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Difendevano indigeni e Amazzonia, scomparsi giornalista e ricercatore: “È il Brasile di Bolsonaro”

Survival International, movimento mondiale per i popoli indigeni, spiega a Fanpage.it chi sono Dom Phillips e Bruno Araújo Pereira, scomparsi nella Foresta Amazzonica da 4 giorni, e cos’è oggi il Brasile di Bolsonaro: deforestazione, razzismo e invasioni dei territori indigeni.
A cura di Davide Falcioni
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Dom Phillips – giornalista britannico del Guardian – e Bruno Araújo Pereira, esperto conoscitore della Foresta Amazzonica, sono scomparsi domenica nella regione Javari, uno dei territori più estesi dell'Amazzonia, grande più dell'Austria e abitato dalla più alta concentrazione di popoli indigeni incontattati al mondo. I due collaboravano alla stesura di un libro sull’ambiente e per questo stavano attraversando il cuore più profondo e in gran parte inesplorato del Brasile: il loro scopo era quello di raccontare le invasioni territoriali, la deforestazione illegale, il crescente traffico di droga e le attività estrattive da parte di uomini e imprese senza scrupoli che da decenni minacciano la sopravvivenza delle popolazioni incontattate e il loro desiderio di vivere in armonia con la Natura.

Il lavoro di documentazione e studio di Phillips e Pereira negli ultimi anni è costato loro minacce e intimidazioni. I due sarebbero dovuti tornare nella città di Atalaia do Norte domenica scorsa, ma non sono mai giunti a destinazione. La loro scomparsa è stata denunciata dai gruppi per i diritti indigeni, dall’Osservatorio per i diritti umani dei popoli indigeni incontattati e contattati di recente (OPI) e dall’Unione delle organizzazioni indigene della valle di Javari (Univaja). Anche l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha espresso la sua angoscia per le sorti della coppia. "Phillips mi ha intervistato per il Guardian nel 2017. Spero che vengano trovati rapidamente e che stiano bene e al sicuro", ha scritto Lula. Nel frattempo le autorità dell'Amazzonia – che stano svolgendo le indagini sul caso – brancolano nel buio: prima hanno dichiarato che non ci sono prove per asserire che Phillips  e Pereira sono state vittime di un reato, poi hanno fatto sapere di aver arrestato un uomo che si ritiene possa essere collegato alla loro scomparsa.

La preoccupazione che ai due possa essere accaduto qualcosa di grave cresce di ora in ora e sulla loro sparizione pesa come un macigno il sospetto che le lobby agricole e minerarie che stanno distruggendo la Foresta Amazzonica e sterminando i popoli indigeni possano aver avuto un ruolo. Fanpage.it ne ha parlato con Fiona Watson, Direttrice del Dipartimento Ricerca e Advocacy di Survival International, movimento mondiale per i popoli indigeni.

Fiona Watson
Fiona Watson

Dottoressa, quali erano i rapporti di Survival con Dom Phillips e Bruno Araújo Pereira?

Survival ha lavorato con Bruno e Dom per molti anni, e continua a collaborare con loro. Li conosco entrambi personalmente, sono per me amici e colleghi. Hanno una grande conoscenza e passione per i popoli indigeni del Brasile, e sono profondamente impegnati per garantirne il benessere e l’autonomia. Siamo estremamente preoccupati per la loro sicurezza e, sebbene siano già trascorsi alcuni giorni dalla loro scomparsa, siamo ancora fiduciosi di ritrovarli vivi e in salute.

Cosa sospettate possa essere accaduto loro? È stato rivendicato un rapimento? 

Non credo che si tratti di rapimento; per quello che so, in questa zona non c’è una storia di rapimenti di persone che lavorano con i popoli indigeni. E non sono a conoscenza di rivendicazioni o riscatti. Se fosse stato un rapimento, credo che a questo punto i rapitori avrebbero già inoltrato le loro richieste.

Bruno Araújo Pereira e Dom Phillips da anni raccontavano e sostenevano la lotta delle popolazioni indigene. Perché il loro lavoro è ritenuto scomodo dai padroni delle industrie minerarie e grandi aziende agricole?

