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La folle vita di Mauro Repetto dopo gli 883: “Facevo il cowboy a Disneyland, sono caduto e mi sono rialzato”

Mauro Repetto ha raccontato a Fanpage.it la nascita degli 883, la sua vita dopo che ha lasciato il gruppo all’apice del successo, fuggendo negli Usa.
A cura di Francesco Raiola
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Fonda una delle band di culto del pop italiano contemporaneo, passa per il ballerino pur essendone la mente, scrive Gli anni, uno dei più grandi successi pop e non lo firma e all'apice del successo scompare, fugge negli Stati Uniti alla ricerca di una modella che non incontrerà mai. Poi torna in Italia, poco successo, quindi ricomincia da un livello basso di Disneyland a Parigi. È la storia, riassunta con l'accetta, di Mauro Repetto, fondatore degli 883, per molti il ballerino della band, ma com racconta nel libro "Non ho ucciso l'Uomo ragno" (Mondadori) di quel progetto ne è la mente. È lui che sogna il successo e con sé trascina Max Pezzali, che diventerà fondamentale nel successo e nel prosieguo di quell'esperienza. Di Repetto si è detto di tutto, anche che lo si potesse trovare, mascherato da Pippo a Disneland Paris. A Fanpage racconta nei dettagli la nascita degli 883, perché è andato via e cosa è successo in quegli anni.

Cosa ti ha spinto a fare questo libro?

Stavo mettendo in ordine la mia cameretta con tanti ricordi impolverati da buttare per trovare dei ricordi nuovi, per fare spazio. A quel punto mi rendo conto che questi ricordi non sono così impolverati, sono quasi piacevoli, mi fanno quasi ridere, ho voglia di giocarci come delle squadre di Subbuteo che mi danno una madeleine proustiana, un'epifania. Ci gioco e visto che secondo lui la mia vita era così rock'n'roll, Massimo Cotto mi propone di fare un libro. Io mi considero un normalone, però gli dico "facciamo ‘sto libro", quindi da Parigi vado a Ravenna, negli studi di Stefano Salvati, il regista dei primi video degli 883 e sbrodolo tutto il succo della mia anima.

Un libro che racconta tante vite e in cui fai luce su alcuni luoghi comuni: non hai mai gettato i vestiti dal decimo piano né è stato nei panni di Pippo, e possiamo smentire che Hanno ucciso l'Uomo ragno abbia a che fare con il giudice Falcone, giusto?

Esistono molti miti e leggende su di me, anche giustamente perché la natura ha l'orrore del vuoto quindi bisogna colmarlo, forse avrei fatto la stessa cosa se un altro fosse sparito, diventato un fantasma: non ho mai vagato la notte nei cimiteri di Parigi con Jim Morrison, non sono stato rapito dagli alieni, non sono mai stato vestito come Pippo all'entrata di Disneyland per dare il benvenuto a quelli che arrivavano e Hanno ucciso L'uomo Ragno non è mai stata dedicata al tragico dramma di Falcone, era un altro film, era il comics, era il Bronx a New York, come ce lo immaginavamo, era veramente Peter Parker che era un po' come me e Max, un banalone che però aveva delle ambizioni enormi.

Per molto tempo hai dovuto sopportare l'idea che fossi il ballerino del progetto, eppure ne sei stato la mente e il braccio, eri tu che cantavi, inizialmente, ma eri anche tu che cercavi Cecchetto in giro per l'Italia e passavi i pomeriggi a cercare Jovanotti al telefono, no? Come sono nati gli 883?

Gli 883 nascono su un banco di scuola, la persona più interessante che abbia mai conosciuto nella mia vita è questo ragazzo con gli occhi blu che parla in una maniera per metà razionale e per metà surrealista che si chiama Max. Iniziamo a scrivere assieme degli sketch, del rap, perché io faccio l'animatore nei villaggi di vacanza a Isca Marina, in Calabria, a Soverato in estate e a Marilleva, in Trentino, l'inverno, quindi ho bisogno di rappare, ho bisogno di fare dei one man show comici e Max è la persona migliore per scriverli. Iniziamo a fare anche del pop, cominciamo a rompere le scatole a tutto il mondo, compresa Radio Deejay. Lo faccio soprattutto io che ero e sono ancora quello con più energia e più surrealismo dei due, quello con meno freni rispetto a Max, che è molto più razionale di me e a quel punto arriviamo a Jovanotti e a Cecchetto.

Com'è successo che poi Max abbia cominciato a cantare?

