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Cosa c’è dietro “l’abolizione” del finanziamento pubblico ai partiti

Riprende l’esame della norma per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Ecco quanto risparmierà lo Stato nei prossimi anni…al netto di “sorprese”.
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Nella seduta odierna la Camera dei deputati riprenderà (a meno di nuovi rinvii) l'esame del disegno di legge di iniziativa governativa "Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore". Si tratta di un provvedimento controverso (di cui vi abbiamo parlato meglio qui, qui e qui), presentato il 5 giugno in Commissione e la cui discussione è cominciata alla Camera per essere poi interrotta il 2 agosto. Del testo abbiamo già parlato ampiamente e sostanzialmente non sono riscontrabili modifiche sostanziali dal lavoro della Commissione, mentre appare opportuno ribadire alcuni punti cardine.

In primo luogo, più che di abolizione si dovrebbe parlare di rimodulazione del finanziamento pubblico ai partiti. Ma soprattutto appare necessario fare chiarezza sulla tempistica dell'entrata in vigore del nuovo sistema. Come riportato dai documenti ufficiali, infatti, "le norme stabiliscono che il finanziamento pubblico ai partiti e ai movimenti politici è riconosciuto, in relazione alle elezioni svoltesi anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, per l’esercizio finanziario in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e nei tre esercizi successivi, nelle seguenti misure: nell’esercizio in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, il finanziamento è riconosciuto integralmente [comma 1, lett. a)]; nel primo, nel secondo e nel terzo esercizio successivi a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, il finanziamento è ridotto nella misura, rispettivamente, del 40, del 50 e del 60 per cento dell’importo spettante [comma 1, lett. b)]".

In buona sostanza, il finanziamento pubblico, nella modalità tradizionale, "cessa a partire dal quarto esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge". Nel caso in cui il ddl fosse approvato nel 2013, dunque, occorrerebbe attendere l'esercizio finanziario 2017 per la rinuncia all'automatismo del finanziamento, come spiegato successivamente: "Fino a tale esercizio e nei limiti sopra fissati continua ad applicarsi la normativa previgente di cui, peraltro, viene contestualmente disposta l’abrogazione". Un periodo "necessario" secondo il Governo, dal momento che il sistema del 2×1000 su base volontaria farà sentire i suoi effetti sulle finanze dei partiti solo dopo tre anni.

Il secondo punto da sottolineare riguarda i "risparmi" effettivi per le casse dello Stato. In tal senso può venirci in soccorso la relazione tecnica, a partire dalla considerazione che, per effetto delle modifiche introdotte dal Governo Monti, attualmente lo stanziamento disposto per il finanziamento diretto dei partiti ammonta a 91 milioni di euro annui. Da un rapido calcolo, "ne consegue che, in applicazione delle disposizioni recate dal comma 1, le risorse residue iscritte nel fondo per il finanziamento dei partiti sono pari a 54,6 milioni per il 2014, 45,5 milioni per il 2015, 36,4 milioni per il 2016. Parallelamente i risparmi ammontano a 36,4 milioni per il 2014, 45,5 milioni per il 2015, 54,6 milioni per il 2016  e 91 milioni a decorrere dal 2017". C'è però un aspetto da non sottovalutare, che è relativo alle "agevolazioni" di cui godranno i partiti per quel che riguarda canoni, locazioni, spazi, bollette, le cui ricadute sul bilancio pubblico sono ancora in fase di valutazione.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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