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Opinioni

Borse sotto pressione: Armageddon o lieto fine?

Ancora una giornata pesante per le borse europee ed in particolare i titoli delle banche. La Grecia torna a votare in giugno e c’è il rischio di una rottura dell’euro. Sarà Armageddon o lieto fine?
A cura di Luca Spoldi
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Grecia, Festa dell'Indipendenza in tutto il paese

Un pericoloso tiro alla fune. Ancora una chiusura di giornata rosso sangue per i titoli bancari italiani: dopo una mattinata tranquilla, nonostante il downgrade da parte di Moody’s del rating di 26 banche italiane (e l’outlook negativo che indica la possibilità di ulteriori ribassi del merito di credito nei mesi a venire), il fallimento di ogni tentativo di dare un governo alla Grecia che quindi andrà nuovamente alle elezioni in giugno col rischio che a guadagnare voti siano ulteriormente i partiti contrari all’euro e favorevoli a un default “all’islandese” (o meglio in stile Argentina, visto i costi che già gli analisti stanno mettendo in preventivo sia per Atene sia per gli altri paesi europei) fa scattare copiose vendite che affossano titoli ciclici e del settore finanziario, più direttamente esposti all’ipotesi di una rottura dell’euro. A fine giornata Bper cede l’8,79%, Mps il 7,40%, Banco Popolare il 6,77%, Mediolanum il 5,68% e UniCredit il 5,53%, mentre tra le poche blue chip al rialzo spiccano titoli difensivi come Campari, Tod’s e Parmalat. Chiariamolo ancora una volta: la situazione di tensione sui mercati è il risultato non solo di numeri pessimi per l’economia greca anzitutto, ma anche per la maggior parte delle economie europee, sottoposte a una “cura tedesca” a colpi di austerity accelerata che fa bene solo alla Germania, come hanno dimostrato ulteriormente i dati di Eurostat che mostrano come il Pil dell’Eurozona sia rimasto stabile nei primi tre mesi solo in quanto media di paesi che crescono come Finlandia (+1,3%), Lettonia (+1,1%), Lituania (+0,8%), Germania (+0,5%) ed Estonia (+0,5%), contrapposti alla Francia (ferma) e a una serie di paesi in recessione come Olanda (-0,2%) e ancor di più l’Ungheria (-1,3%), la Repubblica Ceca (-1,0%) e l’Italia (-0,8%). No, la tensione che si respira sui mercati è frutto di una narrazione altamente drammatica in cui le eventuali notizie positive, come la reazione nel complesso contenuta ai downgrade di Moody’s, del resto ampiamente preannunciati nonostante la stizzita e ancora una volta poco attinente reazione dei vertici dell’Abi (che accusa le agenzie di rating ogni volta che il merito di credito viene tagliato, mai quanto viene rialzato, guardandosi bene dal cercare eventuali colpevoli del declassamento tra gli “eccellenti”, si fa per dire, banchieri italiani), piuttosto che il rimborso puntualmente eseguito di 430 milioni di bond greci emessi in base al diritto estero e in scadenza oggi, vengono sistematicamente ignorate, per dare fiato alle trombe ogni qual volta si verifichi un evento negativo. E’ un problema di narrazione: si è scelto di raccontare che tutto va male, che la colpa è sempre di qualcun altro (la Germania, i politici, i tecnici, i Greci, gli statali, gli evasori… ognuno può scegliere a piacimento), che le soluzioni sono sempre invariabilmente errate o parziali e comunque provocano danni a breve. Tutto vero, ma ci si dimentica spesso di dire che in questa situazione ci siamo messi con le nostre mani (o se volete ci hanno messo con le loro mani i nostri responsabili politici ed economici, peraltro col supporto convinto della maggioranza del corpo elettorale non solo in Italia ma in tutta Europa per almeno due decenni), che l’esito era ampiamente prevedibile dopo 15 anni di assenza di crescita in Italia, Grecia e Portogallo e di bolle speculative (in particolare sul mercato immobiliare) in Irlanda e Spagna (e in parte in Italia), che tuttavia facendo le riforme che andavano fatte qualche risultato lo si otterrà a medio periodo e che il problema era e resta dunque di fiducia. Recuperando la quale le operazioni “ponte” della Bce del “pragmatico Mario Draghi” hanno un senso, senza la quale non basteranno a evitare nuovi bagni di sangue, come non basteranno i firewall europei, da tempo giudicati ampiamente insufficienti in caso di una crisi sistemica come rischia di ridiventare quella che parte da Atene ma potrebbe far saltare tutta l’Europa del Sud portando all’abbandono “disordinato” (o meno) dell’euro anche da parte di Portogallo, Spagna e Italia.

