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Azienda cerca 70 dipendenti, stipendio 1.590 euro al mese: non si presenta nessuno

La Antonio Carraro, in provincia di Padova, cerca ingegneri meccanici progettisti, periti meccanici disegnatori, addetti alle lavorazioni meccaniche, alla carpenteria, al controllo qualità del prodotto e altre posizioni. Ma per adesso non c’è risposta. “Forse i giovani vogliono fare tutti il medico o l’avvocato” dice la responsabile.
A cura di Biagio Chiariello
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Chi dice che oggi gli italiani senza lavoro farebbero carte false pur di riuscire a trovare un’occupazione, probabilmente dovrà ricredersi nell’apprendere del caso della Antonio Carraro, società dell’alta padovana esperta nella produzione di trattori compatti per agricoltura specializzata. L’azienda infatti da mesi non riesce ad assumere nessuno perché semplicemente ai suoi annunci di richiesta di personale non ottiene nessuna risposta. “Abbiamo una settantina di posizioni aperte da almeno sei mesi. In tutto questo tempo avrà risposto sì e no una decina di persone delle quali solo tre idonee. Siamo al paradosso" spiega a Repubblica Liliana Carraro, responsabile delle relazioni esterne della Antonio Carraro, di Campodarsego. E non stiamo parlando di contratti a tempo determinato o part-time: “Il contratto da noi offerto fa riferimento al contratto nazionale del settore metalmeccanico – dice la Carraro – con una retribuzione di 1.590 euro lordi mensili”.

Liliana non riesce a spiegarsi come sia possibile la mancanza di risposte. "Siamo una delle tre aziende del Veneto con gli stipendi medi più alti – prosegue Carraro – il minimo che offriamo per le figure meno qualificate è di 1590 euro lordi al mese. Abbiamo fatto investimenti in macchinari ad alta tecnologia per 10 milioni di euro”. Forse il problema potrebbe essere quello culturale: “Guardiamo a un modello produttivo di fabbrica digitale dove tutto è interconnesso – spiega la Carrara – non servono più gli operai addetti alla catena di montaggio come nell'immaginario di una fabbrica del primo Novecento, ma figure con competenze nuove in grado di usare e gestire questi processi. Il tecnico non si sporcherà più le mani perché non è più l’operatore al servizio della macchina ma la macchina al servizio dell’operatore". Insomma: "Forse i giovani sono demoralizzati e hanno un'idea sbagliata su cosa significhi lavorare in un’azienda metalmeccanica. Di sicuro non c'è alcun rapporto tra l'industria e l'università. Il mondo accademico non è connesso con la velocità dell'innovazione nel mondo della produzione. Ma lei si rende conto che il 30 per cento dei disoccupati sono dei tecnoesclusi?" si chiede la Carraro.

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