Il Teatro Valle Occupato diventa “Fondazione”: la protesta si fa prospettiva
È una storia breve ma densa di accadimenti quella del Teatro Valle di Roma. Correva l’anno 2011 quando un gruppo di artisti e tecnici prendeva possesso della storica sala romana “occupandola” per protestare contro il progetto di privatizzazione messo in campo dal Comune. Le reazioni furono come da copione: da un lato, levata di scudi, scandalo e denunce in procura; dall’altro, sostegno alla lotta, condivisione e tanto entusiasmo.
In pochi però, da entrambe le parti, avrebbero scommesso che quell’esperienza si sarebbe trasformata in qualcosa di più di una protesta “senza se e senza ma” come si usa dire di questi tempi. E invece è andata proprio così: “Oggi 18 settembre 2013, dichiariamo che è nata la Fondazione Teatro Valle Bene Comune” esordisce trionfante il comunicato stampa che sta facendo il giro del web.
Padri nobili dell’operazione giuristi di lungo corso, capitanati da Stefano Rodotà, i quali hanno stilato un vero e proprio Statuto e dato vita alla Fondazione. “Si esce dunque dall’illegalità”, commentano in molti, la protesta diventa prospettiva, aggiungiamo noi.
Contando, infatti, sull’adesione di oltre 5000 soci e su un capitale sociale di 140mila euro più altri 100mila in opere d’arte offerte spontaneamente, il nuovo Teatro Valle è finalmente pronto a “mettere in campo strategie di contrasto alla precarizzazione del lavoro attivando forme di mutualismo sociale per gli intermittenti dello spettacolo, ridefinendo la forbice dei compensi, ridistribuendo equamente le risorse e sperimentando modelli economici alternativi”. Obiettivi molto ambiziosi ma sacrosanti, staremo a vedere.
Altro importante obiettivo annunciato in questi giorni è la creazione della prima produzione “partecipata”, a cura del drammaturgo, regista e attore genovese Fausto Paravidino, intitolata “Il macello di Giobbe”, attesa per marzo 2014. Lo spettacolo sarà il risultato di uno studio collettivo realizzato con altri drammaturghi e potrà contare su un fondo di quindicimila euro, già stanziati dalla Fondazione, e altri fondi reperiti (si spera) attraverso il meccanismo del crowdfunding.
Secondo Paravidino “il nostro Giobbe è un padre perfetto, uno come Lear, come Napolitano”, un onesto macellaio stritolato dalla crisi economica che per sopravvivere decide di mettere il proprio destino nelle mani del figlio, un liberista convinto, il quale però finisce con l’arricchirsi sulle sciagure del padre con “un'operazione simile a quella che ha distrutto la Grecia e sta distruggendo l'Italia” puntualizza l’autore.
Uno spettacolo, dunque, che intreccia realtà e riferimenti biblici alla ricerca di una definizione di “bene”, sia esso comune o individuale, che trova interessanti analogie con le vicende di coloro che hanno dato vita all’esperienza del Valle.