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Ecco come la Francia sta comprando l’Italia

Il Cigno nero e il Cavaliere bianco: “Esiste un programma economico-militare di sudditanza, esattamente come avvenne ai tempi di Napoleone I che si fece eleggere Presidente della Repubblica Italiana da lui inventata. Allora si muovevano politica ed eserciti e rimanevano sogno mentre oggi con l’economia…”. Ecco perché e come i francesi stanno comprando l’Italia.
A cura di Ida Artiaco
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In principio ci sono stati i brand della moda e del lusso, poi la grande distribuzione, e ancora le telecomunicazioni, i media, l'industria spaziale, le banche, le assicurazioni e infine persino l'energia. Quello che la Francia sta facendo negli ultimi anni nel nostro Paese è una operazione molto significativa di acquisizione delle migliori aziende italiane ad un costo strategico relativamente basso, ottenendo di contro prodotti di alta qualità, che Parigi potrebbe soltanto sognare di avere sul proprio territorio nazionale. E' quella che Roberto Napoletano chiama "la questione francese" e analizza in uno dei passi più decisivi de Il Cigno nero e il Cavaliere bianco, il suo ultimo libro, edito da "La nave di Teseo", nel quale rilegge gli eventi legati alla grande e recente crisi economica e finanziaria. Un libro che si legge quasi fosse un racconto perché conduce il lettore attraverso il viaggio che il paese sta conducendo in questi anni.

"Esiste un programma economico-militare di sudditanza, esattamente come avvenne ai tempi di Napoleone I che si fece eleggere Presidente della Repubblica Italiana da lui inventata. Potremmo definirla la nuova campagna di annessione economica dell'Italia", scrive l'ex direttore di "Messaggero" e "Sole 24 ore", uno che sa di cosa parla e che ha vissuto in prima persona gli eventi che descrive. D'altronde è un fatto, secondo dati della società di consulenza Kpmg alla mano, che soltanto nel 2016 le acquisizioni francesi in Italia hanno riguardato ben 34 aziende medie, per un controvalore pari a 3,1 miliardi di euro. Acquisizioni che, nei casi di società più grosse, riguardano gli asset e mirano ad ottenere posizioni di controllo.

Le origini della questione francese e la sfida ai tedeschi

Donato Iacovone, amministratore delegato di Ernst & Young Italia e managing partner di Italia, Spagna e Portogallo, l'Europa del sud, e conoscitore come pochi del sistema industriale italiano, non ha dubbi: "Diciamo le cose come stanno: tu – parlo dell'Italia – sei il paese che ha le fabbriche e sa fare i prodotti io, la Francia, ho la capacità di fare branding nel mondo e ho il cliente, ma mi manca il prodotto. Cosa fa la Francia? Si compra l'Italia, investe sull'Italia e chiede all'Italia di fare i prodotti che la Francia non sa più fare e di farne sempre di più e meglio".

Napoletano utilizza le parole di Iacovone per spiegare la questione francese, che si reggerebbe sul fatto che mentre l'Italia ha sì le risorse migliori, ma un sistema decisionale farraginoso e decentrato, Parigi ha la capacità di fare branding e un sistema istituzionale più forte e strutturato. Sin dall'inizio di questa campagna acquisti, tutte le operazioni sono state concentrate nelle mani di una élite d'oltralpe, quelli che l'ex direttore chiama "ufficiali di collegamento", che avrebbero fatto incetta di banche, marchi di lusso e di moda, e tanto altro ancora per indebolire l'Italia. Tutto perché "a ben pensarci – scrive Napoletano – la verità è che i francesi si sentono accerchiati dalla Germania e hanno bisogno di avere cose pregiate italiane per contrapporsi, e quindi fanno un gioco di squadra".

Quali aziende sono finite nel carrello della spesa francese

Sono tantissime le aziende italiane finite nel "carrello della spesa francese". Qualche esempio? Il gruppo Kering (ex PPR) ha fatto shopping di griffe come Gucci, Brioni, Pomellato e Bottega veneta, mentre il suo diretto concorrente, LVMH, di proprietà di Bernard Arnault, ha rilevato Loro Piana. Ancora, la Luxottica di Del Vecchio si è fusa con Essilor appartenente sempre allo stesso Arnault. Sul fronte delle telecomunicazione, opera da tempo Vincent Bolloré, che ha conquistato Telecom con una quota pari a circa il 25 per cento del capitale e che ha tentato di prendersi Mediaset.  Nel settore dell'energia, GdF Suez ha acquisito il 23 per cento del capitale della romana Acea, e anche la grande distribuzione non è rimasta a guardare, con il marchio Carrefour che ha inglobato la catena GS, fondata da Giulio Capriotti, oltre a Parmalat, acquisita da Lactalis, ed Eridiana. Dulcis in fundo, le banche. Alla storica acquisizione della Bnl da parte di Bnp-Parisbas, hanno fatto da complemento quella di Cariparma e della Banca popolare di Friulandria alla Crédit Agricole, a cui è seguita la cessione di Groupama e Nuova Tirrena, compagnie di assicurazioni. Una menzione a parte merita poi il caso Unicredit. Ma si tratta, per l'appunto, solo di qualche esempio, citarli tutti diventerebbe lunghissimo.

Il caso Luxottica e il capitalismo familiare italiano

L'accordo di questo gennaio tra Luxottica e Essilor dà vita al primo gruppo di occhialeria mondiale. Ciò mi ha colpito molto per almeno due motivi. Primo: nella nazionale dei campioni del Made in Italy, quello che abbiamo costruito o che è rimasto dopo che abbiamo perso chimica, informatica, elettronica e chi più ne ha più ne metta, Luxottica è in prima fila e ne è la bandiera. Secondo: non è possibile che anche dove siamo primi in assoluto e ci siamo misurati con i mercati di tutto il mondo, siamo costretti a scoprire che abbiamo fatto tutto ciò senza essere stati capaci di generare una nuova leva familiare e manageriale in grado di guidare e consolidare la crescita del gruppo. No, questo no, è troppo e misura la complessità del problema italiano.

Nel suo racconto, Napoletano si sofferma sul caso Luxottica, che in seguito all'accordo con la francese Essilor ha dato vita al primo gruppo di occhialeria mondiale. E anche se l'azionista di maggioranza è Delfin, la holding della famiglia del fondatore Del Vecchio, l'azienda è quotata a Parigi e delistata dalla Borsa di Milano. Il giornalista si chiede come mai una delle più importanti compagnie italiane, portabandiera del Made in Italy in tutto il Pianeta, "non sia stata capace di generare una leva familiare o manageriale in grado di guidare e consolidare la crescita del gruppo. Questo è troppo" e ha radici profonde, che vanno al di là della politica e delle sue mancanze a sostegno delle aziende, che comunque ci sono state. Mancano, cioè, manager in grado di eliminare gli avvoltoi d'oltralpe e riportare le grandi firme italiane agli alti livelli a cui sono abituate. Il loro obiettivo è chiaro: "Nei circoli internazionali il ragionamento geopolitico prevalente dà per acquisito che i francesi vogliono conquistare il nord dell’Italia e magari lasciare che il sud diventi una grande tendopoli per gli immigrati di tutto il mondo. Per loro sono dati quasi psicologico-esistenziali". Ora c'è bisogno di uno sforzo di tutti per evitare che questo scenario diventi realtà.

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