Bruno ha lavorato con il FUNAI per molti anni (e continua a esserne un funzionario anche se al momento è in aspettativa). Ha lavorato sul campo con il FUNAI nella Valle Javari per molti anni e conosce molto bene sia il territorio che i suoi popoli indigeni. È appassionato di popoli indigeni e della difesa dei loro diritti; per questo, essendo in aspettativa presso il FUNAI, è diventato consulente per UNIVAJA, la rete indigena che riunisce tutte le diverse organizzazioni indigene della Valle Javari. Nel Brasile del Presidente Bolsonaro, le persone che difendono pubblicamente i diritti indigeni sono spesso presi di mira a causa dei grandi interessi nei settori dell’agrobusiness e delle attività minerarie. Gli invasori – che siano bande criminali, imprenditori agricoli o minerari ­– sono incoraggiati e fomentati dalla retorica anti-indigena di Bolsonaro e dalle due politiche che mirano a smantellare e indebolire agenzie come il FUNAI e IBAMA, che hanno l’obbligo costituzionale di proteggere i territori indigeni e altre aree protette. Sanno anche che vige una sorta di impunità e che spesso i crimini contro i popoli indigeni non vengono perseguiti. Il Brasile è oggi in fase pre-elettorale (le elezioni si svolgeranno a ottobre) e in questi periodi, spesso, le invasioni territoriali aumentano perché promettere più terre e risorse, e incoraggiare le invasioni, è una strategia vincente in molte parti dell’Amazzonia. Il lavoro di Bruno è sostenere le comunità indigene nel difendere i loro diritti e proteggere le loro terre, e questo lo rende un obiettivo.

Bruno Pereira, nella foto, ha lavorato molti anni per il FUNAI (Dipartimento Brasiliano agli Affari Indigeni), aveva ricevuto molte minacce di morte per il suo lavoro cruciale a fianco degli indigeni.© Bruno Jorge
Bruno Pereira, nella foto, ha lavorato molti anni per il FUNAI (Dipartimento Brasiliano agli Affari Indigeni), aveva ricevuto molte minacce di morte per il suo lavoro cruciale a fianco degli indigeni.
© Bruno Jorge

E qual è stato il lavoro di Dom Phillips negli ultimi anni?

Dom Phillips è un giornalista internazionale che ha denunciato crimini e problemi che riguardano l’Amazzonia, portandoli all’attenzione di un’ampia fetta dell’opinione pubblica mondiale. È molto informato, ha viaggiato molto e da anni racconta le questioni indigene e le violazioni dei diritti umani, denunciando le attività criminali e l’impatto delle grandi aziende sui popoli indigeni e sulle loro terre. Naturalmente, il settore dell’agrobusiness e quello minerario preferirebbero che le loro attività all’interno e intorno alle terre indigene non fossero oggetto di indagini, così come il loro sostegno ai tentativi del governo Bolsonaro di indebolire e distruggere i diritti indigeni e aprire le loro terre allo sfruttamento commerciale. Le indagini di Dom sono di alto profilo e rilevanti a livello internazionale: tutto questo, sommato alle sue denunce sulla distruzione dell’Amazzonia e dei suoi popoli in generale, rendono anche lui un obiettivo.

Qual è la situazione nella Valle Javari e chi sono i popoli incontattati? 

Negli ultimi anni, la Valle Javari è stata presa di mira in modo crescente da invasori che sono sempre più sfacciati, hanno persino attaccato istituzioni federali come il FUNAI. Nel settembre 2019, un funzionario locale del FUNAI, Maxciel Pereira dos Santos, è stato ucciso nella vicina cittò di Tabatinga. Nel corso del 2019, bracconieri che vogliono pescare e cacciare illegalmente nell’area hanno sparato almeno in nove diverse occasioni contro uno dei principali avamposti di protezione del FUNAI nella Valle. Queste intimidazioni hanno funzionato, perché il FUNAI ha chiuso l’avamposto, lasciando i popoli indigeni alla mercé degli invasori. Negli ultimi decenni, nella regione – in cui vivono popoli incontattati – sono state registrate attività minerarie illegali. Nel 2019, le autorità hanno distrutto 60 draghe minerarie e smantellato un’importante operazione illegale.  Tuttavia, nell’aprile di quest’anno i minatori sono tornati nella regione e hanno minacciato una comunità indigena, quindi potrebbe essere in atto una nuova invasione. Alcuni rapporti suggeriscono che il territorio è preso di mira anche da bande criminali e trafficanti la droga. Javari è al confine con il Perù ed è una vasta area di densa foresta tropicale, in cui il governo federale è poco presente: è quindi facile svolgere operazioni clandestine come il traffico di droga e il taglio illegale del legno.

In che modo le invasioni mettono a repentaglio la sopravvivenza dei popoli indigeni della Valle?

