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Opinioni

Dieselgate: quanto rischia davvero Fiat Chrysler Automobiles

Quanto può nel concreto costare a Fiat Chrysler Automobiles l’accusa di aver truccato i test di 104 mila auto diesel vendute negli Usa? Gli analisti sono prudenti e le cifre variano di molto, ma la sensazione è che il gruppo, che respinge ogni accusa, non corra rischi eccessivi…
A cura di Luca Spoldi
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Quale conseguenza avrà il dieselgate sui conti del gruppo Fiat Chrysler Automobiles? Investitori e analisti se lo domandano dopo che al crollo del 16% della vigilia (quando il titolo era terminato a 8,78 euro), oggi è seguito un rimbalzo del 4,61% a 9,19 euro che ha riportato la capitalizzazione dai 12,275 a cui era caduta ieri a 14,03 miliardi di euro, rispetto ai 14,63 miliardi di mercoledì (col titolo a 10,47 euro per azione).

Se il calo della capitalizzazione corrispondesse a quanto il mercato teme possa “costare” la vicenda dieselgate, significherebbe una multa di circa 625 milioni di euro (circa 665 milioni di dollari) ed in effetti oggi Mediobanca ha parlato del rischio di una penale tra i 450 milioni di dollari e i 3,4 miliardi. Ma sul mercato circolano anche altre cifre: Exane Bnp Paribas, ad esempio, propone un range tra i 140 milioni (che identifica come “caso base”) e i 3,9 miliardi di dollari.

Secondo gli analisti francesi esistono almeno tre scenari di differente gravità: mera violazione nella segnalazione del software adottato per gestire le emissioni, “che porta a una multa civile di circa 140 milioni di dollari; l’ammissione dell’esistenza (fin qui negata esplicitamente dal management del gruppo italo-americano, ndr) di un “defeat device”, con addebiti totali per circa 1,9 miliardi di dollari; l’ammissione dell’esistenza del “defeat device” cui segua il completo riacquisto dei veicoli (104 mila vetture), che comporterebbe oneri complessivi di circa 3,9 miliardi di dollari”.

Secondo Banca Akros, che oggi  ha limato da 14 a 12 euro per azione il proprio target price sul titolo pur mantenendo la raccomandazione “buy” (acquistare), il “dieselgate” non dovrebbe estendersi oltre i confini statunitensi ed eventualmente il Canada, visto che si fa riferimento ad una versione specifica del motore turbo diesel da 3 litri. Quanto all’eventuale multa, prendendo a riferimento il caso Volkswagen (che ha poi finito col pagare lo scorso giugno un quinto dell’ammontare inizialmente richiesto) gli esperti ipotizzano che Fca accetti di pagare una penale di 8.800 dollari per veicolo, pari a 915 milioni di dollari complessivi.

Volkswagen, tuttavia, ha poi dovuto sborsare 27.600 dollaro a veicolo per sistemare/sostituire le auto; “se Fca spendesse lo stesso ammontare, il conto sarebbe di 2,87 miliardi di dollari, con un impatto totale di 3,8 miliardi, ossia 3,3 miliardi di euro”. Secondo gli analisti, tuttavia, “lo scenario peggiore non si concretizzerà” e pertanto ritengono che “ipotesi di aumento di capitale o cambio manageriale non esistano”.

Di certo, da quando nel settembre 2015 l’Epa ha formulato le sue accuse a Volkswagen aprendo il “dieselgate”, i grandi gruppi automobilistici per quanto più volte segnalati come sotto indagine dalla stampa mondiale non sembrano avere sofferto troppo. E’ vero che  Volkswagen stessa ha visto le quotazioni calare da 160 a 149 euro (-6,9%), ma quelle di Fiat Chrysler Automobiles sono passate da 8,09 a 9,19 euro con un aumento del 13,6%.

Tra gli altri nomi coinvolti dall’inchiesta americana (e da quelle aperte anche in Europa), il gruppo Psa ha visto le quotazioni salire nel periodo del 14% abbondante, al pari di quelle del gruppo Bmw, mentre Daimler si è “accontentata” di segnare un +7,7%. Più che il “dieselgate” ha potuto la ripresa del mercato europeo e l’ulteriore crescita di quello statunitense e dei principali mercati asiatici.

Fiat Chrysler Automobiles, con un debito netto di 6,5 miliardi di euro ha una forza intrinsecamente inferiore a quella di Volkswagen ma Sergio Marchionne ha subito ribattuto alle accuse giunte dall’agenzia statunitense (mentre Volkswagen aveva rapidamente ammesso la propria colpevolezza) e sembra sperare in un “aiutino” da parte del presidente eletto Donald Trump, che tra i tanti dovrà rinnovare nei prossimi mesi anche i vertici dell’Epa, nominati da Barack Obama.

Da quando Trump è stato eletto fino a due giorni fa il titolo Fca aveva segnato un rialzo del 70%, segno di un’inequivocabile fiducia nel nuovo clima d’affari che sembrava respirarsi a Washington e dintorni. Più materialmente, alcuni analisti fanno notare che il gruppo aveva già equipaggiato le proprie vetture con sistemi di riduzione catalitica selettiva (Scr) per abbattere le emissioni incriminate di ossidi di azoto (NOx) e quindi potrebbe sistemare definitivamente la vicenda affrontando un costo relativamente modesto.

Alla fine il vero problema di Fca è il solito: quello di essere, tra i grandi produttori, quello di minori dimensioni e col bilancio più fragile. E questo è un problema di più difficile soluzione che non le accusa dell’Epa.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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