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Che coniglio estrarrà Draghi dal cilindro?

Finora la Bce, come altre banche centrali, ha comprato tempo iniettando liquidità sui mercati e tagliando i tassi sull’euro. Ma la ripresa non è ancora in vista, a giudicare dalle trimestrali. Che si inventerà “super Mario”?
A cura di Luca Spoldi
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Dice un famoso proverbio: si può portare un cavallo all’acqua ma non lo si può obbligare a bere  e il detto pare azzeccato nel caso della crisi economica europea, che da oltre tre anni è diventata una crisi banco-sovrana la cui cura è sinora consistita da una parte nell’iniezione di grandi masse di liquidità sul mercato del credito per impedirne il collasso definitivo e nel mantenimento di tassi a livelli minimi a livello nominale (e negativi a livello reale) da parte della Bce, mentre altre banche centrali in Gran Bretagna, Giappone e Stati Uniti hanno potuto (perché consentito dallo statuto) e voluto “osare di più” varando più o meno prolungati e consistenti programmi di “quantitative easing”, ossia riacquisto di titoli obbligazionari direttamente sul mercato. Ciò nonostante a causa della repressione fiscale voluta fortemente dalla Germania e assecondata dagli altri partner per un malinteso “difetto morale” che continua a gravare su questa crisi, l’economia reale non ha tratto alcun beneficio dalla generosità di Eurotower.

Secondo Morgan Stanley, ad esempio, dopo che circa un terzo delle società quotate in Europa ha già diffuso la prima trimestrale, un 31% dei risultati ha battuto le attese del mercato, mentre un 36% le ha disattese, con un 5% netto di sorprese negative che non promette nulla di buono anche perché se si escludono banche e assicurazioni, che non sorprendentemente sono riuscite a macinare nuovamente utili (grazie agli interventi a soccorso varati dalla Bce e dalle autorità Ue, ad esempio nel caso della Spagna) pur continuando a sottostare a una preoccupante spada di Damocle rappresentata dall’esposizione a settori economici (come l’immobiliare) sempre più in difficoltà, con conseguente crescita continua delle sofferenze su crediti, il dato delle aziende che hanno deluso con risultati inferiori di almeno il 5% rispetto alle previsioni medie è persino più elevato, il 9%. Come dire, segnalano gli analisti di Societe Generale, che “il mercato ha bisogno che Mario (Draghi) tiri fuori un coniglio davvero speciale dal suo cappello questa volta”.

Il probabile ulteriore taglio dello 0,25% dei tassi ufficiali sull’euro (avvenuto pochi minuti dopo la pubblicazione di questo commento, con tasso di rifinanziamento pronti contro termine ridotto dallo 0,75% al minimo storico dello 0,50%, ndr) è in gran parte già scontato, con il Btp a due anni che ormai vede un rendimento attorno all’1%, quello spagnolo poco sopra l’1,5% (mentre un T-bill americano sulla stessa scadenza non vale più di uno 0,20%-0,25% in dollari) e l’euro sottotono contro le principali valute, segnali indicativi delle attese del mercato per un taglio del costo del denaro. Taglio che peraltro potrebbe indurre altri istituti a rimborsare anticipatamente i prestiti a tre anni ottenuti l’anno scorso dalla stessa Bce (visto che costano l’1% fisso su base annua e che nelle attuali condizioni di mercato alcuni emittenti sono in grado di indebitarsi a costi inferiori). Resta intatto, tuttavia, il problema di come far affluire il credito all’economia reale, ossia alle migliaia di piccole e medie imprese che in Italia (e in Europa) sono sempre più in crisi, con pagamenti sempre più dilazionati, commesse in calo e impossibilità o quasi di avere accesso al credito.

Ben venga dunque la ventilata “alleanza” tra Italia e Francia che sembra emergere al termine del “tour” di Enrico Letta di queste ultime ore, anche se tuttora ci sono segnali contraddittori anche in Italia, dove il dibattito politico continua a registrare puntualizzazioni e un certo nervosismo attorno al tema dell’eventuale rimodulazione dell’Imu. Una tassa antipatica, forse, che però incide sul patrimonio e non sul reddito, né condiziona in alcun modo l’attività creditizia. Anche per questo lo stesso Ocse ha fatto sapere che è più importante ridurre il cuneo fiscale che grava sul lavoro, così da favorire la ripresa, che non eliminare l’Imu visto che è la tendenza che va emergendo in tutto il mondo (ridurre la fiscalità sui redditi da lavoro compensando le entrate fiscali con prelievi su altre voci come consumi, proprietà immobiliari ed emissioni di gas serra).

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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