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Totò Riina è morto, la mafia no

Totò Riina, Bindi: “La sua morte non è la fine della mafia”. Grasso: “Ora cerchiamo la verità”

La morte di Totò Riina ha catalizzato l’attenzione della politica italiana. Rosy Bindi afferma che la sua morte “non è la fine della mafia siciliana”. E sia lei che Pietro Grasso chiedono di “cercare la verità” e far luce sulle stragi di cui è responsabile il boss di Cosa Nostra.
A cura di Stefano Rizzuti
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La morte del boss Totò Riina non vuol dire aver sconfitto la mafia siciliana, non è la sua fine. La presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi commenta così il decesso, avvenuto questa notte nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma, del boss di Cosa Nostra che proprio ieri ha compiuto 87 anni. Riina, entrato in coma dopo l’ultima operazione subita, era ancora considerato dagli inquirenti il capo di Cosa Nostra. La notizia della sua scomparsa ha suscitato le reazioni di molti politici italiani, a partire proprio dalla Bindi.

Riina è stato il capo indiscusso e sanguinario della Cosa Nostra stragista – dichiara la presidente della commissione Antimafia -. Quella mafia era stata già sconfitta prima della sua morte, grazie al duro impegno delle istituzioni e al sacrificio di tanti uomini coraggiosi e giusti. Non possiamo dimenticare quella stagione drammatica, segnata dal delirio eversivo di un uomo spietato, che non si è mai pentito dei suoi crimini efferati e non ha mai collaborato con la giustizia”. La Bindi sottolinea poi un altro punto importante, dicendo che ora è necessario fare luce sulle stragi di cui è responsabile il boss di Cosa Nostra: “A noi resta il dovere di cercare le verità che per tutti questi anni Riina ha nascosto e fare piena luce sulle stragi che aveva ordinato. La fine di Riina non è la fine della mafia siciliana che resta un sistema criminale di altissima pericolosità”.

Su Facebook è arrivato anche il commento del presidente del Senato Pietro Grasso che ricostruisce la storia della figura del boss: “Totò Riina, uno dei capi più feroci e spietati di Cosa nostra, è morto. Iniziò da Corleone negli anni ’70 una guerra interna alla mafia per conquistarne il dominio assoluto, una sequela di omicidi che hanno insanguinato Palermo e la Sicilia per anni. Una volta diventato il Capo la sua furia si è abbattuta sui giornalisti, i vertici della magistratura e della politica siciliana, sulle forze dell'ordine, su inermi cittadini, sulle persone che con coraggio, senso dello Stato e determinazione hanno cercato di fermarne il potere”.

La strategia di attacco allo Stato – continua Grasso – ha avuto il suo culmine con le Stragi del 1992, ed è continuata persino dopo il suo arresto con gli attentati del 1993. Quando fu arrestato, lo Stato assestò un colpo decisivo alla sua organizzazione. In oltre 20 anni di detenzione non hai mai voluto collaborare con la giustizia. La pietà di fronte alla morte di un uomo non ci fa dimenticare quanto ha commesso nella sua vita, il dolore causato e il sangue versato”. E ancora, anche il presidente del Senato sottolinea come ci siano ancora molte cose da chiarire anche dopo la morte di Riina: “Porta con sé molti misteri che sarebbero stati fondamentali per trovare la verità su alleanze, trame di potere, complici interni ed esterni alla mafia, ma noi, tutti noi, non dobbiamo smettere di cercarla”.

Della morte di Riina ha parlato anche Piero Fassino del Pd: “Ogni volta che una persona scompare è giusto avere un momento di riflessione e cordoglio che non toglie nulla alle gravi responsabilità che Riina ha per gli atti che ha compiuto”. Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, commenta: “Riina troverà anche nell'altro mondo una condanna severa con ‘fine pena mai'. La merita tutta”. Molto dure anche le parole di Vincenzo Maurizio Santangelo, senatore M5s: “Una bestia come Riina non merita rispetto né da vivo né da morto”.

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