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Roberto Saviano sette anni dopo: esce Zero Zero Zero

Recensione di Zero Zero Zero, il nuovo denso volume di Roberto Saviano sulle vicende globali del narcotraffico: problematica la riproposizione dello stile di Gomorra.
A cura di Luca Marangolo
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Zero Zero Zero è il nuovo lavoro di Roberto Saviano: un misto di feroce cronaca sul traffico globale della cocaina, una sovrapposizione fra inchiesta e narrazione che replica l'esperimento che portò Saviano al successo con Gomorra.

Gomorra uscì in un momento della storia del nostro paese di grande cambiamento sociale e culturale, i cui effetti, probabilmente, stiamo ancora elaborando.

È un testo che meglio di altri racconta, infatti, un grande momento  di ritorno traumatico della vita comune alla realtà: c’era stato da pochi anni l’11 Settembre, il crollo dell’establishment economico era alle porte e tutto era predisposto perché la società vivesse un sano bagno nel Reale che, come ci narrò Saviano, si ostinava a rimuovere.

Le cose che ci raccontò Saviano, se erano note,  non lo erano abbastanza perché fossero davvero conosciute. Il successo di Gomorra sta nello straniamento che ha creato trasformando la cronaca in qualcosa che il lettore potesse percepire e vivere, reagendovi. Il dato di fatto è dunque che Gomorra si è inserito in un’intercapedine fra la cronaca di un quotidiano rimosso e un testo dai procedimenti letterari di difficile codificazione, al cui centro c’è sempre stato l’io dell’autore.

È un dato importante perché l’io narrante di Saviano, a differenza, ad esempio, dei testi di Walter Siti, è un io lirico, confessionale, e questo io lo ritroviamo anche in Zero Zero Zero:

“ Mi chiedo da anni a che serva raccontare di morti e di sparatorie. Tutto questo vale la pena? (…)   Ti daranno lo scettro di eroe per qualche mese, guadagnerai se qualcuno leggerà le tue parole? Ti odieranno quelli che le hanno dette prima di te, ignorati?” (p. 95)

Questo ‘io’ senza dubbio ci sembra una leva base del successo di Gomorra, che facendo identificare e solidarizzare il pubblico con il protagonista ha lentamente staccato la figura di Saviano dalla sua vita di laureato in filosofia e lo ha trasformato non solo in uno scrittore di successo, ma in una figura testimoniale, cosa il cui peso sarebbe difficile da portare per chiunque, e la cui immagine è assai difficile da gestire, a livello mediatico. Se si aggiunge, per di più, la nota condizione di segregazione di Saviano, si riesce a contestualizzare bene le premesse che hanno portato alla stesura di Zero Zero Zero.

zero zero zero

Il testo riprende la formula di Gomorra, mescolando lunghi (a volte lunghissimi) stralci di cronaca in cui si susseguono una quantità di nomi e fatti che il lettore italiano forse avrà difficoltà a seguire, per la lontananza del contesto: in pagine e pagine l’autore ripercorre la storia dei cartelli mafiosi colombiani e messicani, ricostruendo con uno stile scarno a metà fra il verbale di polizia e la cronaca giornalistica i fatti di potere che hanno portato al controllo della cocaina in America Latina, spostandosi poi in Calabria e in Russia, portando avanti la tesi principale per cui la cocaina è la merce più duttile e remunerativa del mondo.

La suggestione dal romanzo americano è una cosa che si può sottolineare. Saviano sembra mutuare da autori come Don de Lillo questo fascino per il penetrare della merce nell’immaginario: quasi al centro del libro c’è una specie di poesia-elenco di tutti i nomi della cocaina, vista come una sorta di Mab quean post-post moderna. Il dettato scelto per le parti meno cronachistiche e più esplicitamente finzionali di questo composito testo è spesso esplicito  e forse fastidiosamente assertivo. Si avverte con nettezza il rapporto nevrotico dell’autore con la scrittura: non per nulla il libro inizia con un elenco (ben recitato da Toni Servillo di recente) di cinque pagine di possibili addicted da cocaina.

