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Una lettura per l’8 marzo: Telegrafi dello Stato di Matilde Serao

“Quando tutti si godono la festa, noi in ufficio: il Padre Eterno si è riposato il settimo giorno, e noi non riposiamo mai”.
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“Quando tutti si godono la festa, noi in ufficio: il Padre Eterno si è riposato il settimo giorno, e noi non riposiamo mai”. Quello che potrebbe sembrare un brano tratto da una dichiarazione o una testimonianza odierna, in realtà è uno dei passi più significativi di Telegrafi dello Stato, novella scritta da Matilde Serao nel 1885 e ripubblicata oggi, 8 marzo 2022, da Alessandro Polidoro Editore.

È una pubblicazione di 96 pagine nella quale è inclusa una prefazione di Vincenza Alfano e un’intervista all’autrice del 1899 realizzata da Ugo Ojetti. Sono pagine dense nelle quali Matilde Serao denuncia le condizioni di lavoro a cui erano sottoposte le donne, ispirandosi a una sua reale esperienza lavorativa. Un impiego che la Serao, che un decennio dopo diventerà la prima donna a fondare e dirigere un quotidiano, svolse per tre anni, vincendo un concorso subito dopo gli studi.

La storia è quella della sezione femminile dei Telegrafi dello Stato: Maria Vitale, la prima a prendere la scena, si sveglia con fatica e viene incoraggiata dal padre a fare presto – “Mariettella, alzati: se no paghi la multa!”. Capitava infatti che su novanta lire di stipendio mensile, quattro o cinque se ne andavano per le multe comminate dalla direzione amministrativa per ritardo. Alla sezione femminile, del resto, non se ne fa passare una, nonostante le impiegate telegrafiste siano molto più brave e performanti della sezione maschile, più propense a quello che oggi è espressione abusata e che abbiamo inteso, infine, non essere poi tutto questo grande pregio: il multitasking.

Ai sogni e alle aspirazioni di Maria Vitale, si mischiano quelli delle altre telegrafiste, tutte determinate a un obiettivo personale, che in una società maschilista, finisce per appiattirsi al desiderio comune di arrivare al matrimonio solamente per riscattare la propria condizione. C’è Caterina Borrelli, miope e un po’ arrogante che gira con un quaderno grosso grosso che utilizza per scrivere il suo romanzo. C’è Giulia Scarano, anima mite, innamorata di Mimì. C’è Adelina Markò, sempre elegante, che lavora per farsi il corredo; Pasqualina Morra compone versi; Emma Torelli è la ‘straniera’ con la parlata piemontese; Serafina Casale è quella che non dice una parola mentre Maria Immacolata Santaniello è quella meno volenterosa.

Il lavoro è caldissimo sulle linee a cui sono destinate: “Salerno, quella è una linea indiavolata”, “Castellammare è insopportabile”, la linea di Avellino gestita da "una mummia di settant’anni" che non sopporta la sezione femminile; Genova, "la linea è così lunga che la pila non basta mai". Un lavoro usurante al punto da non consentire di apprezzare il rassicurante fascio di luce del sole d’inverno che irrompe nella sala. Sono tutte con la testa bassa, le telegrafiste. A lavorare.

La copertina del libro
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