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Catacombe di San Gaudioso, il misterioso luogo di Napoli che ha ispirato Totò: ecco perché

Si racconta che fu passeggiando fra le sepolture dell’antichissimo cimitero di San Gaudioso che Totò trovò l’ispirazione per la sua celebre poesia “A’ Livella”. Come mai? Perché questo luogo, con i suoi celebri affreschi e la sua storia secolare, nasconde una saggezza antica: siamo tutti uguali di fronte alla morte.
A cura di Federica D'Alfonso
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Esistono, a Napoli, dei luoghi che conservano atmosfere cariche di una sacralità profana che ha dell’incredibile. Un sentimento che nasce con l’uomo nel momento in cui la vita si rivela essere indissolubilmente legata alla morte: in epoca antica il popolo napoletano ha sperimentato nel modo più atroce questa verità, trasformandola però in qualcosa di estremamente affascinante. Affascinante come le catacombe di San Gaudioso dove, si racconta, Totò trovò ispirazione per la sua celebre poesia “A’ Livella”.

San Gaudioso: il cimitero dei nobili

Gli "scolatoi" dove i cadaveri venivano trattati prima di essere seppelliti nelle catacombe.
Gli "scolatoi" dove i cadaveri venivano trattati prima di essere seppelliti nelle catacombe.

San Gaudioso è il secondo cimitero paleocristiano più grande di Napoli dopo le catacombe di San Gennaro: le sepolture più antiche risalirebbero almeno al IV secolo, a loro volta innestate sul sito di un’antica necropoli greco-romana situata nell'odierno quartiere Stella, nel Rione Sanità. Luoghi affascinanti, che ancora oggi conservano un’atmosfera molto particolare, simbolo di un’epoca in cui la morte scandiva le pratiche quotidiane dei vivi: in questo luogo nel cuore della Napoli più antica sono conservate ancora oggi le tracce di come, in passato, ci si preparava ad affrontare il viaggio ultimo e definitivo.

È più o meno nel Seicento, a causa della terribile epidemia di peste che colpì la città, che Napoli iniziò un sodalizio molto particolare con la morte, fatto di curiosi rituali e di una spiritualità mista di sacro e profano: a differenza di altri cimiteri come quello delle Fontanelle, furono soprattutto i nobili e i membri più importanti del clero, almeno inizialmente, a scegliere San Gaudioso come luogo del loro riposo eterno.

Ancora oggi sono visibili, sulle mura di tufo del cimitero sotterraneo, numerosi affreschi raffiguranti dei teschi vestiti con ricchi abiti. In realtà non si tratta di semplici dipinti: era in questo modo che i morti venivano seppelliti, dopo essere stati sottoposti dallo “schiattamuorto” alla curiosa pratica della “scolatura”, incastonando i teschi nelle pareti delle nicchie e dipingendo il resto del corpo con gli abiti e gli attrezzi del mestiere che raccontavano, come una storia in immagini, la vita e la posizione sociale del defunto.

La morte è ‘na livella: San Gaudioso e Totò

"Ccà dinto,’o vvuo capi,ca simmo eguale?…Muorto si’tu e muorto so’ pur’io; ognuno comme a ‘na’ato é tale e quale": difronte alla morte anche il più nobile dei re torna ad essere soltanto un uomo. È questo il senso più profondo della celeberrima poesia di Totò, “A’ Livella”. Si racconta che il principe De Curtis, originario del quartiere Sanità, abbia trovato proprio in San Gaudioso l’ispirazione per scrivere i suoi versi, da quegli affreschi così suggestivi e carichi di significato.

Un'altro celebre affresco conservato a San Gaudioso, a Napoli.
Un'altro celebre affresco conservato a San Gaudioso, a Napoli.

Un elemento infatti ricorre spesso nelle decine di immagini ancora oggi visibili sulle mura del cimitero ipogeo: ai piedi di uno degli scheletri si trovano dipinti uno scettro, un libro e una corona, simboli dei beni terreni che devono necessariamente essere abbandonati nel momento in cui si compie l’ultimo viaggio verso l’aldilà. Dinanzi alla morte siamo tutti uguali, e lo sapevano anche gli antichi: questa è la storia che racconta San Gaudioso, e questo è ciò che Totò ci ricorda nella sua celebre poesia.

‘A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella.

‘Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo,

trasenno stu canciello ha fatt’o punto

c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme:

tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?

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