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Testa di un capretto insanguinata davanti alla casa di una giudice antimafia: non è il primo atto intimidatorio

La magistrata leccese Maria Francesco Romano si è trovata davanti la porta di casa la testa di un capretto insanguinata e infilzata da un coltello da macellaio. Altri atti intimidatori da luglio, dopo l’operazione antimafia “Wolf”.
A cura di Giorgia Venturini
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Una giudice di Lecce, già sotto scorta, è stata bersaglia di un atto intimidatorio la notte tra giovedì e venerdì. La magistrata Maria Francesco Romano si è trovata davanti la porta di casa la testa di un capretto insanguinata e infilzata da un coltello da macellaio. Poco distante un biglietto con scritto: "Così". Ad avvisare le forze di polizia appena si è accorta è stata la stessa magistrata. Ora sull'accaduto sono scattate le indagini della Squadra Mobile al lavoro per cercare di risalire agli autori del gesto e capire il motivo di un simile atti intimidatorio.

Come il giudice si è accorto di cosa stava accadendo

Agli agenti della Mobile la giudice ha raccontato che quella notte aveva sentito dei rumore. Aveva pensato che fossero dei gatti che stavano litigando davanti alla porta di casa. Così ha pensato di andare a controllare e ha fatto la macabra scoperta. Subito è scattata la chiamata alle forze dell'ordine.

Non è che l'ennesimo gesto intimidatorio nei confronti del giudice. Lo scorso 23 novembre la magistrata si è visto recapitare una lettera di minaccia con una scritta fatta con il sangue. Ma perché questi gesti? Di cosa si sta occupando il giudice?

Perché il giudice è bersaglio di atti intimidatori

Gli atti intimidatori sarebbe iniziato dopo che un'operazione antimafia "Wolf" decisa dal giudice lo scorso 17 luglio aveva portato all'arresto di 22 persone del clan Lamendola-Cantanna. Il gruppo criminale, stando alle indagini, fa parte della Sacra Corona Unita e gestiva gli affari sul territorio. Lo scorso novembre era poi finito in arresto il 34enne latitante Gianluca Lamendola, nonché ritenuto figura di spicco del clan. Da allora la giudice Romano era finita sotto scorta, così come la pm titolare dell'inchiesta, ovvero la procuratrice Carmen Ruggiero.

I magistrati nelle carte dell'operazione avevano definito il gruppo criminale dotato "di una forza di intimidazione che aveva piegato il territorio". Nel dettaglio, ecco le accuse rivolte al boss Gianluca Lamendola: "I pestaggi, le estorsioni, i tentati omicidi, in 44 imputazioni che comprendono i reati di maggior disvalore penale del codice (escluso l'omicidio) sono tutti comportamenti espressione di una forza di intimidazione che aveva piegato il territorio sanvitese al volere dei Lamendola". Da luglio entrambi le magistrate sono sotto scorta ed entrambi bersagli di atti intimidatori.

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