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Opinioni

Bartali e Coppi: gli italiani tornano a correre, insieme

La storia d’Italia è fatta anche di immagini, fotogrammi di un momento che diventano simboli carichi di senso e significato profondo: il mito di Fausto Coppi e Gino Bartali.
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“I due personaggi protagonisti della più grande distensione degli ultimi tempi”. Così, Mario Riva, attore romano e storico conduttore de “Il Musichiere”, annunciava nel 1959 la presenza in trasmissione -“in rigoroso ordine alfabetico”-  di Gino Bartali e Fausto Coppi.  Attraverso un sorriso, con poche parole, l’inventore del nientepopodimenoche evidenziava l’importanza di questi due straordinari uomini di sport nel percorso di rilancio di un intero paese, dilaniato e messo in ginocchio da una guerra devastante che aveva costretto gli italiani a coesistere con le paure della morte e della fame.

Si è sempre detto che l’Italia non può fare a meno dei dualismi(che abbiamo inserito nell’insieme delle storie di Noi Italiani). Certamente, non poteva farne a meno in quegli anni. Si veniva dal ventennio fascista, gli italiani avevano conosciuto il regime, l’autoritarismo. Ai due decenni di pensiero unico, si reagiva ora con le scelte. Gli italiani, dopo Mussolini, riscoprivano quanto fosse belle prendere parte, marcare una differenza.  Nascevano i partiti di massa, prendeva corpo l’orgoglio di un’appartenenza. In politica, come nello sport. Bartaliani da una parte, Coppiani dall’altra. Anche il tifo ciclistico assumeva i caratteri di una militanza partitica.  Una militanza polemica e accesa, comunque mai volgare. Un dualismo sano che riusciva a coinvolgere un paese che, come il proprio idolo sulle due ruote,  voleva essere nuovamente competitivo. Bartali e Coppi erano il simbolo di un Italia che vinceva e che tornava a correre. E mentre si dividevano tra il sostegno al corridore toscano o piemontese, gli italiani riacquistavano la speranza.

Si andava così costituendo un legame indissolubile tra l’Italia e le imprese dei due corridori e in quegli anni il ciclismo divenne lo sport popolare per antonomasia. Uno spettacolo gratuito, semplice e accessibile a tutti. Per vincere dovevi “faticare” e correre per le vie in rovina dei paesi e delle città italiane, tra le macerie di una guerra che aveva lasciato segni indelebili, nella mente dei cittadini della neonata Repubblica come nelle strade della penisola. Diventava così semplice appassionarsi alle imprese dei due campioni e immaginare un’Italia in corsa. Bartali e Coppi erano consapevoli di quanto andasse oltre lo sport il significato delle loro imprese. Anche per questo assecondavano una rivalità che non li ha mai visti realmente nemici fuori dall’agone sportivo , non ha mai sfiorato l’astio personale. Si divertivano a giocare al cane e al gatto, si prestavano alle simpatiche gag di Mario Riva e si improvvisavano anche attori come accaduto nel film “Totò al giro d’Italia”.

Un atteggiamento che hanno conservato anche nel non voler svelare mai, in modo diretto e chiaro, chi è stato sul Passo del Galibier, nel tour de France del 1952, a passare all’altro la famosa borraccia, in realtà una bottiglietta d’acqua. Quella fotografia, scattata da Carlo Martini, continua a far discutere ancora oggi. Si vede Coppi davanti e Bartali a ruota, nel mezzo le due mani che si incrociano. Da chi sia partito quel gesto, sinceramente non ci interessa. L’importante è che quella foto sia stata scattata. E’ la splendida metafora di un paese che nel momento di difficoltà coltiva la consapevolezza che si può risalire soltanto anteponendo il senso di comunità agli interessi personali. Quell’immagine è uno schiaffo in pieno volto a quanti esaltano la competizione fine a se stessa. L’idea che il successo personale vada perseguito a prescindere, che dinanzi l’obiettivo da raggiungere tutto sia lecito e non esistono valori, troverà sempre in quella foto una fiera e orgogliosa opposizione. Si è detto sia stata pilotata, non ci interessa neanche questo. Lasciateci stare. A noi piace guardare quelle due figure stanche,  intente a scalare una delle montagne più dure del giro francese, preparate a darsi battaglia, ma altrettanto pronte ad offrirsi un aiuto.

Ginettaccio da una parte, l’airone dall’altra. Due uomini, due biciclette e una borraccia nel mezzo, eppure non è mai stato semplicemente ciclismo.  D’altronde la storia dello sport, anche italiano, è costellata da una miriade di rivalità: Mazzola-Rivera, Prost-Senna,Connors-McEnroe, Gimondi-Mercks, per citarne le più note. Tutte appassionanti e straordinarie storie di sport. Bartali e Coppi, sempre in rigoroso ordine alfabetico, vanno oltre, trascendono la dimensione puramente agonistica e segnano meravigliosamente la storia di un paese. Con il trascorrere del tempo sono sempre più patrimonio dell’intera collettività. Un dualismo in grado di superare la faziosità dell’essere di parte.

Neanche la politica è riuscita a scalfire la foto del Galibier. Eppure ci ha provato, eccome. Bartali, devoto fervente e militante nell’Azione Cattolica, era il democristiano. Coppi,  per la sua storia extraconiugale, diventava il laico e progressista. Il toscano, più anziano di cinque anni, rappresentava la società superata delle tradizioni e delle consuetudini. Il piemontese era invece l’emblema di una società nuova, aperta e progressista. Tuttavia  nel 1948, anno in cui svolsero le prime elezioni politiche dalla fine della guerra (si era votato nel frattempo il referendum tra monarchia e repubblica e, in seguito,  l’assemblea costituente),  la Democrazia Cristiana e il Fronte Popolare provarono a trasferire in campagna elettorale il dualismo tra i due campioni. Le proposte di candidatura vennero però cortesemente rispedite al mittente.

Dobbiamo rallegrarcene. L’immagine, molto forzata, di Bartali e Coppi nei panni di don Camillo e Peppone, avrebbe radicalizzato oltremodo un dualismo bello perché “unitario”. Oggi parleremmo di Gino il bianco e Fausto il rosso, e non sarebbe la stessa cosa. La foto del Galibier si sarebbe ingiallita e, con lo scorrere del tempo,  strappata. Perché ognuno ne avrebbe reclamato una parte.  Fortunatamente, ciò non è accaduto. Quella rivalità resta patrimonio collettivo dell’intera nazione e possiamo andarne fieri. Paradossalmente, è un dualismo che sbeffeggia e travalica proprio le più rocciose divisioni che animano il nostro paese. Niente destra – sinistra, niente nord – sud.  Bartali – Coppi, mettono tutti d’accordo. Nel momento in cui festeggiamo i 150 anni dell’Unità d’Italia, sarebbe davvero stupido non raccontare questa luminosa storia italiana.

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A cura di Antonio Corbo

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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