Perché tra i due quello che aveva una voce da crooner, alla Frank Sinatra, era Max, anche se all'inizio cantavo io. Sono io, quindi, che lo sprono, e lui crede che lo prenda per il culo quando canta "…don't let me fall, without you I can't go home" (Repetto canta sulla melodia di "Finalmente tu", ndr) e io dico: "Max cazzo, ma tu sei Frank Sinatra" e da lì nasce questo duo improbabile di supereroi di provincia in cui uno canta e l'altro balla.

E perché tu ti sei trovato a ballare?

Io amavo tutte le ballerine dei primi clip rap, amavo Janet Jackson, quindi cercavo di imparare a memoria le loro coreografie, poi salivo sul palco, non mi ricordavo più niente e saltavo, ma era bellissimo così, era un duo improbabile, finché è durato è stato bellissimo, uno che cantava impalato e l'altro che saltava fino a star male. Questo erano gli 883. Da innamorato della chitarra – Slash dei Guns N' Roses, Richie Sambora, Bon Jovi, Nuno Bettencourt degli Extreme -, ho sempre cullato il sogno di imparare a suonare. Adesso la suono, ma all'epoca si campionava, noi, da rapper, rubavano ed era lecito, anzi era quasi consigliato e obbligatorio: rubavamo tutte le chitarre, quella funky di Madonna in "Nella notte", quelle dei Van Halen e degli AC/DC in "Te la tiri", insomma, all'epoca non avevo bisogno di suonare la chitarra, la campionavo. In più avevo questo amore per i clip rap… lo so, adesso fa ridere, però all'epoca vedere le ballerine di MC Hammer per me era un colpo al cuore, quindi cercavo di fare quello. Non ero un ballerino, quindi lo facevo come se fossi in discoteca a Pavia, ma l'ho sempre fatto con piacere, finché sono stato negli 883 ero contentissimo di ballare.

Se avessi imparato la chitarra le cose sarebbero andate diversamente?

Adesso ho un approccio differente con la musica, anche perché non sono più un rapper. All'epoca eravamo tutti e due rapper, avevamo i Beastie Boys, i Public Enemy, i Run DMC come dottrina, se non di vita ma sicuramente di musica. Adesso, quando approccio un cantante posso suonare le canzoni con la chitarra e quindi non mi limito ai testi o a due dita sul Korg, come trent'anni fa, non mi limito a campionare, ho un approccio per cui posso accompagnare una diva alla Whitney Houston o alla Mariah Carey, come Célie Angelon, con la quale lavoro attualmente, con la mia chitarra, quindi ho un approccio più completo ma perché sono vecchio, sono caduto tante volte, mi sono rialzato, ho imparato a suonare e posso essere più completo nella musica, ma ho sempre la stessa energia di quando ero super giovane e super biondino ballerino.

Però non mi hai risposto…

Se avessi già suonato la chitarra sarei andato comunque negli Stati Uniti e avrei cercato, invece di fare un film o un disco da rapper, di fare un disco con Slash. Però sarei andato comunque negli Stati Uniti perché il mio sogno era vivere a New York. All'epoca, alla fine degli anni '80, inizio anni '90, vivere al Meatpacking District nel Village a New York era il massimo, quindi avrei probabilmente cercato di fare un disco con i Guns N' Roses.

Ti sei mai pentito di non aver mai firmato Gli Anni, canzone che pure avevi scritto con Max? 

Gli anni è l'ultima canzone che scriviamo assieme io e Max, è proprio il triplice fischio finale. "Stessa storia, stesso posto, stesso bar", mi rendo conto che la canzone è bellissima, ma io non voglio né la stessa storia, né lo stesso posto, né lo stesso bar, pur rendendomi conto che una canzone mitica e che mi piace di brutto. Io voglio andarmene via, voglio andare alla settimana della moda, voglio conoscere una donna che per me è la più bella del mondo, in quel momento; stavo bene con Max, stavo bene a Pavia, stavo bene con i miei genitori – perché all'epoca vivevamo ancora coi nostri genitori -, ma ho questo tappo che voglio far esplodere e Gli anni segnano, non la claustrofobia, ma la decisione finale irreversibile: devo andarmene via perché voglio un'altra storia, un altro posto e un altro bar a New York, Los Angeles, a Miami, sull'Ocean Drive e ci vado. Quindi la mia onestà intellettuale mi porta ad andare via senza firmare questa canzone, perché anche se chiaramente è l'ultima che abbiamo fatto assieme ma non mi appartiene, è un altro film, io voglio diametralmente un'altra direzione, anche se mi rendo conto che è una canzone bellissima.