Survival è profondamente preoccupata per la sicurezza di tutti i popoli indigeni della valle Javari e in particolar modo dei popoli incontattati che lì vivono. Il territorio è grande all’incirca come l’Austria ed è abitato dalla più alta concentrazione di tribù incontattate al mondo, estremamente vulnerabili. Alcune di queste vivono nei pressi delle aree prese di mira dagli invasori: ogni incontro potrebbe portare a violenze e alla trasmissione di malattie come l’influenza che spesso sono letali per i popoli incontattati, che non hanno difese immunitarie contro queste malattie per noi comuni. Le autorità sono assenti e spesso molte comunità indigene si sentono abbandonate. Alcune comunità indigene già contattate difendono attivamente la loro terre e hanno formato gruppi come i "Guerreiros da Floresta" (guerrieri della foresta): monitorano e pattugliano l’area Javari e denunciano le invasioni alla polizia e al FUNAI. È un lavoro estremamente pericoloso, che richiede coraggio, perché gli indigeni si ritrovano ad affrontare invasori armati che non si fermano davanti a nulla per soddisfare il loro desiderio di sfruttare la foresta.

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Qual è il legame tra il presidente Bolsonaro, i trafficanti di legname e narcotrafficanti brasiliani?

Non sono certa che ci sia un legame diretto ma una cosa è chiara, dalle sue politiche e dai suoi discorsi: Bolsonaro è anti-indigeno e a favore delle invasioni e del furto delle risorse naturali nei territori indigeni. Le sue azioni (indebolire le leggi e le istituzioni come il FUNAI, i tentativi di ridurre le dimensioni dei territori indigeni e aprirli ad attività minerarie, ecc.) e la sua retorica razzista nei confronti dei popoli indigeni hanno dato il via libera ad accaparratori di terra, taglialegna, minatori e imprenditori agricoli che si sentono così incoraggiati a invadere i territori indigeni sapendo che non dovranno rispondere delle loro attività criminali.

Perché Survival accusa il presidente Bolsonaro di genocidio? Cosa è accaduto agli indigeni e all’Amazzonia durante la sua presidenza? 

Bolsonaro sta facendo tutto il possibile per distruggere i popoli indigeni e i loro diritti, duramente conquistati. Vuole togliere loro l’autonomia, vendere i loro territori per il taglio del legname e le attività minerarie, e "assimilarli" contro il loro volere. Sta spingendo il PL490, conosciuto anche come "Progetto di Legge della Morte" che riunisce gli elementi più pericolosi di una serie di progetti di legge ed emendamenti costituzionali che mirano a derubare i popoli indigeni delle loro terre a favore dell’agrobusiness e dello sfruttamento minerario, e a permettere il contatto forzato con le tribù incontattate. Tra di essi c’è anche la famigerata proposta del "Marco Temporal" (limite temporale). Essa è stata promossa dal settore dell’agrobusiness, secondo cui i popoli indigeni che non possono provare che al 5 ottobre 1988 (giorno in cui fu promulgata la Costituzione brasiliana) abitavano fisicamente sulle loro terre, non vi hanno più alcun diritto. Bolsonaro sa che senza protezione per le loro terre e il loro mezzi di sussistenza, i popoli indigeni non possono sopravvivere in quanto popoli e le tribù incontattate sarebbero spazzate via. Le sue azioni e le sue politiche sono genocide perché mirano consapevolmente a spazzare via i popoli incontattati e a liberare i loro territori distruggendo in parte se non del tutto, interi popoli che da quelle terre dipendono completamente per la vita oltre che per il loro benessere culturale, spirituale ed economico.

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 Il prossimo 2 ottobre i brasiliani torneranno al voto. Si sfideranno Bolsonaro e Lula. Quali sono le vostre previsioni? E quali le vostre speranze per il Brasile e le popolazioni indigene? 

È difficile prevedere cosa succederà alle elezioni presidenziali. Io spero sinceramente che vedremo andare via per sempre Bolsonaro e i suoi alleati. Il movimento indigeno in Brasile è attivo, ben organizzato e forte, e sta conducendo una grande lotta per il proprio futuro e la propria autonomia. Hanno tenuto vive le speranze delle loro comunità e in alcuni casi sono riusciti a rovesciare alcune politiche dannose, anche in questo periodo buio. Anche alcuni giudici federali hanno contribuito a costringere il governo a rispondere delle sue azioni. Spero che entrerà in carica un nuovo Presidente e un nuovo partito, che consulti i popoli indigeni, li consideri come partner di pari livello, che dia valore alle loro conoscenze e alle loro diversità e inizi a riparare i danni fatti da Bolsonaro, ma anche che ricostruisca e rafforzi gli organi democratici governativi. Mi auguro anche che possa riconoscere, rispettare e sostenere i popoli indigeni nella gestione dei loro territori ad altissima biodiversità, che sono così fondamentali per la sopravvivenza dell’Amazzonia e del Cerrado (savana) ma anche nella lotta mondiale contro i cambiamenti climatici.

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