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Opinioni

Chi ha votato per Donald Trump?

I dati per genere, razza, istruzione e reddito restituiscono indicazioni importanti per rispondere alla domanda chiave: come è possibile che abbia vinto Donald Trump?
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L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, anche per le proporzioni del consenso ottenuto dal magnate americano, ha sconfessato completamente le stime di analisti e sondaggisti. Alla vigilia del voto, Hillary Clinton era favorita con ampio margine, e sembrava destinata a diventare la prima donna Presidente degli Stati Uniti d’America, potendo contare su un rassicurante vantaggio in alcuni dei cosiddetti “swing states” e sul controllo delle tradizionali roccaforti democratiche.

Lo spoglio dei voti ha detto il contrario, con Trump che non solo ha consolidato la vittoria negli Stati tradizionalmente repubblicani, ma ha conquistato la cintura della “Rust belt” (quella parte del Midwest storicamente fedele al partito democratico). Come sia potuto accadere è questione che agita editorialisti e opinionisti, in ogni parte del globo terrestre. Le analisi fatte, però, si concentrano essenzialmente su un punto: la composizione dell’elettorato di Donald Trump e il profilo dell’elettore tipo cui si è rivolta la sua campagna elettorale.

Insomma, la domanda è una: ma chi diamine ha votato per Donald Trump?

Per rispondere a questa domanda bisogna disaggregare i voti su e provare ad analizzare il profilo di chi ha scelto di sostenere il magnate statunitense. I dati che riporteremo sono quelli della Cnn e del New York Times, avvertendo che si tratta essenzialmente di sondaggi, o meglio, di interviste realizzate dopo il voto. Si tratta di dati che, nel corso degli anni, hanno mostrato una certa affidabilità, cui sommeremo i dati ufficiali relativi al confronto con i risultati ottenuti nel 2012 dal candidato repubblicano Mitt Romney e da quello democratico Barack Obama, poi eletto Presidente. Ovviamente, è un'analisi solo parziale, ma che può dare alcuni spunti di riflessione interessanti.

Il primo dato da considerare è quello relativo all’elettorato diviso per genere. Secondo il NYT, fra i maschi il 41% ha votato per Clinton, il 53% per Trump, con un +5% per quest’ultimo rispetto al 2012; il 54% delle donne ha scelto Clinton, il 42% Trump, con solo un +1% per la candidata democratica, che dunque non sfonda fra l’elettorato femminile.

Molto interessante, date le premesse, il voto diviso per “razza” (in rosso il consenso per Trump, in blu quello per Clinton):

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Gli elettori maschi – bianchi hanno dunque premiato Trump, il quale ha però recuperato voti che precedentemente erano andati a Obama anche tra l'elettorato nero, ispanico e asiatico.

Tra l’altro, questo dato può essere incrociato con quello del titolo di studio ed evidenzia che la parte di elettorato bianco che ha votato Trump è quella meno istruita (che in passato aveva sostenuto Obama):

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Un’altra chiave di lettura interessante riguarda il cosiddetto fattore generazionale. Se appare evidente come Trump abbia conquistato parte dell’elettorato giovane, allo stesso tempo è fondamentale il successo nella fascia di età 45 – 64, che testimonia come il messaggio del candidato repubblicano abbia convinto una parte di elettorato “tradizionalmente orientata” a recarsi alle urne.

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La stragrande maggioranza delle analisi post voto dà poi per scontato un assunto: quello del "voto popolare" per Trump, che sarebbe stato sostenuto dal ceto medio impoverito e in generale dalle persone a basso reddito, le quali avrebbero voluto mandare un segnale di protesta alla politica delle lobby, dei grandi gruppi di potere rappresentati da Clinton. Le analisi del Nyt e della Cnn, in realtà smontano solo parzialmente questa ricostruzione. Questo è il dato del Nyt, che mostra come Trump abbia sfondato fra le persone con un reddito inferiore a 50mila dollari annui rispetto a Romney, ma abbia comunque ottenuto percentuali più basse di quelle di Clinton:

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Simili anche i riscontri ottenuti dalla CNN, che evidenzia come il candidato repubblicano resti comunque il preferito fra chi guadagna più di 50mila dollari l'anno:

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Dove ha fatto la differenza Donald Trump

Il punto è che la differenza fra i due contendenti è meno ampia di quanto si possa credere considerando il risultato finale, che parla di 290 delegati per Trump contro i 232 per Clinton. Nate Silver, noto analista statunitense, ha spiegato come se solo l'uno per cento dei votanti avesse cambiato il proprio orientamento, il quadro si sarebbe completamente capovolto.