Quindi non cercherai mai la firma, né ti è stata proposta?

No, non la cercherò mai, proprio perché volevo andarmene via con questa canzone, è come se lasci una ragazza però provi ad uscire ancora con lei, almeno il venerdì, insomma no, lasci una ragazza perché vuoi andare altrove, quindi non ho più guardato questa ragazza, né questa ragazza mi ha proposto: "Vuoi uscire con me?". Nessuno mi proporrà mai di firmare Gli anni e io mai chiederò di firmare Gli anni perché me ne sono andato via e volevo andare via per i motivi che ti ho spiegato.

Eri il più entusiasta all'inizio dell'avventura, poi, raggiunto il sogno, hai avuto una sorta di crollo. Mi racconti com'è avvenuto questo passaggio?

Ti dò la definizione dell'amore che dà Sacha Guitry, un commediografo francese, che dice che il momento più bello dell'amore è quando sali sulle scale. Quindi, da irrisolto quale sono, ho sempre nella dinamica e nell'andare verso qualcosa il piacere estremo, se raggiungi una cosa hai meno dinamismo e meno piacere. Ho abbassato la mia energia perché avevamo raggiunto comunque una vetta, quello che cercavamo, e io volevo andare su una giostra che andava ancora più veloce: Los Angeles, Hollywood, Downtown e ci sono andato, sono andato su una giostra che andava più veloce, che mi dava ancora più emozioni. Non sono sceso da una giostra perché non mi piaceva più, ma sono andato verso una giostra che mi piaceva ancora di più: non è stato quindi lasciare qualche cosa o sminuire la mia passione, è stato un aumentare a un certo momento la mia passione verso un'altra sirena che mi chiamava.

Quali sono stati i momenti più eccitanti della vita?

Il momento più eccitante in assoluto è comunque il giorno dopo che abbiamo portato la cassetta di "Non me la menare" in portineria a Radio Deejay, all'attenzione di Claudio Cecchetto. Niente era certo, niente era acquisito, nel senso che porti una cassetta di un pezzo così, la dai al portinaio intimandolo di darla a Claudio Cecchetto e il giorno dopo Pierpaolo Peroni, che era braccio destro di Claudio Cecchetto mi chiama e mi dice: "Adesso facciamo questa cosa perché c'è Castrocaro", quindi chiamo Max, il quale con le sue frasi che non vogliono dire niente e vogliono dire tutto, mi dice "Allora posso mettere le mutande di pelle". Lui vedeva già questa proiezione un po' da popstar. Questa telefonata di Pierpaolo Peroni che mi diceva che Cecchetto ci voleva a Castrocaro è stato il momento più eccitante

Praticamente da ragazzi di periferia vi ritrovate all'improvviso a dare il tu a chiunque…

Allora considera che io e Max, anche all'apice del successo, eravamo – per nostra fortuna e hanno fatto bene a trattarci così – considerati come minori dal team di Claudio Claudio, che aveva sulla sotto la sua egida Radio Deejay, Jovanotti, Fiorello, c'era un team top e noi eravamo comunque, anche all'epoca di Nord Sud Ovest Est e Come mai, "i due ragazzi", nel senso che nessuno ci trattava come star. La nostra fortuna è sempre stata di essere, anche nel periodo di massimo successo, minori, in serie B a livello star system.

Ti aspettavi che gli 883 potessero continuare solo con Max o pensasti che forse avresti potuto causare la fine di quell'esperienza?

Quando me ne sono andato via non lasciavo un Titanic che stava affondando, ma era al massimo, all'apogeo di una civilizzazione, non avevo dei sentimenti di andare via lasciando qualcuno in difficoltà. Però, sai, io pensavo solo a ciò che era davanti, non potevo barare, pensare al passato e avere delle zavorre, dei ricordi, se volevo ricominciare da zero, andare su un'altra giostra. Sapevo che gli 883 erano una bomba micidiale, come lo era Gli anni, ma io dovevo soddisfare i miei sogni, non i sogni di un altro.

