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Anche le forze armate stringono la cinghia, tagliate 10 Maserati

In tempo di crisi economica anche per i militari italiani si prospetta un lungo periodo di riforme e tagli ai costi di gestione della Difesa. Ma tra sprechi e privilegi resta ancora molto da fare.
A cura di Antonio Palma
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In tempo di crisi economica anche per i militari italiani si prospetta un lungo periodo di riforme e tagli ai costi di gestione della Difesa. Ma tra sprechi e privilegi resta ancora molto da fare.

La crisi economica mondiale che ha investito pesantemente anche l’Italia sta avendo ripercussioni sempre più negative sulla nostra vita economica e sociale. Nel nostro Paese ha costretto alle dimissioni un Governo e ha imposto l’urgenza di riforme strutturali attraverso la nomina di un Governo tecnico con la guida di Mario Monti. I sacrifici chiesti ai cittadini sotto forma di maggiori imposte e di tagli ai servizi dovranno riguardare anche la classe dirigente del Paese, come ha detto Monti nel suo discorso Programmatico.

Dai sacrifici non saranno esclusi i militari che si preparano ad un massiccio piano di dismissioni e accorpamento di funzioni con l’obiettivo di ridurre i costi di gestione della macchina bellica italiana. A rivelarlo è lo stesso Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Biagio Abrate, che in un’intervista conferma “tempi duri anche per noi militari”. I tagli ai costi della difesa non sono certo un programma preventivo, ma sono dettati dai necessari tagli imposti dalla programmazione economica del Governo.

Le quattro armi che compongono la nostra Difesa dovranno tirare la cinghia visti gli oltre tre miliardi di tagli nei prossimi anni. Un primo passo sembra essere stato la rinuncia ad una parte del parco macchine acquistato da poco, che vedeva tra gli autoveicoli la presenza di 19 Maserati una parte delle quali però sembra non sia proprio arrivata anche a seguito delle polemiche scoppiate sul caso, quindi ora i generali si accontenteranno solo di 9 vetture. Altri programmi in tema di tagli sono le dismissioni di vecchie caserme in disuso, che incidono sul badget per la loro manutenzione e dalla cui vendita potrebbe arrivare qualche risorsa in più da spendere per l’ammodernamento dei mezzi.

In realtà il problema più importante sembra essere il numero di militari che in Italia rimane ancora molto elevato nonostante l’abolizione della leva obbligatoria. Per stessa ammissione di Abrate oggi i 190mila uomini in divisa rappresentano oltre il 62% della spesa militare, rimanendo ben poco per il resto. A pesare però non sono certo i militari operativi in missione, ma tutto quell’apparato burocratico e amministrativo che prima era necessario per un esercito di leva ed ora rimane sottoutilizzato e con costi crescenti. In Italia soprattutto è palese un’abbondanza di graduati rispetto ai militari di truppa che ovviamente si ripercuote sui costi di gestione.

Allo studio dunque un modello di difesa più compatto in termini di risorse umane e con più capacità di intervenire in quanto a mezzi e tecnologia a disposizione. Le riforme, si sa, richiedono tempi lunghi ma nel frattempo i tagli vanno fatti comunque, a subirne le conseguenze è la gestione ordinaria, cioè la manutenzione dei mezzi, l’acquisto della benzina e l’addestramento del personale. Restano invece i benefit per gli oltre 400 ammiragli e generali, tra case di lusso e indennità speciali dopo il pensionamento. Come restano i privilegi dei politici che ricoprono incarichi istituzionali, come quello dei voli di Stato a carico dell’aeronautica o degli alloggi ministeriali.

Molto è ancora da fare, come ad esempio il taglio di enti inutili che replicano le stesse funzioni per ogni corpo armato, o anche il decurtamento dell’incredibile numero di civili, oltre 33mila, che lavorano per la Difesa. Resta da vedere come si comporterà uno dei massimi militari italiani, l’Ammiraglio Di Paola, chiamato a dirigere le Forze Armate, in questa particolare fase, con il nuovo incarico di Ministro della Difesa del Governo Monti.

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