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Epa accusa Fiat Chrysler Automobiles: ha truccato i test diesel come Volkswagen

L’Epa (l’agenzia per la protezione ambientale Usa) ha notificato a Fiat Chrysler Automobiles una violazione del Clean Air Act. Tramite un software avrebbe alterato i test sulle emissioni di 104 mila veicoli diesel venduti negli Usa. Il precedente di Volkswagen…
A cura di Luca Spoldi
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Basterà il ramoscello d’ulivo offerto pochi giorni fa da Sergio Marchionne a Donald Trump (1 miliardo di dollari di investimenti per riportare negli Usa alcune produzioni finora svolte in Messico per modelli dei marchi Jeep e Ram), ora che la potente Agenzia  di protezione dell’ambiente (Epa, o Environmental protection agency) ha ufficialmente notificato al gruppo italo-americano di aver violato il Clean Air Act “per aver installato e non aver rivelato un software per la gestione del motore dei suoi veicoli leggeri negli anni 2014, 2015 e 2016 Jeep Grand Cherokees e Dodge Ram 1500 con motore diesel da 3.0 litri venduti negli Stati Uniti”?

La borsa ne dubita, tanto che appena l’Epa ha annunciato che avrebbe diffuso di lì a poco un comunicato, il titolo Fiat Chrysler Automobiles è crollato e dopo varie sospensioni al ribasso ha chiuso in calo a 8,695 euro per azione (-16,95%) con oltre 69 milioni di pezzi passati di mano, dopo un minimo di 8,33 euro. Vale la pena di ricordare già da ottobre l’Epa aveva aperto un’inchiesta nei confronti di Fiat Chrysler Automobiles, incontrandone i top manager, dopo che già Volkswagen era stata accusata l’anno scorso di aver truccato i dati di mezzo milione di test.

Nel caso del gruppo tedesco il “dieselgateè costato una multa complessiva di 14,7 miliardi di dollari (circa 13,3 miliardi di euro) che il gruppo tedesco ha accettato di pagare lo scorso giugno. Finora Fiat Chrysler Automobiles aveva sempre dichiarato di non aver mai installato alcun “defeat device” né di aver utilizzato software in grado di identificare se le vetture erano sottoposte a test consentendo di disconnettere il dispositivo. L’Epa ora sostiene esattamente questo: che il software non rivelato “ha portato ad un incremento delle emissioni di ossidi di azoto (NOx) dei veicoli”.

L’accusa dell’Epa e del California Air Resources Board con cui l’agenzia ha collaborato (e che ha emesso a sua volta un avviso di violazione nei confronti del gruppo italo-americano) “riguarda circa 104 mila vetture”. “Non rivelare il software e gli effetti sulle emissioni dei motori dei veicoli è una seria violazione della legge” ha sottolineato Cynthia Giles, assistente amministratore dell’ufficio dell’Epa incaricato di assicurare l’applicazione e la conformità alla legge. “Continueremo a indagare sulla natura e l’impatto di simili dispositivi” ha aggiunto la Giles, notando come “tutti i produttori automobilistici devono applicare le stesse regole”.

L’Epa, ha concluso la Giles, “continuerà a ritenere responsabili le società dell’ingiusto ed illegale guadagno e vantaggio competitivo” così ottenuto. Tradotto dal politichese significa che anche Fiat Chrysler Automobiles rischia una sanzione di alcuni miliardi di dollari. Quanti? Se venisse applicato lo stesso metro usato per Volkswagen la sanzione potrebbe superare i 4,5 miliardi di dollari (quasi 4,3 miliardi di euro), ma non è detto che la vicenda si chiuda in questo modo.

Con Donald Trump che sta preparando il suo sbarco alla Casa Bianca, Sergio Marchionne può sperare di ottenere se non la cancellazione almeno uno sconto di “pena”, ipotesi che la stessa borsa non sembra aver del tutto accantonato visto che il titolo nella seduta After Hours è tornato a recuperare quasi 5 punti percentuali risalendo sopra i 9 euro per azione e riducendo a meno di 2 miliardi la perdita in termini di capitalizzazione.

Non è però detto che il presidente eletto, che oggi nella prima conferenza stampa è tornato ad attaccare le case farmaceutiche criticandole, tra l’altro per aver utilizzato pratiche commerciali “spregiudicate”, intenda esporsi troppo, tanto più che Fiat Chrysler Automobiles è nata per iniziativa di Barack Obama, anche se per tutelare “lavoro americano” (uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Trump).

Nel frattempo gli analisti appaiono cauti e qualcuno nota che con un debito ancora elevato la vicenda potrebbe portare il gruppo a considerare un nuovo aumento di capitale, più che l’utilizzo di ulteriori linee di credito che pure non avrebbe difficoltà a farsi accordare ma che finirebbero col far nuovamente lievitare il debito netto.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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