Quindi vai negli Stati Uniti e per un attimo sei quasi riuscito a coltivare il tuo sogno. Intanto fuggi per inseguire l'amore per una modella…

Io cerco Brandy a Miami, non la trovo ma conosco le sue amiche tra cui Beverly Peele, che all'epoca era una modella fenomenale, sensibile, Cynthia Denise Bailey, che ancora adesso è conosciutissima, Tyra Banks, quindi esco con le sue amiche. Beverly ha un marito che è manager di un gruppo rap fortissimo, i padrini della figlia di questa coppia, Beverly Pill, e il manager, sono Karl Lagerfeld e Russell Simmons, il padrone della Def Jam: io entro in studio per produrre quest'album rap, c'erano anche il figlio di Clive Davis, quello che ha scoperto Whitney Houston e il patron della Arista Records e c'è sempre Simmons. Insomma, sono a due dita dal fare un album come volevo, a New York, ma un giorno il marito di Beverly Pills, in maniera condannabilissima, la picchia perché l'aveva tradito. Russell Simmons gli mette quasi una taglia sulla testa, quindi con un album che stavo producendo, che poteva diventare un successo a New York con la Def Jam e l'Arista, divento persona non grata a causa sua. Questo mio partner deve scappare da New York e io devo seguirlo con i nastri sotto sotto i gomiti, vado da Toto Cutugno che era l'unico che aveva il numero di piste necessarie per poter ricantare in italiano questo album, ci perdo al cambio, e faccio "Zucchero filato nero". Evidentemente ero svogliato, delusissimo, ero a due dita dal fare una cosa a New York e mi ritrovo col sogno a terra, come uno pneumatico bucato, ho in previsione di dover andare a fare militare, di dovermi laureare, quindi la mia vita passa da New York, Downtown con delle amiche di Brandy, a militare e fare in italiano Zucchero filato nero, quindi ero delusissimo. Questa è la cronologia dello sgonfiamento di un sogno americano, per un dettaglio condannabilissimo, che m'ha giocato in quel momento la carriera americana.

Però sono stati comunque anni tra il tragico e il magico, a un certo punto racconti di un appuntamento con Liv Tayler…

Liv Tayler abitava nello stesso palazzo di Beverly Peele e suo marito, quindi una sera usciamo tutti e quattro, andiamo in un night club a bere, a ballare, andiamo a vivere proprio il downtown newyorkese del 94, che era di una bellezza incredibile. Ovviamente non succede niente, non ci provo nemmeno, però ci esco proprio come se fossimo due coppie affiatate, quindi un ricordo comunque indelebile, anche perché Liv Tayler era una bella ragazza.

Una nuova vita è quella parigina dove dal basso diventi event executive di Disney, ma se oggi ti proponessero un ruolo discografico importante, in Italia, ci penseresti?

Oggi sono event executive per Walt Disney company, quindi il lavoro con l'entertainment, la produzione, la logistica, il budget, se dovessi fare qualcosa parallelo, come nella discografia, preferirei comunque essere artista e approfittare del mio amore per la chitarra per scoprire dei nuovi talenti. Non mi piacerebbe essere un discografico, qualcuno dietro le quinte, vorrei sempre essere protagonista sulla scena e aiutare delle persone più giovani di me o delle persone che hanno meno energia e meno faccia tosta di me, sempre sul versante creativo.

Come hai gestito quei momenti bui?

Io ero veramente tranquillo, non ho mai avuto un burnout, non ho mai avuto dei momenti veramente difficili, nel senso che mi sono sempre dato degli obiettivi, delle strategie, tipo: ricominci da zero, devi essere un fantasma, devi essere conscio che sei nella penombra, che non hai più dei ricordi che ti aiutino e devi guardare sempre avanti, ma dandomi queste strategie non ho mai avuto veramente dei momenti di burnout, solo dei momenti difficili, ma con delle strategie che tutti possono scavalcare facilmente. Semplicemente sei conscio di essere in una penombra tenace, in un momento di no man's land, e poi arrivare a passare questo deserto.

Facciamo un passo indietro, come hai ricominciato a Parigi?

Io ho cominciato a Disney dicendo che ero laureato in Lettere e mi hanno messo a fare il cowboy la mattina dopo. Ho fatto il cowboy fino che un italiano che era vice direttore del parco mi ha riconosciuto e mi ha chiesto cosa ci facessi lì e mi ha messo nel dipartimento più bello della Walt Disney Company, dove sono ancora attualmente, quindi ho ricominciato da zero, proprio che non volevo barare, volevo darmi tutta l'energia verso il passato senza guardarmi o guardare neanche nello specchietto retrovisore. Ricominciare da zero, vestito da cowboy – che è meno di Pippo o comunque come Pippo -, mi ha permesso veramente di avere tutta l'energia tesa a cercare nuove ragazze, nuovi riferimenti, nuovi bar, nuove storie, nuovi momenti nel mio quartiere di Bastille, dove abitavo e dove abito ancora adesso a Parigi.