Tutto si riduce a quelle che i media USA chiamano "key races", ovvero le battaglie negli Stati in cui il risultato era incerto alla vigilia del voto.

Già detto dei voti totali in maggioranza per Clinton, i dati ufficiali mostrano ad esempio come il distacco fra i due contendenti sia stato minimo:

  • in Florida, dove Trump vince per 120mila voti (+1,3%)
  • in Arizona, dove Trump vince per 86mila voti (+4,4%)
  • in Colorado, dove Clinton vince per 51mila voti (+2,1%)
  • in Michigan, dove Trump vince per 12mila voti (+0,3%)
  • in Nevada, dove Clinton vince per 26mila voti (+2,4%)
  • in New Hampshire, dove Clinton vince per mille voti (+0,2%)
  • in Pennsylvania, dove Trump vince per 78mila voti (+1,2%)
  • in Wisconsin, dove Trump vince per 27mila voti (+1,3%)

La differenza Trump l'ha fatta in alcuni Stati, che 4 anni fa videro la vittoria di Obama e che stavolta hanno "cambiato bandiera". Vediamo nel dettaglio come è andata e come andò, anche senza considerare Michigan e Wisconsin (dove il dato è clamoroso):

FLORIDA

  • Obama 2012: 4,235,270
    Clinton 2016: 4,485,745
  • Romney 2012: 4,162,081
    Trump 2016: 4,605,515

PENNSYLVANIA

  • Obama 2012: 2,907,448
    Clinton 2016: 2,844,705
  • Romney 2012: 2,619,583
    Trump 2016: 2,912,941

OHIO

  • Obama 2012: 2,697,260
    Clinton 2016: 2,317,001
  • Romney 2012: 2,593,779
    Trump 2016: 2,771,984

Oltre a notare come in tutti questi Stati Trump abbia ottenuto più consensi dello stesso Obama (ovviamente elezioni diverse, campagne elettorali diverse, ha poco senso ipotizzare solo dai numeri che Trump potesse battere l'ex Presidente…), è evidente il boom di consensi "personali" del magnate statunitense negli Stati – chiave per la sua elezione.

Un boom che però è concentrato soprattutto in alcune zone, non necessariamente "in crisi economica". Questo spunto, appare decisamente interessante, perché lega il successo di Trump, non tanto ai livelli di disoccupazione "attuale", ma alla sensazione di poter perdere "in futuro" il proprio lavoro:

Poi, in un contesto in cui, in termini assoluti (anche causa affluenza alle urne), Trump ottiene meno voti dei suoi predecessori Romney e McCain, sembra decisivo il fatto di essere riuscito sostanzialmente a conservare l'appoggio della base repubblicana, mentre Hillary non è riuscita a raccogliere l'eredità di Obama (fonte):

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Questo significa necessariamente che l'elettorato repubblicano vota con meno "complicazioni" il candidato del proprio partito, mentre l'elettorato democratico è più esigente? Forse, ma potrebbe anche essere vero il contrario: ovvero che la candidatura di Trump fosse adatta per l'elettorato, e non "impresentabile", "non votabile" come ci è stata descritta in questi mesi.

Ma c'è probabilmente un passo ulteriore da fare, analizzando i dati deframmentati nella Rust Belt (qui si può fare piuttosto agilmente), zona che ha contribuito in modo decisivo alla vittoria di Trump. Qui è possibile notare come la cinta urbana, in quartieri periferici delle grandi città, i sobborghi popolari, le zone industriali, oltre alle zone rurali, siano la marea rossa che abbia regalato la vittoria a Trump.

Come si sono spostati i voti? Semplice, seguite le frecce rosse (che indicano dove Trump ha guadagnato consensi):

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Ecco, dopo otto anni di guida democratica, il paese torna repubblicano (la logica dell'alternanza, del resto, è una delle caratteristiche degli States). Un cambiamento, che è determinato da un "voto di cambiamento", prima di tutto.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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