Zero Zero Zero è insomma, come lo era Gomorra, un’opera dai fini performativi, il cui scopo è, esplicitamente, colpire il lettore raccontando qualcosa di crudo e nascosto. ll dato dunque che più risalta rispetto ad un romanzo vero e proprio è che la forma, lo stile, non nascono coerentemente dalla struttura della narrazione, ma vi si sovrappongono. Ne deriva, all’opposto esatto, ad esempio, di una narrazione realista, il sottotesto implicito per cui qualunque cosa che viene raccontata dev’essere ‘mostrata’ per come è veramente, esplicitata, nella sua realtà traumatica.

La prosa di Saviano dunque oscilla vistosamente fra queste tre dimensioni, quella confessionale, quella della pulsione a mostrare i fatti e quella meramente cronachistica. Ciò che sembra accadere è il ripetere ossessivo dell’effetto traumatico ricercato nel primo libro, per cui nel continuo innesto di stili diversi dà la sensazione continua di una ‘sospensione’ della realtà, l’idea che la parola debba accendere degli eventi per mostrarli per come veramente sono.

Si vede qui il paradosso: la realtà per apparire traumatica deve essere ‘mostrata’ come tale, perché altrimenti sarebbe mera cronaca. Ben inteso: ciò che si riprende nel libro è veramente raccapricciante e la prosa del testo in molti passi è più che buona, anche se è un po’ difficile dire se l’effetto di straniamento che il libro avrà sarà lo stesso. Infatti una costruzione del genere, la cui struttura narrativa portante è affidata a fatti di cronaca, implica che i procedimenti stilistici, non saldati per scelta con l’impianto del racconto, affidano il successo del lavoro a fattori esterni al testo: la postura del lettore di fronte agli avvenimenti (si tratta di un libro costruito per un pubblico ‘mondiale’ e i fatti risultano meno ‘perturbantemente’ familiari), la possibilità dell’io di Saviano (molto meno presente nel nuovo libro) di fare presa sulla coscienza del lettore, dato lo status, ormai mutato, di personaggio pubblico dello scrittore.

Sono tutti questi fattori esterni impliciti alla natura del libro ‘performance’ (del resto non è un caso che sia Gomorra che Zero Zero Zero hanno in copertina due forti richiami all'arte contemporanea) che, per fare un misto fra stralci di cronaca e prosa narrativa e stilistica, rinuncia di fatto ad uno dei principali assi su cui si fonda il racconto: ovvero la coerenza dell’inventio, il fatto che, quando inventiamo una storia, lo stile è espressione contigua di questa invenzione e non una sua semplice sovrapposizione.

La natura evenemenziale, cioé legata alle circostanze contingenti, in cui era uscito Gomorra è, del resto, all’origine dello stesso processo simbolico che ha portato lo scrittore ad un ruolo mediatico complesso e che, probabilmente, ha sostanzialmente ostacolato il suo percorso letterario. Il momento di Reale traumatico rappresentato dall’evento-Gomorra ha causato tutta una serie di conseguenze sul suo autore-personaggio che, inserendosi come protagonista nel libro, ha legato la sua vita e la sua immagine al meccanismo simbolico da lui stesso innescato.

 E così diventa, anche lui, protagonista (e in un certo senso un po' vittima) del processo mediatico causato da Gomorra, rendendo forse più difficile quella rielaborazione delle proprie capacità necessaria ad uno scrittore per poter crescere.  Zero Zero Zero avrà successo nella misura in cui riuscirà, nei suoi intenti di denuncia, a ricreare le premesse del primo testo, cosa non impossibile ma difficile, dato che ciò che è accaduto la prima volta è stato esattamente l’inverso: Saviano-autore è stato trascinato da Saviano-personaggio in un processo simbolico più grande, quello dello scambio mediatico e sociale, che gli ha cambiato la vita,  rendendo più complesso per l’autore dominare, oltre che la sua vita quotidiana, la sua immagine mediatica, anche le sue attitudini letterarie.

Forse la cosa migliore da fare per l’autore sarebbe evitare di dare alla sua figura un tale peso simbolico, esponendo così i suoi indiscutibili grandi meriti al ricatto di dover replicare ostinatamente un effetto estetico che, come accade con ogni libro, è sempre unico.

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