yadzi, già mentore di Ahmadinejad e ultimamente del candidato Jalili – e i riformisti ha cementato quest’ultimi a svantaggio del proprio. Le varie anime del campo conservatore si presentavano appunto divise: il partito combattente con Qalibaf, i teologi tradizionalisti con Jalili, i tecnocrati con Velayati, la vecchia guardia fedele alla Guida Suprema con Rezai. Non è detto che sommando le forze sarebbero riusciti a eleggere un proprio uomo perché quest’unione è solo teorica. Per comprenderlo basta pensare che i Pasdaran non hanno mai rinunciato al desiderio di cancellare il potere clericale (velayat-e faqih) a vantaggio di una laicità delle cariche istituzionali. Inseguendo peraltro il rafforzamento del proprio controllo economico su molteplici attività, statati e private, in opposizione alle bonyad del clero sciita, le fondazioni che sono vere società per azioni e hanno in mano la metà dell’attività finanziaria nazionale. I Pasdran devono però subìre il volere della Guida Suprema comandante assoluto del loro apparato militare.

Il peso di Rafsanjani – A far girare il voto a favore dell’unico chierico presente è stato il grande escluso Hashemi Rafsanjani. Due volte presidente (1989 e 1994), presidente anche dell’Assemblea degli Esperti, ricchissimo businessman, pragmatico e astuto politico, secondo per potere solo a Khamenei che col Consiglio dei Guardiani aveva pensato di accantonarlo alla vigilia elettorale. Ha invece dovuto subirne un ritorno visto che “l’affarista dei pistacchi” (la famiglia Rafsanjani presiede da generazioni un amplissimo commercio di frutta) una volta fuori dai giochi s’è vendicato mobilitando a favore di Rohani un settore che ben conosce e in altre elezioni aveva usato per sé: i bazari. Sono i commercianti all’ingrosso e al dettaglio, non poca cosa fra gli 80 milioni d’iraniani, giovani compresi che pur nella condizione di studenti spesso raccimolano qualche rial prestando opera in quest’attività. Chi alla vigilia del voto girava fra i banchi dei bazar delle maggiori città iraniane vedeva esposta l’immagine del turbante di Rahani, senza il timore delle reazioni censorie dei basij, i volontari islamici osservanti dei voleri della Guida Suprema. Era l’esplicito segnale di appoggio al candidato da parte della base di Rafsanjani, che grazie alle privatizzazioni sostenute negli anni Novanta è tuttora amatissimo fra i commercianti.

Speranze riformiste – L’altra fonte del voto a Rohani sono i tanti giovani e le donne, i due terzi della nazione e del corpo elettorale. Sia coloro già coinvolti con l’Onda verde, nonostante i tentativi d’infiltrazione di sedicenti amici occidentali, sia la giovanissima generazione che meno risente dei miti dei “combattenti scalzi” da un trentennio difensori della Rivoluzione khomeinista. Sul sostegno giovanile a Rohani hanno puntato i riformisti ancora ai domiciliari (Moussavi e Kharoubi) e la figura carismatica dell’ex presidente della speranza Khatami. Testa pensante del riformismo, che però non sostenne a fondo i desideri di cambiamento durante l’epoca delle rivolte universitarie (1999) e delle “notti senza notte” del dissenso urbano di ragazzi e “mal velate”. Quando questi erano inseguiti dalle squadre fustigatrici, nel vero senso della parola, del buon costume sciita. I propositi di mutare indirizzo s’infransero contro l’obbedienza ai voleri dell’organizzazione islamica dello Stato. Ora, come anni addietro, una consistente fetta del Paese guarda alle promesse di trasformazione espresse dal nuovo presidente, alcune riguardanti esplicitamente la libertà di espressione e di comportamento.

Iran fra nuovo e antico – Se verranno deluse lo si vedrà a breve, mentre novità sono attese sul doppio fronte diplomatico ed economico. Il primo risponde alle caratteristiche relazionali di Rohani e alla sua volontà mediatoria già manifestata durante la campagna elettorale. Ben altro tono dalle chiusure passate dovrebbe acquisire la trattativa sul nucleare per alleggerire l’economia da sanzioni che mettono in difficoltà la gente con scarsità di merci, carovita (inflazione al 70% e disoccupazione al 30%, quella giovanile a più del 60%), aumento dei prezzi (anche del pane, fino a cinque volte negli ultimi anni) e una diminuzione della stessa produzione petrolifera (seconda entrata nazionale con 2 milioni e mezzo di barili al giorno) perché servirebbero fondi per innovazioni tecnologiche. I nemici di sempre statunitensi gongolano per la sconfitta dei duri e puri del partito di Al-Quds e perché pensano di poter trovare un interlocutore più morbido ai propri piani di gestione mediorientale: in primo luogo la crisi siriana e la conservazione del controllo di Afghanistan e Pakistan con governi fantoccio, militari e paramilitari locali, oltreché con la propria guerra coi droni. Però l’Iran del nuovo presidente continua a conservare il sapore antico del potere di Khamenei. L’unico da ventiquattro anni inamovibile.

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