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Il mistero della Pietà di Maria nella Pietà di Michelangelo

Nella Pietà di Michelangelo, da secoli parla il mistero del volto di Maria di Nazareth. Perché appare così giovane, benché l’episodio narri uno dei momenti finali della sua vita?
A cura di cesarecata
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Molti si accalcavano attorno all’opera, credendola un miracolo; avrebbero voluto toccare il viso della ragazza scolpita in maniera tanto sapiente da sembrare viva, lucente. Lo stupore si mescola all’incredulità e alla fantasia. Gli uomini che parlano di fronte all’opera, in quel giorno di primavera dell’ultimo anno del Quattrocento, non sanno che il genio che ha creato quel miracolo è in piedi, a pochi metri da loro. Non possono sapere né immaginare che quel ventiquattrenne dalla barba folta, lo sguardo accigliato, torvo, gli occhi profondissimi, sia lo scultore che ha realizzato quanto vedono.

Lui li sente chiacchierare. Loro, come molti altri, non comprendono: perché il volto della Vergine Maria è così giovane? Sembra quello di una fanciulla, eppure alla morte di Gesù Nazareno, che lei tiene sulle gambe, doveva essere ormai una donna molto avanti nell’età. E poi perché non piange? Sembra solo angosciata. E poi chi è l’autore di questa statua? “Credo con certezza sia un'opera di Cristoforo Solari”, dice uno dei signori riccamente vestiti. Quando sente questa frase, il ragazzo dai profondi occhi torvi getta verso l’uomo il martello che teneva in mano. Poi se ne va come in preda a un’ira irrefrenabile. Lo credono un pazzo introfulatosi nella Chiesa per chiedere la carità. Quella stessa notte, quel ragazzo entrerà dalla sagrestia con la chiave e, mettendo mano al suo capolavoro, vi inciderà sopra il suo nome. Sarà la prima e unica volta che, nella sua lunghissima esistenza, firmerà una delle sue opere. “Michelangelo”.

Ora nessuno può più sbagliare. Ma resta l’altro mistero. Quello del perché il volto di Maria anziana ai piedi della Croce sia quello di una ragazza. Lui per tutta la vita avrebbe ingaggiato formidabili corpo a corpo con il mistero della morte e resurrezione alla vita.

Passeranno pochi anni da quel giorno di fine secolo, e lo chiameranno a Firenze, nella sua città, a scolpire un immenso blocco che nessuno era riuscito a scalfire. Lui lo capovolse, e vi vide nascosto quanto altri non vedevano: il David un attimo prima di diventare se stesso. Nei lunghi anni della sua formidabile vita, l’ineffabilità di Dio lo avrebbe ossessionato. Quella ricerca, spasmodica, di una quiete; quella pretesa di un’estasi alla fine dell’inquietudine della carne; quella carne che vorrebbe liberarsi da se stessa: in Michelangelo l'ascesi mistica diventa tensione psicofisica all'assoluto. Perché ogni essere è imprigionato nella propria materia, esattamente come le statue. Dentro, dentro il blocco – sia esso di marmo o di carne e sangue – vi siamo noi, la nostra forma più vera e perfetta. Basta togliere: in questo consiste l’arte. E anche la vita.

Nelle sue mani, vibra scintillando la tonante potenza di Dio, e lui lo sa. La sua mente è in grado di penetrare le nuvole. Lui lo sa perché nello scolpire toglie materia alla realtà, trasforma in energia di bellezza la staticità del morire, del soffrire che ci accompagna nelle ore. Quel ragazzo finirà i suoi giorni, quasi otto decenni dopo quella notte in cui per la prima e unica volta scolpisce il suo nome sul marmo, inseguendo ancora quel mistero: il Nazareno morente tra le braccia di Maria. Ancora un Pietà, prima di morire.

Ma la sua prima grande opera già parla, lui ventiquattrenne, e rivela quanto non afferma. Il volto così giovane della Vergine Maria: perché? Perché, diranno, l’artista volle raffigurare la Vergine simbolicamente, non come donna reale; perché è un’allegoria della Chiesa, diranno altri; perché, essendo santissima, non è soggetta al tempo, in quanto incorruttibile, glosseranno altri ancora. Li avesse ascoltati, quel ragazzo dagli occhi torvi avrebbe tirato anche contro di loro, con tutta la sua forza, il suo martello di scultore. Perché la verità è un’altra, altro il mistero.

Quando Maria era solo una ragazza, l’Arcangelo le si parò di fronte con la notizia immensa. Lei, piena di grazia, benedetta tra le donne ne ascoltò estaticamente il messaggio. E mentre l’Arcangelo cantava le sue parole di luce, lei sinistramente presentì nel cuore il mistero della croce. Sapeva, lei sapeva che quel frutto benedetto del suo ventre, il suo unico figlio, doveva, per la redenzione del cosmo, morire giovanissimo. Sacrificato su una croce romana, come il peggiore dei criminali. E che lei avrebbe assistito a quella morte. Lo sa, lo sa già quando l'Arcangelo le si parò davanti, come a dirle: "Tu non sei più vicina a Dio di noi, siamo lontani, tutti. Ma tu, tu sei la pianta". Maria lo sa che l’avrebbe abbracciato morto, facendolo scendere dalla collina dove l’avrebbero appeso. Maria lo sa. Lo sa come lo sa una madre, come lo sa una donna.

Michelangelo la raffigura in quell’istante, quando è solo una ragazza con nel cuore il più tragico dei presagi. Le sue vesti diventano immense onde, che circonfondono il corpo di Gesù, quasi tutto l’universo, insieme a lei, potesse abbracciarlo. Ecco perché il suo volto è quello di una giovane ragazza. Per comprendere il mistero della Pietà, occorre l’istante della Nascita divina. Quando lei era solo una ragazza, e l’infinito irruppe nel mondo sotto forma d’uomo. Attraverso lei che disse: "sì". Lei, Maria, Vergine, Madre. Figlia del suo figlio.

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Cesare Catà è nato a Fermo, il 3 agosto del 1981. Già professore a contratto all'Università di Macerata, è Dottore di ricerca in filosofia, scrittore, insegnante, performer teatrale. Ha ideato e dirige il format di lezioni-spettacolo “Magical Afternoon”. Lavora inoltre come consulente nell’ambito della comunicazione e della formazione aziendale. È calciatore e tennista dilettante.
 Ha curato e tradotto testi dal latino, dal francese, dall’inglese, e ha collaborato con università e centri di ricerca internazionali, tra cui la University of Hawai’i a Honolulu, il Cusanus Institut di Trier, l’EPHE di Paris, l’Istituto Italiano di Cultura di Dublino. Studioso versatile, le sue ricerche si incentrano soprattutto sul Neoplatonismo, su Shakespeare e la letteratura inglese, sullo storytelling tra narrazioni antiche e comunicazione contemporanea. Tra le sue pubblicazioni: Shakespeare e l'urlo di Narciso (Aguaplano, 2015); Filosofia del Fantastico. Escursione filosofica tra i Monti Sibillini e l'Irlanda (Il Cerchio, 2011); La Croce e l'Inconcepibile. La filsoofia di Nicola Cusano (EUM, 2008); La passeggiata impossibile. Martin Heidegger e Paul Celan (Aracne, 2011). Sta lavorando al suo primo romanzo, la storia di un amore disperato ambientato tra la Marche e l'irlanda.
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