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Boko Haram in difficoltà, punta tutto sui baby kamikaze: uno su cinque ha meno di 15 anni

L’allarme in un rapporto dell’Unicef: il gruppo islamista africano in un caso su cinque usa baby kamikaze, di questi tre casi su quattro sono ragazzine.
A cura di Antonio Palma
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Stretto nella morsa delle forze armate regolari dei Paesi africani che hanno lanciato una massiccia campagna militare, anche con l'appoggio di mezzi e truppe occidentali, il gruppo estremista islamica Boko Haram da tempo ormai ha deciso di puntare tutto sugli attentati suicidi e, dato ancora più raccapricciante, in particolare sui baby kamikaze. È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell'Unicef, "Beyond Chibock", sull'uso di minori tra le formazioni armate in Africa secondo il quale il numero di piccoli convinti o costretti a uccidersi in luoghi pubblici con continue stragi di civili è aumentato di undici volte in un anno. Si tratta di numeri agghiaccianti che sottolineano i gravi abusi di cui è vittima una intera generazioni di piccoli stretti nella morsa della guerra, della fame e degli estremisti.  Del resto i bambini sfollati tra Nigeria  e Camerun hanno raggiunto ormai la cifra di 1,3 milioni.

L'uso dei minori in guerra e negli attacchi suicidi non è nuovo ma con l'intensificarsi dei controlli e delle pesanti sconfitte sul piano militare, Boko Haram ha puntato molto su di loro per far passare inosservati esplosivi e mettere a segno attentati nelle città e nei villaggi spesso tra la folla con il tentativo di creare più vittime possibili. Nella maggior parte dei casi, secondo il report, gli attentati suicidi dei piccoli sono compiuti da bambine proprio perché meno controllate.  Tra gli attentatori suicidi infatti uno su cinque ha meno di 15 anni e in tre casi su quattro si tratta di femmine. A volte le ragazzine sono le stesse che vengono rapite dal gruppo per abusarne e trattarle come schiave e costrette poi a imbottirsi di esplosivo e a farsi saltare in aria in mezzo alla gente. Non a caso i dati sono stati  diffusi in occasione del secondo anniversario del rapimento di più di 200 ragazze dalla città nigeriana di Chibok che diede vita ad una mobilitazione internazionale suscitando interesse sul  dramma.

"L'utilizzo di bambini, in particolare femmine, come attentatori suicidi è diventata una delle caratteristiche determinanti e allarmanti del conflitto", spiega il rapporto, sottolineando che i bambini non devono essere visti come combattenti volontari perché "sono vittime e non responsabili". "Ingannarli e costringerli a compiere attacchi mortali è uno degli aspetti più orribili della violenza in Nigeria e nei paesi limitrofi", ha affermato Manuel Fontaine, direttore regionale dell'Unicef per l'Africa, ricordando che purtroppo "le comunità locali rifiutano il reintegro di quelli che vengono rapiti e abusati dai militanti del gruppo perché considerati come minacce".

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