Armageddon o farsa? L’unico motivo razionale per cui debba prevalere una narrazione negativa ad una positiva che mostri come passi in avanti ne siano comunque stati fatti, per quanto parziali e non ancora sufficienti (le banche sono ora più capitalizzate di un anno fa, la liquidità è tornata ad essere presente sul mercato, sebbene sia stata in gran parte utilizzata per acquistare titoli di stato italiani, portoghesi e spagnoli e non per far credito alle aziende, cosa per inciso che non è detto sia un male dopo anni di crescita degli impieghi superiore alla crescita della raccolta, il grado di trasparenza dei bilanci bancari in termini di esposizione ad asset a rischio, debito sovrano, derivati o immobili che siano, è aumentato) è che qualcuno ci guadagni. Chi? Forse gli intermediari finanziari come vuole la vulgata comune, più probabilmente gli stessi protagonisti della vicenda, ossia la Grecia e il Sud Europa da una parte (drammatizzando ulteriormente la vicenda Atene può sperare di ottenere qualche dilazione rispetto agli impegni presi in sede Ue, lo stesso si augurano neppure troppo velatamente Spagna, Portogallo e Italia) e persino la Germania dall’altra, visto che Angela Merkel potrebbe fare “obtorto collo” quelle concessioni che non le converrebbe fare, politicamente, in modo esplicito, ad esempio accettando gli eurobond anche a fronte di un fiscal compact solo parzialmente portato a compimento e concedendo qualche maggiore investimento comunitario (che potrebbe essere anche un obiettivo apprezzabile da Francois Hollande, insediatosi oggi all’Eliseo e che ha subito nominato premier Jean-Marc Ayrault, e da Mario Monti, stretto d’assedio da quegli stessi partiti che hanno messo l’Italia nella poco brillante situazione attuale e gli hanno poi passato la patata bollente, peraltro votandone ogni singolo provvedimento). In realtà qualche voce sinceramente convinta che una fine spaventosa sia meglio di uno spavento senza fine esiste e si leva proprio dalla Germania, prime e più che dalla Grecia (dove gli elettori paiono più che altro frastornati e incapaci di valutare fino in fondo i costi delle alternative loro proposte dai propri rappresentanti politici). In un articolo apparso sull’edizione online del settimanale Der Spiegel si sostiene infatti che la Grecia “non può più ritardare l’uscita dall’euro” e dato “l’Europa ha cercato un piano B per la Grecia, ma è tempo di ammettere che il piano di salvataggio Ue-Fmi è fallito”. Per il settimanale tedesco “la migliore speranza per la Grecia è ora legata ad un ritorno alla dracma”, così da recuperare dignità pagando tutti i costi della crisi in una sola volta e “tornare libera di decidere sul proprio destino” anziché restare “per decenni dipendente dalla comunità internazionale”. Del resto, nota Der Spiegel, il lavoro svolto da chi ha provato a promuovere le riforme necessarie a tenere la Grecia nell’euro a pieno titolo non hanno dato grande frutto: in due anni “quasi nessuno degli sforzi riformatori del governo ha avuto successo”, con privatizzazioni “iniziate a stento” che a fronte di 50 miliardi di euro messi in preventivo hanno finora fruttato ad Atene appena 1,5 miliardi, mentre dopo dieci anni di sforzi l’istituzione di un registro catastale ha portato al censimento di appena il 6% degli immobili esistenti in Grecia. Per non parlare di liberalizzazioni, che (in Italia ne sappiamo qualcosa) hanno incontrato la resistenza fiera di ogni genere di lobby in un paese che ha circa 140 “professioni a numero chiuso” che richiedono l’acquisto di una licenza (per quella di taxista ad Atene si paga dai 100 ai 150 mila euro). Se aggiungete tutti gli errori di modo e di tempo fatti dalla “troika” Ue-Bce-Fmi, si può capire che a qualcuno non dispiaccia l’ipotesi di un’uscita della Grecia che potrebbe essere “salvifica” per l’euro. A mio parere sarebbe un grosso azzardo, peraltro, per cui voglio continuare a sperare che entrambe le parti del tavolo stiano solo provando a tirare fino all’ultimo la corda per portare a casa i maggiori frutti dalla trattativa. Una “strategia della tensione” che però corre sempre il rischio di sfuggire di mano.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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