Hai mai sofferto per le critiche agli 883, considerati da alcuni troppo pop, troppo leggeri?

Non mi sono mai preoccupato di eventuali critiche perché ho sentito criticare David Bowie, Prince, Springsteen, Baglioni, Renato Zero, chiaramente, una volta che sei sull'Arena che tu sia piccolissimo, grandissimo, devi essere soggetto alla critica perché giustamente sei uno che nell'arena deve vincere, quindi devi sorpassare non solo il nemico, ma anche qualsiasi critica.

Qualcosa cambiò quando Rockit sdoganò gli 883 facendovi coverizzare dal mondo indie?

Lo considero come un altro gradino, proprio per il fatto che tutti si riconoscessero in queste storie di quotidianità banale ma surrealista, semplice ma trasfigurata da un po' di poesia. Il tempo ha dato questa patina di università a delle canzoni che ci permettevano di passare il pomeriggio da normaloni, provincialotti ma in fondo tutti siamo un po' logicamente normaloni e provincialotti, quindi il tempo ha dato questa patina di universalità.

Facciamo un gioco: il tuo rapporto con Max.

Non siamo più compagni di banco, ma se fosse qui sghignazzaremmo 4 ore assieme. L'ultima volta che l'ho visto, all'Arena di Verona con Amadeus, abbiamo passato una serata a sghignazzare. Quindi non è che c'è un rapporto da zio che devi chiamare per sapere come sta, non ci cerchiamo ma quando l'attualità vuole che ci troviamo ti assicuro che è come al liceo. Però non siamo colleghi, non siamo mai stati colleghi, siamo stati veramente compagni di banco anche quando eravamo negli 883, se il caso veramente ci portasse assieme sono sicuro che saremo contenti tutti e due, ma deve venire da solo, non ci cerchiamo

Cecchetto.

Walt Disney italiano, ho grande gratitudine per lui, non ha cambiato una virgola dei testi, non ha cambiato una virgola del nostro modo di essere sulla scena: Max impalato, io che saltavo come un matto, non ha cambiato niente pur essendo un genio del marketing. E ancora di più, quindi, lo devo ringraziare, è un grande.

Fiorello.

Fiorello l'ho sentito anche recentemente, è sempre stato più che un fratello maggiore, era la grande star del team a quel tempo, ci dava molti consigli, ci prendeva molto per il culo, soprattutto a me, ma come veramente in una compagnia o come un fratello o un cugino maggiore. L'ho sentito recentemente, è una grande persona oltre che un grande artista, è uno molto buono e grande in tutti i sensi.

Jovanotti.

Jovanotti è stato uno dei primi che ci ha ca*ati, ci ha comunque preso a 1, 2, 3 Jovanotti, ci ha invitato a cantare con i Run DMC, dobbiamo dargli un grande grazie, è stato un esempio perché era uno dei primi che faceva rap e poi ci ha dato anche le luci del palcoscenico, è stato il primo, con Cecchetto, che ci ha permesso di esprimerci, quindi grazie a Jovanotti.

Amadeus.

Wow, Amadeus, con lui siamo anche stati assieme a New York, quindi era come noi un divo minore del team di Cecchetto, era come noi qualcuno che rideva molto con Franchino, il compianto grande manager dell'epoca, di Fiorello, eravamo tutti e tre: io, Max e Amadeus, contentissimi di stare lì e tutti e tre in secondo rango rispetto a Fiorello, rispetto a Jovanotti, quindi uno spirito di commilitone che avevamo con Amadeus, una grande gioia quando ci rivediamo anche con lui e penso che un'amicizia sincera ci lega e che è qualcuno di molto buono dentro, a parte essere forse uno dei migliori presentatori, con un'anima molto buona.

Chissà che a Sanremo non possiamo vederti su quel palco…

Niente sarà fatto col calzascarpe, se ci fosse la possibilità di andare a Sanremo sarò contentissimo, ma deve venire quasi da sola. Ho un brano che potrebbe piacere a tutta Italia, se son rose fioriranno.

Quindi solo, senza reunion con Max.

Se Max mi vuole raggiungere le porte sono aperte, lui ha una carriera già confermata, io mi rimetto in pista nell'arena come Spartacus, voglio combattere da solo, se poi lui mi raggiunge mi vuole dare una mano, è il benvenuto.

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