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Terra dei Fuochi, l’epidemiologo Montella: “Verità lontana, troppa confusione sui dati”

Si muore di più di tumore nella Terra dei Fuochi, rivela lo studio del Pascale. Ma non è possibile correlare questi dati all’inquinamento. L’epidemiologo Maurizio Montella, che ha coordinato l’équipe, spiega perché. E sui dati relativi all’inquinamento attacca: “Fino ad ora c’è stato il tentativo di fare quanta più confusione possibile”
A cura di Gaia Bozza
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Aumentano i tumori nella zona della Terra dei Fuochi, ma il nesso tra inquinamento e patologie tumorali non è dimostrato. E non è dimostrabile, finché i dati saranno così confusi. Finché non ci sarà uno studio specifico e finché non ci sarà un'autorità che metterà la parola fine al balletto di cifre sull'inquinamento da rifiuti in Campania al quale assistiamo ormai da anni. A Fanpage.it parla Maurizio Montella, che ha coordinato lo studio dell'Istituto Tumori del Pascale dal quale si evince che, per alcuni tipi di tumore,  nella Terra dei Fuochi si muore di più che nel resto d'Italia.

"Siamo partiti dai dati Istat – spiega – che individuano i morti per età, sesso, comune di residenza, causa. Abbiamo preso i 57 Comuni individuati dalla legge sulla Terra dei Fuochi, anche se in realtà stiamo ancora terminando l'analisi degli ultimi 7 comuni. Oggettivamente  il rapporto di paragone tra Italia e comune è superiore in 10 comuni.  Ovviamente non per tutti i tumori: per quelli del polmone ,della vescica, del fegato, del pancreas, del colon retto". E quindi ad Afragola, Arzano, Caivano, Giugliano, Quarto, Orta di Atella, Santa Maria Capua Vetere ci sono valori più alti di mortalità per il tumore al polmone (picchi ad Afragola con il 49 per cento e ad Orta di Atella con il 47 per cento). Per l'aumento di tumori al colon retto, la mortalità è più alta è a Casalnuovo (60 per cento) e Santa Maria a Vico, gli altri comuni interessati sono Qualiano e Afragola.

Ma "questi numeri vanno letti con attenzione e non si possono correlare all'inquinamento da rifiuti. Per avere una evidenza maggiore su una correlazione ci vorrebbe uno studio diverso, se questo inquinamento sarà oppure è dimostrato". Quale? "Uno studio sul presente, sulle popolazioni che abitano in quei luoghi, per mettere in evidenza marcatori di danno alla genetica o comunque alcuni aspetti biomolecolari. Si tratta di studi costosi e impegnativi, e fino ad ora le autorità italiane sono sorde. Abbiamo presentato un progetto alla Comunità europea, se verrà approvato ci sarà qualche speranza in più di venire a capo di questa situazione". Arriva, poi, il punto dolente della questione: "Fino a questo momento i dati relativi all'inquinamento da rifiuti sono ancora più incerti di quelli che ho io sulla mortalità. Così è difficilissimo, perché ognuno spara i suoi numeri. Anche sul registro tumori: bisognerebbe capire cosa stanno facendo le Asl. Non vorrei finisse come con lo screening, dove al di là delle eccezioni l'adesione è del 25 per cento. Se raccogliamo pochi dati, come al solito non diciamo niente. Questi problemi vanno affrontati con una diversa impostazione culturale e metodologica. Bisogna individuare i responsabili, affidare loro un compito da portare a termine e vigilare. Anche la Regione Campania, per esempio, si è attivata solo da poco. E fino ad ora c'è stato il contrario: ovvero il tentativo di fare più confusione possibile in modo da non dare responsabilità a nessuno".

Ma possibile che non si riesca a capire se questo nesso tra inquinamento e tumori esiste? "Con il nuovo studio, che sta partendo all'Istituto Pascale di Napoli, probabilmente si farà qualche passo in avanti. Lo studio è su 300 casi di tumore al polmone, di cui 150 provengono dalla Terra dei Fuochi. L'obiettivo è verificare se nei casi provenienti dai luoghi ritenuti a rischio ci siano delle alterazioni nel Dna. Poi i fattori di rischio sono anche altri, ma come dico sempre: una cosa è essere fumatori a Capri e una cosa è essere fumatori a Caivano, o in altri posti della Terra dei Fuochi dove si brucia di tutto e di più".

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